Va bene, va bene. E’ anche vero che non si possono attribuire alla Pillola tutti gli squilibri di cui magari ci si potrebbe perfino lamentare, a voler essere bigotti e antimoderni. Non è colpa della Pillola se si registra una certa perdita di senso della famiglia biparentale tradizionale, del matrimonio e dell’educazione come progetto di vita e di successione delle generazioni, per non parlare dell’aborto e del nostro progressivo ottundimento morale nei suoi confronti. Inutile prendersela con lei, la Pillola, per la manipolazione genetica della vita come altra faccia dell’idea che i figli sono fabbricabili, sono prodotti facoltativi, compresa la deriva dell’eugenetica e della pianificazione familiare omicida come in Asia. Insomma, facciamo finta che l’unica conseguenza della Pillola sia stato un vento di liberazione, di autonomia, di presa di possesso di se stesse per le donne non più condannate al ruolo riproduttivo cosiddetto. Facciamo finta di niente, lasciamo che si compia il ciclo ideologico liberal, non roviniamo la festa di compleanno della Contraccezione.
Resta il fatto che il sesso senza conseguenze, avallato dal “primo medicinale assunto regolarmente per una ragione diversa dalla cura di una malattia” (Time), non ha prodotto quel mondo estatico, edonistico, eudaimonistico, quel mondo piacevole e felice che si era immaginato, e che sembrava suggellato dal sorriso stupefacente dei figli dei fiori o dalla carnalità metaconcertistica avvoltolata nel fango creativo di Woodstock. La mentalità femminista mette a buon diritto l’accento sull’angoscia del restare incinte sanata dalla Pillola insieme a molte altre preoccupazioni sociali e di sviluppo di una personalità libera. D’accordo. Ma le altre angosce? L’altro dolore?
Ernest Hemingway diceva che è moralmente cattivo un atto che non ti soddisfa, moralmente buono il suo contrario. Va bene, ammettiamo che sia così, che questo brocardo del relativismo esprima una relazione di causa ed effetto bronzea, necessaria, infallibile. Siamo soddisfatti? Cinquant’anni dopo la rivoluzione tecnomedica che ha separato il sesso dalle sue conseguenze, e l’eros dalla sua specifica virtù di carità e di amore, direi che sarebbe responsabile, e anche ragionevole, riflettere sul grado di soddisfazione media rintracciabile nelle società secolarizzate integralmente e spesso totalitariamente. Non mi sembra altissimo, francamente. I progressi ci sono stati, eppure non è l’incanto della libertà, ma il suo fantasma buñueliano, che ci segue come un’ombra. E se anche sarebbe impensabile tornare indietro, in un certo senso, ciascuno dentro di sé cerca lo spazio di coraggio e di curiosità per interrogarsi su come andare avanti. Thomas Mann diceva che l’umanità ha un “udito fine”, nonostante tutto, ed io ci credo. Si può fare di meglio, sembrerebbe, nell’ambizione di viver felici. Parecchio meglio.
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