Lo scorso Venerdì Santo una lettera
aperta del Times ha invitato il Papa
a fronteggiare i recenti scandali con un
programma concreto. Il quotidiano
britannico indicava “un piano in tre
punti all’attenzione di Sua Santità”:
riconoscere che i preti pedofili non
sono una minoranza di mele marce ma
un problema “che risale a secoli
addietro e si annida nelle strutture
stesse della chiesa”; porre fine alla
confusione fra le vocazioni al
sacerdozio e al celibato, “una follia
lunga nove secoli”; rinunciare all’idea
che l’ordinazione sacerdotale cambi la
maniera in cui un uomo si rapporta al
suo prossimo, interpretazione che porta
“a rifarsi della frustrazione in giochi di
potere sessuali ai danni di chi è
innocente e vulnerabile”.
I suggerimenti sono stati partoriti da
Diarmaid MacCulloch, professore di
storia del Cristianesimo a Oxford. La
facoltà di teologia non è la più celebre
nell’università ma lui è noto al grande
pubblico per due ragioni frivole: lo
scorso anno ha curato un documentario
a puntate sulla Bbc e ha fornito
ispirazione a Dan Brown per il
protagonista de “Il simbolo perduto”.
Se un professore può specchiarsi senza
vergogna nel personaggio di un thriller
psico-archeo-pseudo-religioso,
un’ombra piuttosto sinistra si allunga
sul suo metodo di ricerca. Altrettanto
rivelatrice è la storia personale di
MacCulloch: figlio di un sacerdote
presbiteriano, ha intrapreso in prima
persona la carriera ecclesiastica salvo
rinunciarvi polemicamente una volta
raggiunto il diaconato. “Da
omosessuale”, ha dichiarato alla Bbc,
“non avevo modo di proseguire oltre;
ma ero determinato a non cedere di un
millimetro riguardo alla mia identità”.
L’insistenza sull’“io” è la chiave di volta
della sua teologia. Nonostante perfino
Machiavelli e Voltaire concordassero
sul fondamentale carattere comunitario
della religione – il termine ha la stessa
radice di “legame” – MacCulloch, da
trentacinque anni membro del Gay
Christian Movement, sembra ritenere
che ogni credo debba anteporre le
istanze individuali al bene della
collettività. In particolare non accetta
che sia dovere del singolo muoversi
verso le regole universali ma che
queste debbano allinearsi a quello che
lui, il singolo MacCulloch, ritiene di
volta in volta cosa buona e giusta. Sarà
per questo che da qualche anno il suo
passatempo preferito è firmare appelli
contro i più impensati e fantasiosi
generi di discriminazione all’interno di
tutti i culti, cristiani e non; esauriti gli
appelli, ha ritenuto opportuno passare
direttamente alle istruzioni per l’uso di
una chiesa alla quale non appartiene.
Da mandato divino a leadership
Se il Papa applicasse i consigli di
MacCulloch, dovrebbe implicitamente
rinnegare duemila anni di storia e
fondare una religione che col
cattolicesimo avrebbe ben poco a che
spartire, non tanto per l’abolizione del
celibato quanto per il senso
completamente diverso che verrebbe
conferito all’istituto del sacerdozio,
ridotto da mandato divino a leadership
di un’associazione rionale. Lo stesso
MacCulloch dichiara apertamente di
essere cristiano “solo nei fondamentali:
l’affermazione della vita, il non-fareagli-
altri-ciò-che-non-vuoi-che-sia-fattoa-
te e il senso di meraviglia di fronte
alla pazza idea, al paradosso di un Dio
che potrebbe essersi fatto uomo”. Che si
tratti di fondamentali piuttosto blandi è
confermato dal suo volumaccio “A
History of Christianity: the first 3.000
years”. Tremila, non duemila: perché
McCulloch rende merito agli influssi
platonici nel cristianesimo facendolo
iniziare intorno al 1000 a.C. Il suo
cristianesimo retrocede Gesù da svolta
nella storia e centro della redenzione a
fortunata coincidenza nello sviluppo di
una profonda teologia intellettuale il
cui culmine, a quanto pare, è il suo
articolo sul Times di venerdì scorso.
Antonio Gurrado
© Copyright Il Foglio 6 aprile 2010