DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Quell'abbraccio inconcepibile Per lo psicanalista Binasco dietro l’attacco alla Chiesa c’è l’incapacità di comprendere il sacerdote e l'uomo

Laura Borselli

Per lo psicanalista Binasco dietro l’attacco alla Chiesa c’è l’incapacità di comprendere il sacerdote e, al fondo, «l’uomo stesso come rapporto con qualcosa che va al di là dei suoi antecedenti sociali e biologici»

Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa? Il sottotitolo del bel libro di don Massimo Camisasca (Padre, San Paolo, 215 pagine, 16 euro), corre come un brivido lungo la schiena quando su una prima pagina dopo l’altra si rincorrono accuse, rivelazioni vere o presunte di casi di pedofilia imputabili a sacerdoti. Stigmatizzazione di silenzi, imprudenti quando non colpevoli, di vescovi ed alti prelati. Nell’accorata lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda Benedetto XVI ha parlato di «sgomento», di un «senso di tradimento» che il pontefice non appena comprende, ma condivide col suo gregge offeso da pastori che hanno «violato la santità del sacramento». Non basta, tuonano voci come quella del teologo svizzero Hans Küng, doveva esserci un “mea culpa”, un azzeramento dei vertici della Chiesa e, richiesta immancabile nel pensiero dell’ex compagno di studi di Joseph Ratzinger, la riconsiderazione del celibato sacerdotale. Prima un “tonacapulitismo” in grande stile, poi la riscrittura delle regole del gioco. «A parte il fatto che non ci sono dati che ci portino a dire che far sposare i preti sarebbe una soluzione, l’obiezione è anche di tipo logico. Non siamo sempre lì a dire che nella nostra civiltà il matrimonio è in crisi? E allora che senso ha proporre come rimedio una realtà antropologicamente in crisi?». Una provocazione, quella di Mario Binasco, psicanalista e docente di psicopatologia dei legami famigliari presso il Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, che non tralascia di spalancare una prospettiva più ampia rispetto alla tormenta che mentre travolge la Chiesa dice qualcosa su di essa, sulla figura del sacerdote, sulla società.
«Quando si vuol distruggere la religione – ha scritto il curato d’Ars – si comincia con l’attaccare il sacerdote, perché là dove non c’è più il sacerdote, non c’è più sacrificio né religione». Parole che suonano quanto mai profetiche quando, parallela alla richiesta di giustizia e di “pulizia”, sembra emergere una incomprensione profonda: quella per la figura del prete. «Sicuramente – riprende Mario Binasco – al fondo del doloroso attacco che stiamo vivendo c’è un’incomprensione per la figura del sacerdote, ma ancora più al fondo per quell’essere impossibile e in-comprensibile dalla mentalità umana che è l’uomo stesso. Paradossalmente l’epoca dell’individualismo è quella che meno conosce l’uomo. Si mutila la realtà dell’essere umano, volendo sapere di essa soltanto ciò che è compatibile con l’ideologia della società democratica, per esempio i diritti. Il fatto che l’essere umano sia qualcosa che trascende questi elementi è una cosa che non deve più interessare. Ecco allora che quei luoghi di esperienza, che ancora esistono, in cui necessariamente emerge il rapporto dell’uomo con qualcosa che è al di là dei suoi antecedenti sociali e biologici diventano incomprensibili. E la Chiesa è a tutti gli effetti uno di questi luoghi. Un altro è la famiglia, e un altro ancora è la cura psicoanalitica». Non è un caso che il passaggio più alto e anche più contestato della lettera del Papa ai cattolici d’Irlanda sia quello rivolto ai religiosi colpevoli degli abusi: «Riconoscete apertamente la vostra colpa, sottomettetevi alle esigenze della giustizia, ma non disperate della misericordia di Dio». Per i sacerdoti, così come per tutti gli uomini, la Chiesa non rinuncia al ruolo appassionato di madre.

Una pretesa pazzesca
Una pretesa “scandalosa”, anche quando si accompagna a una richiesta di purificazione, perché non mette in discussione la figura del sacerdote. Colui che, ha detto Benedetto XVI nell’udienza del mercoledì della scorsa settimana, trae la sua «forza profetica nel non essere mai omologato né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere».
Non stupisce che oggi osservati speciali siano i seminari. La prova di purificazione che Dio fa vivere alla Chiesa la spinge anche a guardare dentro i cammini educativi che conducono al sacerdozio e che, evidentemente, hanno rivelato in tanti casi un’inadeguatezza nell’affronto di problemi relativi alla maturità affettiva. Quella dimensione che da un educatore come don Massimo Camisasca, superiore della Fraternità sacerdotale San Carlo Borromeo, è indicata come una componente fondamentale della vita del sacerdote. Una tradizione sapiente e antica ci fa chiamare “padre” il sacerdote, a indicare la chiamata del prete a una paternità spirituale verso il suo popolo, ma a sua volta nessuno può essere padre se non ha un padre. Scrive Camisasca: «È necessario che i vescovi tornino a vivere con i seminaristi o dedichino loro almeno una parte importante del loro tempo, che scelgano di vivere la vita comune con alcuni preti, come hanno fatto grandi vescovi del passato. Penso a sant’Agostino o a san Carlo Borromeo. La divaricazione tra la figura del padre e quella dell’autorità è stata ed è un danno per la Chiesa». Paternità, amicizia, rapporto umano. È lecito domandarsi se per queste dimensioni centrali nell’azione pastorale del sacerdote, nonché nella sua vocazione, ci sarà spazio in un futuro in cui in nome di cautele e sospetti una carezza potrebbe far gridare all’abuso. Lo spettro è quello di uno scivolone sessuofobo, un obolo pagato a una mentalità quasi “manipulitista” che in tutto ciò che è rapporto e coinvolgimento vede qualcosa di sospetto. Come se il cristianesimo potesse essere un contratto e non un incontro e un rapporto continuo, come quel legame solido e amoroso che l’Antico Testamento tratteggia con incredibile passione tra Dio e il popolo di Israele. «Io ti ho amato di amore eterno/ per questo ti conservo ancora pietà» (Geremia, 31).
Ma per lo psicanalista Binasco lo scandalo che la Chiesa sta vivendo e gli attacchi a cui è sottoposta dicono molto anche della concezione dell’affettività e della sessualità di cui la nostra società è imbevuta. «Tutti dicono che la pedofilia è un orrore, ma nessuno osa domandarsi perché lo è. E nessuno se lo domanda perché per affermare ragionevolmente che c’è qualcosa di male nella pedofilia bisognerebbe porsi una domanda seria sulla sessualità nell’insieme del problema umano. Prendere atto che i legami tra le persone non tengono se sono solo di uso e consumo».
Quando tutti gli sforzi sono improntati a separare agape ed eros e a fare della sessualità qualcosa di «piacevole e innocuo», come ha scritto papa Ratzinger nell’enciclica Deus Caritas Est, si crea una sorta di cortocircuito. «Oggi – riprende Binasco – viviamo una grande confusione rispetto all’amore che comincia con un’accezione perversa del desiderio. Esso viene “misurato”, cioè identificato con l’oggetto che apparentemente lo suscita, come nella pubblicità. Va da sé allora che quei desideri per cui non si può indicare un oggetto di godimento, non si può mostrare il prodotto non sono “commerciabili”. Per cui tutto ciò che attiene all’amore e al legame tra le persone diventa “non parlabile”. Questo ha modificato anche il concetto di pudore: del sesso tutto si vede e si deve vedere, c’è una spinta folle a scoprire. Invece ad essere diventato materia di vergogna e di pudore sono i sentimenti di tipo amoroso. Per questo quando sento dire che la Chiesa per aprirsi al mondo deve “rivalutare la sessualità” resto interdetto: perché per il mondo di oggi la sessualità è il problema stesso di cui viene venduta come soluzione».

Una logica incomprensibile
In questa concezione a restare censurato è proprio ciò che nella prima enciclica del suo pontificato Benedetto XVI andava scrivendo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Come ha ribadito papa Ratzinger nell’omelia pronunciata giovedì scorso, nella Messa celebrata in Vaticano con i membri della Pontificia commissione biblica, è questo “nuovo orizzonte” – questa “vita” che nasce da un incontro umano, non da un consenso politico o da una dottrina “aggiornata coi tempi” – il vero obbiettivo della «sottile aggressione contro la Chiesa, o anche meno sottile». Ma è proprio «sotto gli attacchi del mondo che ci parlano dei nostri peccati», ha aggiunto il Papa, che «noi vediamo che poter far penitenza è grazia, è rinnovamento, è opera della misericordia divina».
Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa? Sì, se Dio vuole, risponde la logica petrina. Poiché, ha osservato il Papa, se «le dittature sono state sempre contro questa obbedienza a Dio», se «esistono forme sottili di dittature, un conformismo, per cui diventa obbligatorio pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti», sotto tutte le dittature e dentro ogni conformismo, l’esistenza stessa di uomini che continuano ad abbracciare il celibato e la vita sacerdotale rimane il richiamo più normale e radicale a riconoscere Dio. Che «è sempre l’atto della liberazione nel quale arriva la libertà di Cristo a noi».