DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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A Gerusalemme aperto ai visitatori un canale di 2.000 anni fa


di Rosario Pierri

(Gerusalemme) – Da alcune settimane nel sottosuolo del centro storico di Gerusalemme è aperto ai visitatori un nuovo tratto di un antico canale scavato nei pressi della piscina di Siloe e al quale gli archeologi israeliani si dedicano da lungo tempo, tra mille polemiche. I lavori sono andati avanti per sette anni, soprattutto a causa di dispute connesse alla legalità dell’intervento, e sui giornali la «questione di Siloe» è apparsa più volte.

Un tratto del canale recentemente aperto ai visitatori sotto la Gerusalemme vecchia (foto: Israel Antiquities Authority)

L’opera di sistemazione prosegue e sarà completata nei prossimi mesi. Gli archeologi hanno ripulito dai detriti un canale fognario risalente a 2000 anni fa, che corre sotto la strada nell’area della città di Davide, ossia della parte più antica di Gerusalemme, quella legata alla conquista di Davide. La sua sezione meridionale del canale si può visitare da diversi anni ma è abbastanza recente la scoperta che il suo tracciato si prolunga per ben 600 metri.

L’antica conduttura fiancheggia ma non attraversa al di sotto il Monte del Tempio (o Spianata delle Moschee), una zona particolarmente critica, dove si concentrano e si scontrano talvolta in maniera violenta gli interessi degli ebrei e dei musulmani. Chi non ricorda le manifestazioni di protesta organizzate dai palestinesi quando la municipalità di Gerusalemme mise mano alla rampa provvisoria in legno, che dal Muro del pianto conduce alla Porta dei Magrebini l’accesso più meridionale alla Spianata? Era il febbraio 2007, l’eco fu vastissima e ci furono interventi ufficiali da parte di alcuni governi per indurre le autorità israeliane a desistere dalla costruzione della rampa definitiva.

Il canale va dall’interno dell’attuale città antica al quartiere di Silwan. Qualche anno fa gli abitanti di quel quartiere fecero ricorso alla Corte Suprema israeliana, denunciando l’Autorità delle antichità di Israele di estendere gli scavi sotterranei oltre i limiti consentiti dalla legge e di danneggiare, quindi, le loro abitazioni. I lavori furono sospesi per circa un anno ma alla fine la Corte, dopo avere accertato che non c’erano rischi connessi agli scavi, autorizzò gli archeologi a riprenderli. La reazione dei palestinesi si spiega anche con la rivendicazione del territorio di Silwan come parte di Gerusalemme est, capitale del loro futuro stato.

Secondo gli archeologi un altro settore del canale si trova nelle vicinanze della Porta di Damasco.

Il primo a scoprire il canale fu l’esploratore britannico Charles Warren nel 1867. Negli anni Novanta dello stesso secolo fu la volta di Frederick J. Bliss e Archibald C. Dickey del British Palestine Exploration Fund.

In larghezza il canale varia da 1 a 3 metri e ha un’altezza tra 1 e 2 metri. Oggi si trova in certi punti ad una profondità di 15-20 metri, tanto che gli scavatori hanno potuto vedere gli strati inferiori del Muro del pianto. Gli archeologi assicurano che il tracciato del canale segue la valle del Tyropeion, l’area più bassa dell’antica Gerusalemme, e non tocca il Monte del Tempio. Il canale ha sezioni d’epoca asmonea ed erodiana.

La strada che lo sovrastava è lastricata e a gradini, e dalle dimensioni si deduce che doveva essere importante. Gli archeologi la datano tra il 50 a.C. e il 100 d.C., dunque risale al periodo erodiano. La sezione scoperta, lunga 40 metri, si trova in prossimità di un giardino di proprietà della Chiesa greco ortodossa da una parte, dall’altra di un’area sotto l’autorità del Waqf, l’ente di gestione dei beni musulmani.

A rinvenire la strada furono per primi Bliss e Dickey (1894-1897), che al termine degli scavi ricoprirono di nuovo i resti. In seguito altre sezioni della strada più a monte (a nord) sono state scavate e ricoperte, così avvenne nel corso degli scavi di Jones (1937) e di Kenyon (1961-1967).

L’area della strada scavata si trova a 550 metri dal lato meridionale della Spianata del Tempio. Da questo luogo, secondo quanto sostengono gli archeologi responsabili dello scavo, i pellegrini iniziavano la salita verso il tempio, ed è verosimile che questa strada l’abbia percorsa anche Gesù. Nel nono capitolo del Vangelo di Giovannisi ricorda che Gesù, dopo avere spalmato un po’ della sua saliva unita a della terra sugli occhi di un cieco nato, gli disse di andarsi a lavare nella piscina di Siloe che, con buone probabilità, è quella che noi possiamo vedere.

Nel contesto degli scavi più di qualche perplessità solleva il ruolo svolto dall’associazione Elad, un gruppo di coloni che li finanzia e, come testimoniano con lodevole trasparenza alcuni giornali israeliani, favorisce l’insediamento di famiglie di coloni nella zona, provocando risentimento nei palestinesi, per cui si sono avuti forti momenti di tensione nel quartiere con le forze dell’ordine.

L’importanza storica dello scavo è fuori discussione e certamente la rivalutazione dell’area interessata dal punto di vista archeologico è un’operazione condivisibile. Speriamo solo che la prepotenza di alcuni non deturpi una delle acquisizioni archeologiche più notevoli degli ultimi anni a Gerusalemme.


Sondaggio: gli arabi di Gerusalemme preferiscono essere cittadini israeliani


Il futuro di Gerusalemme è considerato una delle questioni chiave del contenzioso e dei negoziati israelo-palestinesi, nonché uno degli ostacoli più significativi al raggiungimento di un accordo di pace definitivo fra le parti. Tuttavia, sul versante palestinese coloro che vivono a Gerusalemme pare che per lo più abbiano già fatto la loro scelta in materia, ed è una scelta che la dirigenza dell’Autorità Palestinese a Ramallah potrebbe non apprezzare.

Un sondaggio d’opinione condotto dalla American Pechter Middle East Polls per conto del Council on Foreign Relations insieme a Nabil Kukali, direttore del Palestinian Center for Public Opinion, rivela che se Gerusalemme venisse divisa, nel quadro di un accordo di pace fra Israele e futuro stato palestinese, gli arabi di Gerusalemme est preferirebbero rimanere sotto sovranità israeliana.

Il sondaggio, che comprendeva gli abitanti dei diciannove quartieri prevalentemente arabi di Gerusalemme est, indica anche che la loro opposizione alla prospettiva di una divisione della città è così forte che in maggioranza preferirebbero trasferirsi in una nuova casa all’interno dei confini d’Israele piuttosto che vivere sotto l’autorità di uno stato palestinese. Lo studio mostra inoltre che i palestinesi che vivono a Gerusalemme sono interessati a conservare la loro carta d’identità israeliana e continuare a godere dei servizi sociali e sanitari garantito dallo stato.

Circa il 35% degli intervistati ha affermato che la cittadinanza israeliana è preferibile, contro il 30% che sceglierebbe quella del futuro stato palestinese. Un altro 35% dice di non sapere o di non voler rispondere alla domanda.

E cosa dicono i vicini? Alla domanda la gente del proprio quartiere preferirebbe diventare cittadino palestinese o israeliano, il 31% ritiene che la maggior parte dei propri vicini preferirebbe essere cittadino palestinese, mentre il 39% ritiene che i vicini preferirebbero essere cittadini israeliani. Anche in questo caso c’è un 30% che dice di non sapere o di non voler rispondere.

A quanto risulta dal sondaggio, la maggior parte degli arabi palestinesi che abitano a Gerusalemme est sarebbe pronta a spingersi molto avanti pur di conservare la carta d’identità blu dello stato d’Israele: il 40% dice che sarebbe disposto a traslocare per rimanere cittadino israeliano, nel caso il suo quartiere passasse sotto sovranità palestinese. Per contro, solo il 27% dice che, nel caso contrario in cui il quartiere rimanesse sotto sovranità israeliana, sarebbe disposto a traslocare verso un’area sotto autorità palestinese.

Come motivazione, oltre ai benefici sociali, coloro che prediligono la cittadinanza israeliana menzionano soprattutto la possibilità di muoversi liberamente all’interno di Israele, il reddito più elevato e le migliori opportunità di lavoro. Invece quasi tutti quelli che optano per la cittadinanza palestinese citano ragioni di ordine nazionalistico e patriottico come motivazione principale.

“Suppongo che la dirigenza palestinese non sarà troppo contenta di questi risultati – dice ad Ha’aretz David Pollock, senior fellow del Washington Institute che ha supervisionato e analizzato la ricerca – Ma penso che i risultati siano molto attendibili e solidi. Ho personalmente supervisionato la ricerca a Gerusalemme, lo scorso novembre, e li reputo molto affidabili”. Pollok aggiunge di ritenere che “il principale motivo per cui si presta così poca attenzione all’opinione della gente che vive a Gerusalemme è che molti temono le risposte a queste domande. Anche dal punto di vista di Israele – aggiunge – il messaggio è a due facce.

Da una parte costituisce probabilmente una gradita sorpresa il fatto che un’alta percentuale di palestinesi di Gerusalemme preferisce non dividere la città; dall’altra, tuttavia, circa la metà degli abitanti di Gerusalemme est ritiene di subire una dose significativa di discriminazione. Le autorità israeliane dovrebbero dunque risolversi ad integrare veramente questi 270.000 palestinesi.

Esiste una netta discrepanza – conclude lo studioso – fra ciò che presumono i decisori politici, in Israele e nei territori, circa i palestinesi di Gerusalemme est, e ciò che questi ultimi vogliono effettivamente. Penso che tutti, israeliani, palestinesi e altri arabi, dovrebbero prestare molta attenzione a questi risultati”.

(Da: YnetNews, Haaretz, 13.1.11)

Jerusalem people (Photograph © Giulio Brantl)

Patrimoni dell’umanità – Città Vecchia di Gerusalemme




La Città Vecchia di Gerusalemme è quella parte della città che si trova dentro le mura. Il nucleo originario dell’abitato, invece, chiamato Città di David ed edificato sul monte Sion, è rimasto esternamente alle attuali mura, verso Sud.

Le mura attuali definiscono un territorio posto a nord della Città di David, distrutta durante la prima guerra giudaica dalle truppe romane comandate da Tito Flavio Vespasiano.

Sion, se non era fortificata al tempo dei Gebusei, lo fu certamente con Davide, mentre suo figlio Salomone occupò la parte settentrionale del colle, la cima Moriah e vi fece costruire il Tempio di JHWH, laddove oggi vi è la Moschea di Omar.

Al tempo del re riformatore Ezechia le mura percorrevano, oltre al nucleo vecchio, tutti i lati del Gareb, collina a ovest di Sion. La Città di David, posta a un’altitudine minore, fu detta “Città bassa”, mentre la “Città alta” era il Gareb. A Nord si stendeva, sul cosiddetto “sperone centrale”, una propaggine meridionale del Golgota, la zona del mercato, il maqtesh, anch’esso difeso da mura, dette “di Manasse”.

Erode Agrippa I, detto anche “Il Grande”, inglobò nella città i suburbi settentrionali, detti mishneh, cioè città nuova.

Dopo Tito, Gerusalemme assume una veste nuova, il Tempio distrutto venne sostituito dal Tempio di Giove, e la città fu ribattezzata Aelia Capitolina.


La guerra del Tempio. I sraele sta progettando un grande scavo archeologico sotto la piazza del Muro del Pianto, davanti al Monte del Tempio.

Vi si vede descritta un’idea che - se attuata - cambierebbe radicalmente il modo di accostarsi al luogo più sacro per ogni ebreo, la memoria del Tempio distrutto dai romani nel 70 d.C. Esteriormente l’attuale piazzale dove si prega rimarrebbe immutato. Ma - grazie a un sistema di pilastri di sostegno - nel sottosuolo verrebbe creato un nuovo ambiente, che si troverebbe all’esatta altezza che aveva il terreno nella Gerusalemme di duemila anni fa. Quindi è facile prevedere che qui verrebbero alla luce reperti archeologici di grande importanza. Per gli ebrei religiosi, poi, significherebbe vedere di «quel Muro» la parte che realmente vedevano accanto a loro i fedeli che, nel I secolo d.C., da questo lato salivano al Tempio. Va precisato che l’uso del condizionale è d’obbligo, perché l’attuabilità di un progetto del genere è tutta da verificare. Scavare sotto il piazzale aprirebbe, infatti, un nuovo fronte nella guerra degli scavi archeologici che intorno al Monte del Tempio si combatte dal 1967 - quando Israele ha assunto il controllo di questa parte di Gerusalemme.


«I sraele sta progettando un grande scavo archeologico sotto la piazza del Muro del Pianto, davanti al Monte del Tempio. Con questi scavi verrà creato un parco archeologico sotto l’area dove i fedeli attualmente stanno in piedi a pregare». A lanciare la notizia è Arutz Sheva, l’agenzia di stampa israeliana vicina alla destra religiosa. Un annuncio attribuito a «fonti ufficiali». E che viene da una testata molto attendibile su questi temi: per ovvie ragioni, Arutz Sheva è l’agenzia più attenta a tutto quanto si muove intorno al Muro del Pianto. Quasi, poi, a voler fugare ogni dubbio, la notizia è accompagnata da un disegno attribuito direttamente all’Israel Antiquities Authority , l’ente governativo israeliano che sovrintende agli scavi archeologici.

Vi si vede descritta un’idea che - se attuata - cambierebbe radicalmente il modo di accostarsi al luogo più sacro per ogni ebreo, la memoria del Tempio distrutto dai romani nel 70 d.C. Esteriormente l’attuale piazzale dove si prega rimarrebbe immutato. Ma - grazie a un sistema di pilastri di sostegno - nel sottosuolo verrebbe creato un nuovo ambiente, che si troverebbe all’esatta altezza che aveva il terreno nella Gerusalemme di duemila anni fa. Quindi è facile prevedere che qui verrebbero alla luce reperti archeologici di grande importanza. Per gli ebrei religiosi, poi, significherebbe vedere di «quel Muro» la parte che realmente vedevano accanto a loro i fedeli che, nel I secolo d.C., da questo lato salivano al Tempio. Va precisato che l’uso del condizionale è d’obbligo, perché l’attuabilità di un progetto del genere è tutta da verificare. Scavare sotto il piazzale aprirebbe, infatti, un nuovo fronte nella guerra degli scavi archeologici che intorno al Monte del Tempio si combatte dal 1967 - quando Israele ha assunto il controllo di questa parte di Gerusalemme.

È proprio sopra al Muro del Pianto - infatti - che sorge la moschea di al-Aqsa. Anche in anni recenti ci sono stati episodi violenti legati a iniziative archeologiche in questa zona delicatissima della Città Santa: nel 1996 - quando già allora era premier Netanyahu - l’apertura del tunnel archeologico (che corre verso nord dal Muro del Pianto) fu accompagnata da gravissimi scontri con i musulmani di Gerusalemme. Nel 2007, poi, è stata la volta della tensione intorno alla ristrutturazione della rampa dei Mughrabi, il passaggio attraverso cui - a poche decine di metri a sud rispetto al Muro del Pianto - i musulmani salgono alla spianata delle moschee a pregare. E appena poche settimane fa ci sono stati nuovi scontri dopo che lo sheikh Raed Salah, leader del Movimento islamico in Israele, si è scagliato contro gli scavi condotti dagli archeologi israeliani che - secondo lui - minerebbero le fondamenta di al Aqsa. Un progetto politicamente incandescente, dunque. Ma che non sorprende, se guardato alla luce di quanto sta accadendo intorno al Muro del Pianto. I lavori condotti nei tunnel a nord - scavati sotto le case - hanno infatti portato alla luce numerosi reperti della Gerusalemme erodiana. Ma un’altra scoperta di grande valore è affiorata, quasi per caso, nella parte ovest della piazza, quella opposta al Muro del Pianto.

Qui, nel 2005, l’allora governo Sharon aveva dato il via libera alla costruzione di un nuovo museo. Ma, quando si è aperto il cantiere, è riemerso un tratto del cardo orientale, una delle due strade più importanti della Gerusalemme romana. La scoperta non ha però fermato il progetto del nuovo museo - 4800 metri quadri, tre piani di altezza - che verrebbe costruito sopra, adibendo il piano interrato alla visita del nuovo reperto. Ma se già si scende per visitare la strada romana - è il ragionamento che ora sta dietro al disegno dell’Israel Antiquities Authority - perché non ampliare verso est questi scavi sotterranei, arrivando fino al Muro del Pianto? Contro questa idea non giocano, però, solo considerazioni politiche: ha fatto scalpore, qualche giorno fa, la presa di posizione di Yoram Tsafrir, uno dei maestri dell’archeologia israeliana, che ha definito un’assurdità l’idea di costruire il museo sopra la strada romana. «Anche il migliore architetto non sarebbe in grado di evitare danni al reperto - ha dichiarato - . Ci si comporta con tanta leggerezza solo perché quella non è una scoperta direttamente legata alla storia ebraica». Parole ancora più dure sui metodi di lavoro dell’Israel Antiquities Authority sono state scritte da un altro archeologo israeliano, Raphael Greenberg. «Per diversi anni - ha denunciato sul quotidiano Haaretz - sono stati condotti lavori in tunnel scavati orizzontalmente, un modo di procedere contrario a qualsiasi metodo di scavo accettato».

L’accusa è quella di praticare un’archeologia frettolosa interessata a «un unico strato» (quello appunto della Gerusalemme erodiana), compromettendo reperti significativi (romani, bizantini e arabi) che potrebbero essere presenti negli strati superiori. Il disegno del parco archeologico progettato nell’area del Muro del Pianto a Gerusalemme, che sta scatenando polemiche

Giorgio Bernardelli

Avvenire 27 ottobre 2009