DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Il cristianesimo a Malta tra il VI e il XVI secolo Arrivò Ruggero ma l'isola aveva già la sua Signora

di Vincent Borg

Come si evince dagli scavi effettuati nella parte meridionale dell'isola di Malta, a Tas-Silg il famosissimo tempio di Era, poi di Giunone, immortalato da Cicerone nella sua quarta orazione Verrina, era ancora attivo nel quarto secolo dopo Cristo. La sua importanza pagana cominciò a scemare solo verso gli ultimi decenni di quel secolo. Il sito poi fu parzialmente adattato a luogo di culto paleocristiano con un battistero adiacente. Fino al periodo teodosiano, in tutto il mondo romano, i templi pagani insieme con la società aristocratica e le aree rurali furono due delle ultime roccaforti che si opponevano alla diffusione del cristianesimo. Malta, nonostante le sue piccole dimensioni, non faceva eccezione a questa situazione prevalente. Tuttavia, il cristianesimo aveva già attecchito ovunque come attestano i numerosi siti di sepoltura cristiana.
Un po' di tempo dopo, probabilmente verso la fine del vi secolo la vita monastica si inserì in questo complesso. Ciò può essere derivato da un intervento diretto di Papa Gregorio Magno che nominando un nuovo vescovo per Malta, lo esortò a portare con sé dalla Sicilia monaci che avrebbero potuto aiutarlo durante la sua permanenza. I summenzionati scavi a Tas-Silg hanno fornito la prova definitiva della presenza monastica sull'isola. Scavi precedenti al di fuori dell'antica città romana di Melite, ora Mdina, a Tad-Dejr, avevano indicato sviluppi simili.
Uno studio accurato di un certo numero di frammenti di vasi trovati a Tas-Silg può, infine, fornire ulteriori informazioni e prove sulla vita monastica attiva in quell'ambiente dal vi secolo in poi.
Alcuni hanno ipotizzato che il cristianesimo a Malta cessò di esistere dopo la conquista di queste isole da parte dei musulmani nell'870. In effetti, prove storiche hanno mostrato che da allora il Papa cessò di nominare vescovi per la provincia siciliana, inclusa Malta. L'ultimo vescovo menzionato fu fatto prigioniero dai musulmani. L'Imperatore Leone l'Isaurico, in seguito alla frattura causata dalla controversia con il papato sull'iconoclastia, nel 730 privò quest'ultimo della giurisdizione su vasti territori occidentali, che inserì nella giurisdizione ecclesiastica del patriarca di Costantinopoli e in parte nell'impero bizantino.
Questi territori includevano la Sicilia e le isole maltesi. Dopo la conquista musulmana di Malta non vi è più alcun riferimento a vescovi di Malta nominati dal papato. Questa era anche la situazione prevalente nelle isole siciliane. I patriarchi di Costantinopoli, da parte loro, continuarono a nominare vescovi per queste diocesi, incluse le isole maltesi. Tra l'altro nelle liste dei nominati c'erano due vescovi distinti, uno per Malta e un altro per Gozo. Tuttavia, questa situazione precaria non esclude la possibilità della sopravvivenza di una comunità cristiana. Ricerche recenti hanno dimostrato che i musulmani, dopo aver saccheggiato le isole non vi si insediarono. Le abbandonarono per tornarvi soltanto due secoli dopo, all'incirca nel 1050. Nel 1090, dopo un breve periodo di quarant'anni, furono definitivamente cacciati dal conte Ruggero i d'Altavilla, che aveva ricevuto dal Papa l'incarico di liberare la provincia siciliana dal giogo musulmano, cosa in cui riuscì alcuni anni prima dell'inizio del periodo delle crociate. Il risultato di tale impresa fu che Malta fu ancor più inserita nel cristianesimo. Le prove archeologiche sembrano evidenziare che, durante i due secoli summenzionati, la popolazione cristiana sopravvissuta a Malta, utilizzava per il culto i primi luoghi cristiani di sepoltura, in particolare quelli oggi denominati catacombe di san Paolo. In effetti, furono apportate importanti modifiche strutturali all'interno per adattarli al culto della comunità cristiana. In quella fase potrebbe essere stato murato l'ingresso principale e creato un nuovo accesso. Ciò potrebbe anche far supporre che la comunità cristiana subisse una qualche forma di coercizione in quanto non libera di praticare il culto. Ciononostante questo indica la sua continuità anche se in circostanze difficili. Inoltre, anche uno studio delle rappresentazioni precedenti della Madonna a Malta, punta in questa direzione. Vi è un immagine che si trova nel santuario troglodita di Mellieha. Il suo studio accurato ha permesso a chi scrive di arrivare a conclusioni molto importanti e di decifrare e a stabilire la cronologia epigrafica di certe lettere inserite in tale immagine. La tradizione del XVI secolo, seguita da innumerevoli storici, affermava che Madonna significa "madre di Dio" scritto nel greco tipico di tutte le icone greche. Dopo il restauro di questo dipinto negli anni settanta, si è accertato che i caratteri del suddetto titolo non sono affatto greci, ma appartengono alla scrittura carolina. Quest'analisi, infatti, ha fatto nascere ipotesi molto importanti. Oltre a evidenziare una tradizione culturale differente, ha dato la cronologia esatta di questo dipinto. Infatti la scrittura carolina appartiene a un periodo preciso, ovvero dalla fine dell'ottavo secolo fino alla fine dell'undicesimo. Di recente, questa conclusione ha trovato il sostegno di un'autorità dell'iconografia cristiana come Adolf Nokolaevich Ovchinnikov, già rettore dello Grabar Institute of Icon Art a Mosca, un esperto di iconografia orientale cristiana. Analizzando il dipinto da un punto di vista iconografico, egli ha fissato la data dell'esecuzione per il decimo secolo il che attesta che il culto cristiano era sopravvissuto anche in una località piuttosto lontana dal centro principale dell'isola durante il periodo musulmano.
Dopo la conquista normanna dell'isola, l'organizzazione della Chiesa a Malta, in gran misura, era identica al modello prevalente in Sicilia. Il capitolo della cattedrale è già documentato durante il xiii secolo. Questa entità era il cardine della vita ecclesiastica. Era pratica ordinaria concedere il vescovado locale a stranieri. Difficilmente i vescovi risiedevano nella loro diocesi. Questo infatti era normale ovunque nel medioevo. Il sistema parrocchiale esisteva già. A questo proposito esistono documenti del primo decennio del XV secolo che attestano chiaramente che era stato introdotto molto prima. Già nel 1436 esistevano non meno di dodici prebende parrocchiali in tutta Malta.
La concessione a feudo delle isole di Malta all'ordine di San Giovanni di Gerusalemme nel 1530, aprì nuovi orizzonti. L'ordine religioso militare era un'organizzazione cattolica interamente dedicata alla difesa dell'ideale cristiano anche attraverso la forza delle armi - manu armata. L'aspetto religioso consisteva nelle opere di misericordia, in particolare verso i malati. Era stato fondato a Gerusalemme per accudire i pellegrini malati in visita nei luoghi santi nel 1099. Per tre secoli Malta fu governata da questo ordine come stato teocratico. Di conseguenza, diviene un importante baluardo a difesa del fianco meridionale dell'Europa cristiana, in particolare contro l'infiltrazione di forze islamiche provenienti da vari paesi del bacino del Mediterrano. Già nel xv secolo Malta e Gozo avevano, di fatto, subito diversi massacri da quelle forze, che, però, si erano considerevolmente intensificati con l'arrivo dell'ordine di san Giovanni. Nel 1551, Gozo fu completamente saccheggiata e la maggior parte della sua popolazione fu resa schiava negli stati barbareschi e a Costantinopoli stessa. Anche gli archivi furono presi e portati a Costantinopoli. Malta, quello stesso anno, subì un attacco simile, ma le fu risparmiata la tragedia di Gozo. Periodiche schermaglie erano tipiche forme di rappresaglia per gli attacchi compiuti dai vascelli maltesi, in particolare lungo la costa nordafricana. Il peggio però doveva ancora venire. Il Grande Assedio di Malta, nel 1565, fu un massiccio attacco teso a cancellare la presenza cristiana dal territorio. Se allora Malta avesse perso, molto probabilmente la storia europea avrebbe preso altre direzioni. Papa Pio v si rese pienamente conto dell'importanza vitale raggiunta grazie alla vittoria ottenuta da Malta dopo l'assedio. Immediatamente dopo aiutò e promosse le difese dell'isola permettendole di proseguire la sua missione di fortezza impenetrabile a difesa dell'Europa cristiana.


(©L'Osservatore Romano - 17 aprile 2010)

Quando Paolo naufragò a Malta. Alla ricerca dei primi segni del cristianesimo nell'isola

di Fabrizio Bisconti

Un terribile naufragio costrinse la nave, che conduceva Paolo prigioniero verso Roma, ad approdare a Malta. Era l'anno 60 e lì l'Apostolo delle genti trascorse tutto l'inverno, in quell'isola, situata al centro del Mediterraneo, colonizzata dai Fenici e inserita nell'area d'influenza romana sin del 218 prima dell'era cristiana, incorporata nella provincia di Sicilia.
Paolo - come sappiamo dagli Atti degli apostoli (27, 39-28, 10) - fu accolto dagli abitanti locali, che Luca definisce bàrbaroi, forse perché si esprimevano ancora in una lingua legata all'idioma punico, nonostante l'oramai definito processo di romanizzazione. Gli abitanti di Malta, estremamente ospitali, per scongiurare il freddo dell'inverno incipiente, accesero un grande falò, con l'aiuto dello stesso Paolo che, alla ricerca di legname per alimentare il fuoco, fu morso da una vipera, senza conseguenze, talché i maltesi rimasero sbalorditi, pensando, dapprima, di essere dinanzi a un assassino e, poi, davanti a una divinità. Non lontano dal luogo dell'approdo, erano le proprietà del pròtos tès nèsou Publio, di cui Paolo guarì il padre, e così gli altri isolani ammalati accorsero per essere sanati.
Ebbene, i fatti accaduti sono tradizionalmente ambientati nella cosiddetta baia di San Paolo, nel settore nordorientale dell'isola, non lontano dalla piccola chiesa rurale di San Pawl Milqi dalla facciata secentesca, ma già documentata nello scorcio del 1400. La Missione archeologica italiana, avviata, tra il 1963 e il 1968, da Michelangelo Cagiano de Azevedo e ripresa recentemente con la direzione di Maria Pia Rossignani, ha evidenziato nel sito, che dalla preistoria giunge all'età moderna, un insediamento rurale organizzato attorno a un grande edificio, una sorta di fattoria, edificata nella tarda età repubblicana per la produzione dell'olio. Mentre gli archeologi stanno valutando, con estrema attenzione e metodo critico, le deduzioni dei primi esploratori, che discussero - tra l'altro - attorno al rinvenimento di un singolare graffito, dove alcuni riconobbero l'antroponimo Paulus, l'indagine topografica ha ravvisato altri insediamenti rurali nella vallata e ne ha anche individuato l'aspetto polifunzionale, forse collegabile alle estese proprietà di Publio.
La Missione archeologica italiana ha ripreso anche gli scavi di un complesso pluristratificato al centro dell'isola, che sembra prendere avvio nel vi secolo, nel sito di Tas-Silq, con un santuario dedicato alla divinità fenicia Astarte, che si identificherà prima con Hera e poi con Giunone, dando luogo a un culto internazionale, che fece confluire tante ricchezze, tali da attrarre l'attenzione di Verre, che saccheggiò il tempio (Cicerone, in Verrem ii, 4, 103-104; ii, 5, 184). Il lungo e ininterrotto processo di stratificazione, prevede, tra il iv e il vi secolo dell'era cristiana, la costruzione di un edificio di culto cristiano a tre navate, provvisto di un ambiente battesimale, di cui si sono individuate due fasi, attraverso lo studio delle monete interposte tra le due vasche.
Ma il momento paleocristiano - dopo e al di là dell'approdo paolino - è testimoniato dalla cospicua presenza di ipogei funerari cristiani, dislocati specialmente nel suburbio della città di Malta, l'attuale Mdina, proprio nel cuore dell'isola. L'uso di seppellire in ambienti ipogei, già tipico della civiltà punica, è diffuso anche in altri siti dell'isola e pure nella vicina isola di Gozo, dimostrando che tale tipologia funeraria accontentava un po' tutte le committenze religiose, come dimostrano alcuni ipogei sepolcrali con chiare allusioni iconografiche al giudaismo. Gli ambienti sotterranei mantengono la limitata estensione e le caratteristiche del sepolcreto familiare e assumono le peculiarità della catacomba comunitaria soltanto quando le camere ipogee sono unite da brevi corridoi, come nel caso delle catacombe di San Paolo e di Abbatija Tad-Dejr, nei pressi della città romana, proprio all'esterno del circuito murario, ambedue collegate ad un edificio di culto al sopraterra. Gli ipogei paleocristiani maltesi presentano il singolare sepolcro a baldacchino, che si sviluppa come una sorta di ciborio scavato nel calcare locale al di sopra di un monumentale parallelepipedo, ove si apre la tomba a finestra, in uso nell'isola sin dalla fase punica. Un altro organismo particolare riscontrabile negli ipogei cristiani di Malta è rappresentato dalla mensa circolare, usata per i pasti collettivi di tipo funerario, assai simile a quelle ritrovate nei sepolcreti sub divo di Cornus in Sardegna e di Tarragona. Estremamente rare risultano le decorazioni pittoriche, fatta eccezione per un caso riscontrato nell'ipogeo di Sant'Agata, presso l'odierna Rabat, che presenta una nicchia affrescata con una coppia di volatili, che si avvicinano a due cesti di fiori sotto ad una grande conchiglia, per alludere al mondo paradisiaco. Per il resto, le catacombe maltesi risultano spoglie, prive di apparati epigrafici, tanto che non è facile datare questi monumenti che, comunque, per le caratteristiche topografiche, per le tipologie sepolcrali, per gli elementi ceramici e di corredo, nonché per i rari affreschi di cui si è appena detto, possiamo collocare tra il iv e il v secolo.
I monumenti catacombali e quelli cultuali rinvenuti nell'isola documentano, dunque, una cristianizzazione precoce e radicata, forse proprio dovuta a quell'approdo, a quel soggiorno paolino, che diede avvio ad un processo, che si definisce nel corso del iv secolo, se Giovanni Crisostomo ci parla di una devozione assai fiorente e diffusa nei confronti dell'apostolo delle genti all'indomani della pace della Chiesa.


(©L'Osservatore Romano - 16 aprile 2010)

Malta. L’isola che mostra ancora i segni di san Paolo

DI E GIDIO P ICUCCI
M
alta è un arcipelago com­posto di tre isole grandi, Malta, Gozo, Comino e da alcune minori. Eppure si dice che abbia più siti archeologici che spiagge.
Tra questi, importante è la Grot­ta di san Paolo, che si trova nei pressi di Mdina, la
città silenzio­sa .
In un’antica stampa si legge che « l’Apostolo coi compagni, scampato dal naufragio, dopo a­ver preso terra a Ghajn Razzul ( Fonte dell’Apostolo), si recò a Wardia ( Vedetta), ove per tre gior­ni si valse della generosità del Principe dell’isola. Venuto quin­di nella città di Melite, oggi Mdi­na, nel Palazzo di Pubblio, data la sanità del padre di lui e degli altri ammalati, battezzò il Principe in­sieme colla sua famiglia, il Cen­turione coi soldati e l’equipaggio della nave con moltissimi Malte­si. Divenuto perciò suo principal ministero l’istruire, il conferma­re nella fede, l’amministrare i di­vini sacramenti e il conferire coi catecumeni, gli bisognò un luogo a ciò destinato. Questo si fu la Grotta che consacrò a Dio facen­dola
Oratorio » . In poche parole redatte con lo sti­le del tempo e con una certa esa­gerazione, l’autore descrive quan­to avvenne sul finire degli anni 60 dopo Cristo sulle spiagge del pic­colo arcipelago. Una nave fru­mentaria proveniente da Cesarea Marittima e diretta a Roma nau­fragò nel Mediterraneo durante la quattordicesima notte di viag­gio.
A bordo c’erano 276 persone, tra cui anche Paolo di Tarso, condot­to a Roma perché, durante uno dei tanti processi a suo carico, si era appellato all’imperatore. Af­fidato al centurione Giulio, egli e­ra accompagnato da due disce­poli: Aristarco di Tessalonica e Lu­ca di Antiochia, l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Aposto­li. È lui che racconta il disastroso naufragio dovuto all’imprudenza di un armatore più interessato al guadagno che ai passeggeri. Egli sciolse le vele nel periodo del ma­re
chiuso,
cioè quando le navi do­vevano restare nei porti ( novem­bre- marzo) e si espose a un ine­vitabile fallimento.
Paolo aveva mostrato più volte il desiderio di incontrare la comu­nità di Roma ma, fedele alla scel­ta di non intromettersi nelle zo­ne evangelizzate da altri, aveva atteso che essa aumentasse con elementi venuti dal paganesimo. Mai aveva pensato che avrebbe potuto farlo non da uomo libero, ma con le mani strette dalle cate­ne.
Nessun naufrago conosceva Mal­ta, ma l’impatto fu amichevole. «Gli abitanti ci trattarono con cor­tesia – scrive san Luca – accesero un gran fuoco per asciugarci le ossa bagnate e ristorarci dal fred­do. Anche Paolo raccolse una bracciata di rami secchi e, men­tre li buttava sul fuoco, svegliata dal calore, ne sbucò fuori una vi­pera che gli si attaccò a una ma­no. Gli isolani, vedendo la bestia penzolargli dal polso, pensava­no:' Costui dev’essere un poco di buono se, appena scampato dal naufragio, la giustizia divina non gli permette di vivere'. Ma Paolo scosse la mano, e la bestia finì sul fuoco, senza che lui ne avesse a­vuto il minimo danno. Visto che non gli accadeva nulla, cambia­rono opinione e dissero:' Costui deve essere un dio' » .
Grazie alla conoscenza dell’e­braico, Paolo riuscì a farsi capire dalla gente che parlava il puni­co,
una lingua che, secondo sant’Agostino, aveva molte at­tinenze con l’a­ramaico.
Il primo con cui l’Apostolo trattò fu Publio, delegato del pretore che si trovava in Sicilia, chiamato il
primo dei maltesi ,
che lo ospitò in casa e ne ottenne la guarigio­ne del padre. Ad essa, secondo quanto racconta Luca nei pochi versetti in cui condensa il sog­giorno di tre mesi nell’isola, se­guirono altri miracoli che spinse­ro la gente a « colmare di onori » gli ospiti eccezionali.
Malta è piena di ricordi paolini: oltre la grotta, frequentata non solo come luogo d’interesse sto­rico e archeologico, ma anche co­me centro di preghiera in cui i sa­cerdoti che accompagnano i pel­legrini possono celebrare la
Mes­sa del Naufragio di san Paolo,
conserva varie chiese a lui dedi­cate ( famosa la cattedrale di M­dina), catacombe che portano il suo nome e celebra addirittura la festa del
naufragio di Paolo , che ricorre il 10 febbraio. I maltesi considerano Paolo il loro padre spirituale e il suo naufragio il maggior evento della storia na­zionale. Per questo affollano la processione del 10 febbraio; at­tribuiscono a Paolo il privilegio di aver liberato l’isola dalle vipe­re; vanno pelle­grini alla Colle­giata, una delle più importanti di Malta; venerano con ammirevole devozione le reliquie donate loro da Pio VIII: un osso del polso de­stro dell’Apostolo e parte della pietra sulla quale egli fu decapi­tato a Roma. Nessuna meraviglia, allora, se Malta è una felice oasi del cattolicesimo e, in proporzio­ne agli abitanti, una delle nazio­ni col maggior numero di voca­zioni religiose- sacerdotali.
Qui l’Apostolo durante un viaggio in nave verso Roma fece naufragio e visse in una Grotta che porta ancora il suo nome




© Copyright Avvenire 14 aprile 2010

Malta. Quei cristiani sopravvissuti alla dominazione araba

di Stanley Fiorini
Università di Malta

L'isola di Melita, dove secondo gli Atti degli Apostoli (27-28) naufragò l'apostolo Paolo, viene comunemente identificata dagli esperti con Malta, l'isola più grande nell'arcipelago a cento chilometri a sud della Sicilia, anche se altre isole, in particolare Mljet, sulla costa della Dalmazia, hanno in passato contestato questa identificazione. Comunque, come nelle altre parti dell'Impero romano, il cristianesimo si manifestò apertamente nelle isole maltesi con la benedizione data da Costantino il Grande alla nuova religione.
Evidenze archeologiche e documentarie testimoniano tale presenza: dal complesso estensivo di ipogei per la sepoltura cristiana del primo periodo, alle successive liste di vescovi soggetti a Roma che hanno retto la comunità locale.
All'apice della controversia iconoclasta, nella prima metà dell'ottavo secolo, le isole, insieme con la Sicilia, la Calabria e l'Illyricum, vennero sottratte all'influenza di Roma dal Basileus e integrate nella Chiesa bizantina. Per circa un secolo, fino alla cacciata dei bizantini per mano degli arabi tra l'869 e l'870, la Chiesa in queste isole era greca.
Quel che accadde dopo, però, non è altrettanto chiaro.
In questi ultimi cinquant'anni, ricercando la scarsa documentazione che si riferisce al periodo della dominazione araba, gli studiosi sembrano inclini a convergere verso la descrizione di uno scenario piuttosto austero, di quasi totale spopolamento delle isole, implicante una rottura etnica praticamente totale col primo millennio. Tale frattura porterebbe con sé la mancanza di continuità in fatto di presenza cristiana. E a sostegno di questa posizione sono state avanzate alcune ragioni forti, ivi compreso il fatto che i primi due secoli dopo l'870 si sono finora dimostrati relativamente sterili dal punto di vista archeologico, forse a motivo di una sanguinosa eliminazione dell'opposizione bizantina da parte dei musulmani. Lo dimostrano: la presenza del vescovo di Malta in catene a Palermo poco più tardi; l'iscrizione tunisina che riporta come Qasr Habashi venne costruita con le pietre della chiesa di Malta; e i segni di bruciature nella basilica bizantina a Tas-Silg, sulle cui rovine venne edificata una moschea.
La prova decisiva per questa teoria "della frattura" era un testo di Al-Himyari - rinvenuto di recente - che conferma lo scenario di desolazione e parla di un totale spopolamento per circa centosettanta anni, prima della nuova ondata di incremento demografico portata dagli arabi. Inoltre la lingua, come pure le evidenze toponomastiche e antroponimiche sopravvissute fino al presente sono essenzialmente di origine araba.
Più di recente, però, qualche nuova evidenza è venuta alla luce sotto forma di un lungo poema in versi bizantini dodecasillabici. Si trova nella Biblioteca Nacional a Madrid e, analizzato a fondo, dimostra che esisteva uno scenario alquanto diverso. Il poeta, esiliato dal re Ruggiero di Sicilia per circa nove anni nell'isola di Gozo (Melitegaudos) inter alia descrive - dal proprio punto di vista - le gesta del sovrano, compreso il suo attacco nel 1127 a Gozo, dove il sovrano ha trovato una comunità di cristiani col loro vescovo.
Questa informazione completamente nuova è convalidata da altre asserzioni, come il fatto che Ruggiero abbia cacciato dall'isola gli sceicchi musulmani con i loro familiari e molti schiavi, sostituendo le loro moschee con chiese affidate a sacerdoti che avevano "adorato la Santissima Trinità dal tempo dei loro antenati" (patrothen). Le parole usate per descrivere la comunità cristiana - hostis kinetheis dexias pros tes ano, cioè chi aveva fatto rottura col patto del passato - hanno una portata particolare. Il "patto del passato" poteva essere soltanto la dhimma, che implica come questi cristiani a Gozo fossero sempre stati soggetti ai loro padroni musulmani, attraverso un patto che come cittadini di seconda classe garantiva la pratica relativamente libera della loro religione dietro pagamento di un tributo, la gizja.
Ci si dovrebbe domandare allora come abbiano potuto due isole così vicine - Malta e Gozo - avere una sorte così diversa sotto gli arabi. Per la risposta ci vengono in soccorso due medaglie del periodo bizantino: una di Teofilatto, archon di Gozo, e l'altra di Nicetas, archon kai droungarios di Malta. Questo implica che un droungarios a capo di un contingente di circa tremila soldati probabilmente oppose resistenza agli arabi. La risposta di questi ultimi fu severa, secondo le abitudini del tempo, con la conseguente devastazione dell'isola più grande di Malta. Dall'altro lato, non aveva molto senso resistere per l'isola più piccola di Gozo, che di conseguenza capitolò firmando il succitato patto di sudditanza.
Oltre al fatto che Al-Himyari non parla mai di Gozo, lo scenario è convalidato dall'informazione importante - di un secolo dopo l'attacco di Ruggiero - contenuta nei dati di un censimento delle popolazioni delle isole sotto il re Federico ii. Dimostra che i numeri relativi alle popolazioni musulmane e giudaiche per Malta erano all'incirca quattro volte superiori a quelli per Gozo (come era da aspettarsi), ma il contrario si verificava per la popolazione cristiana di Gozo, che risulta di ben quattro volte maggiore di quella di Malta.
Affinché la solida ipotesi "della continuità" possa essere accettata, occorrerebbe ricercare tracce della sopravvivenza della Chiesa greca. E questa ricerca premierebbe lo studioso: è noto, infatti, che anche nel tardo Cinquecento la stragrande maggioranza dei santi venerati in queste isole erano greci. Di più: viene alla luce con sempre maggiore evidenza che le date di celebrazione delle festività di gran parte di essi - Elena, Basilio, Ciriaco, Venera - fino a tempi molto tardi erano quelle del rito greco, e non di quello latino. Anche l'amministrazione dei sacramenti mostra elementi residuali del rito bizantino, come il battesimo per immersione, la comunione sotto le due specie e il rito del matrimonio attraverso l'incoronazione.
Su questo sfondo si può correttamente reinterpretare quanto venne detto in passato da eminenti studiosi di alcuni termini liturgici maltesi che ricordano il rito greco.
Tale nuova evidenza implica che, mentre Malta potrebbe aver sperimentato una rottura della propria tradizione cristiana risalente ai tempi apostolici, Gozo sembra aver mantenuto vivo un sottile "istmo" di fede che collega i due millenni.



(©L'Osservatore Romano - 9 aprile 2010)