DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Pio XII scelse di agire senza parlare per non essere schiacciato tra nazismo e comunismo

E’morto recentemente lo storico padre
Pierre Blet, autore di svariati studi,
tra cui, in particolare, “Pio XII e la
Seconda guerra mondiale, negli archivi
vaticani” (San Paolo), ricostruzione
minuziosa dell’azione della diplomazia
vaticana. Essendo questo libro una
raccolta immensa di dati e informazioni
che rendono conto della complessità
delle vicende dell’epoca, mi limiterò a
trarne alcuni spunti. Anzitutto Blet
descrive le condizioni di un Papa
schiacciato tra nazismo e comunismo,
tirato per la tonaca a destra e a sinistra,
da tutti i contendenti. Pio XII come Papa
si trovò a dover condannare nazismo e
comunismo, come ideologie, senza però
che la condanna investisse il popolo
tedesco e quello russo in quanto tali;
senza che le sue dichiarazioni
apparissero dettate da disegni politici;
senza che esse potessero venir sfruttate
dalla propaganda dei singoli paesi a
scopi poco nobili; senza che divenissero
un boomerang per coloro che erano già
perseguitati. La terribile difficoltà di
dover agire, vaso di coccio tra vasi di
ferro, è esemplificabile analizzando la
situazione della Polonia. Questo paese, a
maggioranza cattolica, venne invaso dai
tedeschi e dai comunisti, portando
all’internamento nei campi di
concentramento di 3642 sacerdoti, 389
chierici, 341 fratelli conversi, e 1117
suore: se i religiosi fossero un ghenos,
un’etnia, si potrebbe tranquillamente
parlare di genocidio. Come si comportò la
Santa Sede di fronte a tutto ciò?
Esattamente come faceva con lo
sterminio degli ebrei. Il 21 gennaio 1940
Radio vaticana trasmise un servizio in cui
si denunciava “lo stato di terrore, di
abbrutimento e diremmo di barbarie
molto simile a quello che fu imposto alla
Spagna dai comunisti nel 1936”. I nazisti,
continuava lo speaker, “usano gli stessi
mezzi dei sovietici, forse anche peggio”. A
tali dichiarazioni gli Alleati esultarono, i
tedeschi annunciarono “ripercussioni
spiacevoli”. L’effetto delle denunce, per i
polacchi sterminati, fu nullo. La Santa
Sede provò allora a intervenire presso
Ribbentrop, per via diplomatica. Ma le
proteste rimasero nascoste nel segreto
delle cancellerie, senza che i cattolici
polacchi ne sapessero nulla. Fu a questo
punto che molti polacchi alzarono la
voce: i tedeschi ci macellano, uccidono
sacerdoti e suore, e il Papa tace! Le
lamentele diventarono sempre più forti,
ma il Papa veniva raggiunto
contemporaneamente dalle sollecitazioni
a parlare con durezza e dagli inviti alla
prudenza. Le prime provenivano per lo
più da polacchi in esilio, le altre da chi
continuava a vivere in Polonia. Anche
diversi vescovi polacchi spiegarono al
Papa di non aver diffuso le sue lettere di
condanna del nazismo e di solidarietà ai
polacchi, per evitare il peggio:
“Fornirebbero il pretesto per nuove
esecuzioni”. Erano i polacchi i primi a
essere divisi sulle richieste da fare al
Papa, il quale da parte sua cercò di
alternare strategie diplomatiche a prese
di posizione molto chiare, ma sempre
attente e sorvegliate. Il Papa preferiva
alle dichiarazioni le azioni. Sapeva bene,
a differenza di Stalin, di non avere alcuna
divisione al suo servizio. Intanto, nella
Lituania occupata dai russi, il vescovo di
Kaunas aveva scritto a Roma “che l’unico
risultato ottenuto dalla trasmissione di
programmi (da parte di radio vaticana,
ndr) nella sua lingua, diretti contro la
persecuzione bolscevica, era stato quello
di aizzare le autorità sovietiche contro la
chiesa”. In seguito, allo scoppio della
guerra tra Germania e Russia, la Santa
Sede si trovò nuovamente tra due fuochi:
da una parte Mussolini e la Germania,
che chiedevano al Papa di sponsorizzare
una “crociata” contro i comunisti,
dall’altra Roosevelt che incalzava il Papa
a sostenere pubblicamente l’alleanza
degli Usa con la Russia bolscevica. La
Santa Sede rispose che “l’attitudine della
S. Sede verso il bolscevismo non ha
bisogno di essere nuovamente spiegata”,
avendo la chiesa già parlato chiaro
“tempore non suspecto”. D’altro canto
sono nazisti e fascisti che devono
giustificare i loro dietro front: “Chi fino a
ieri ha dichiarato che l’alleanza con la
Russia era garanzia di pace all’Est e oggi
fa la crociata, è evidente che debba
spiegare il suo mutamento di attitudine”.
Non così la chiesa, che non ha mai
nascosto la sua avversione al comunismo,
ma che sa bene come anche “il nazismo
ha fatto e sta facendo una vera e propria
persecuzione alla chiesa”. Al massimo,
nello scontro tra nazisti e comunisti,
affermava mons. Tardini, la chiesa può
applicare il proverbio “un diavolo caccia
l’altro”. La conseguenza fu l’attacco della
stampa fascista a Pio XII, che non aveva
voluto rinnovare le condanne al
comunismo per evitare una lettura
politica di tale gesto. Con uguale faziosità,
più tardi la propaganda comunista
avrebbe detto che Pio XII aveva preferito
i nazisti ai comunisti. Quanto alle
rassicurazioni di Roosevelt, che lodava
una presunta libertà religiosa in Russia,
Tardini rispondeva: “Il Presidente
afferma che la Germania è più pericolosa
della Russia. Se tutto si limitasse al
campo politico e militare, la tesi sarebbe
esatta. Ma se si scende al piano religioso
sono ugualmente falsi e perniciosi il
nazismo e il comunismo, tutt’e due
materialisti, tutt’e due antireligiosi, tutt’e
due distruttori dei più elementari diritti
della persona umana, tutt’e due avversari
implacabili della Santa Sede”.

Francesco Agnoli

Il Foglio 21 gennaio 2010