DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Visualizzazione post con etichetta Viaggio in Portogallo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Viaggio in Portogallo. Mostra tutti i post

Ferrara: Non trasformate la Chiesa in un talk-show

Ha detto il Papa all’inizio del viaggio in Portogallo e a Fatima, terra mariana e profetica come poche altre: «Il vivere nella pluralità di sistemi di valori e di quadri etici richiede un viaggio al centro del proprio io e al nucleo del Cristianesimo per rinforzare la qualità della testimonianza fino alla santità, per trovare terreni di missione fino alla radicalità del martirio». È una dichiarazione di straordinario coraggio, di grande impatto. Benedetto XVI considera l’assedio secolarista, pluralista, libertario alla Chiesa cattolica e più in generale ai cristiani come una occasione, una possibilità, invece che come una disgrazia di cui lamentarsi. E suggerisce a tutti i seguaci del Cristo di viaggiare verso il centro del loro Ego collettivo in quanto fedeli, verso il «nucleo del Cristianesimo», per diventare testimoni nuovi e più robusti, fino al martirio, della fede comune.

Questo Papa non è, come lo si è stupidamente dipinto, un ossesso della disciplina dottrinale. Il suo magistero teologico è intellettualmente rigoroso, il suo governo della Chiesa severo e caritatevole: ma l’impronta è quella di una amicizia consapevole con il mondo moderno. L’impronta è quella della libertà e di una autolimitazione della ragione e della fede, in alleanza tra loro. Con sovrano sprezzo del pericolo, Joseph Ratzinger lascia che cento fiori fioriscano nella grande serra dell’universalismo. La Chiesa è attraversata da poderose tensioni, lo schiaffo tra cardinali autorevoli è il nuovo modo di essere del Sacro collegio (parlo del caso Schoenborn-Sodano o dell’uscita polemica del cardinale Dario Castrillon Hoyos sulle responsabilità ecclesiali nel governo degli scandali nati da abusi sessuali da parte di preti e vescovi).

Bisogna evitare che questa antica e autorevole istituzione diventi un talk show permanente. Ma sarebbe impossibile sopravvalutare la forza che sprigiona da questo appello del Papa alla conversione, alla penitenza, alla considerazione tragica della «terrificante» condizione in cui il peccato getta la Chiesa sofferente.

«Il perdono non elimina la giustizia» ha detto il Papa. La Chiesa agisce attraverso la sua missione di carità e di verità, ma la cura delle anime non soppianta la funzione di giustizia dei tribunali civili e il bisogno anche teologico di giustizia in risarcimento del danno inferto alle vittime di abusi carnali. Ratzinger ha deciso di aprirsi all’istanza che viene dal mondo, della trasparenza lungo la linea sottile che rende contiguo il peccato e il reato, oltre ogni aspettativa.

Nato da un discorso pasquale di denuncia della «sporcizia nella Chiesa», il pontificato di Benedetto si compirà come grande opera di pulizia penitenziale, con l’appello alla conversione di tutte le diocesi e istituzioni maggiori, al centro e in periferia, della Chiesa cattolica. Al di là del chiasso mediatico sulla pedofilia, è una svolta dirimente, decisiva, che avrà influenza duratura sul Terzo millennio cristiano.




© Copyright Panorama

I COMMENTI MIGLIORI AL VIAGGIO DEL PAPA IN PORTOGALLO

TUTTE LE PAROLE DEL PAPA IN PORTOGALLO. DA LEGGERE, MEDITARE, PREGARE

Il Papa: Tutta la Chiesa in missione "Ad Gentes"! Quanto tempo perduto, quanto lavoro rimandato, per inavvertenza su questo punto!

Omelia nella messa celebrata a Oporto






La «sproporzione» tra le forze in campo che oggi ci spaventa, già duemila anni fa stupiva coloro che vedevano e ascoltavano Cristo. C’era soltanto Lui, dalle sponde del Lago di Galilea fino alle piazze di Gerusalemme, solo o quasi solo nei momenti decisivi: Lui in unione con il Padre, Lui nella forza dello Spirito. Eppure è avvenuto che, alla fine, dallo stesso amore che ha creato il mondo, .
la novità del Regno è spuntata come piccolo seme che germina dalla terra, come scintilla di luce che irrompe nelle tenebre, come alba di un giorno senza tramonto: È Cristo risorto. Ed è apparso ai suoi amici, mostrando loro la necessità della croce per giungere alla risurrezione.... «Bisogna che uno divenga testimone, insieme a noi, della risurrezione», diceva Pietro. E il suo attuale Successore ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù. In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto? Il cristiano è, nella Chiesa e con la Chiesa, un missionario di Cristo inviato nel mondo. Questa è la missione improrogabile di ogni comunità ecclesiale: ricevere da Dio e offrire al mondo Cristo risorto, affinché ogni situazione di indebolimento e di morte sia trasformata, mediante lo Spirito Santo, in occasione di crescita e di vita.... Nulla imponiamo, ma sempre proponiamo, come Pietro ci raccomanda in una delle sue lettere: «Adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15). E tutti, alla fine, ce la domandano, anche coloro che sembrano non domandarla. Per esperienza personale e comune, sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell’irrecusabile missione che ci compete, poiché senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia... Dobbiamo vincere la tentazione di limitarci a ciò che ancora abbiamo, o riteniamo di avere, di nostro e di sicuro: sarebbe un morire a termine, in quanto presenza di Chiesa nel mondo, la quale, d’altronde, può soltanto essere missionaria nel movimento diffusivo dello Spirito. Sin dalle sue origini, il popolo cristiano ha avvertito con chiarezza l’importanza di comunicare la Buona Novella di Gesù a quanti non lo conoscevano ancora. In questi ultimi anni, è cambiato il quadro antropologico, culturale, sociale e religioso dell’umanità; oggi la Chiesa è chiamata ad affrontare nuove sfide... Il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche; in effetti ci attendono non soltanto i popoli non cristiani e le terre lontane, ma anche gli ambiti socio-culturali e soprattutto i cuori che sono i veri destinatari dell’azione missionaria del popolo di Dio... Sì! Siamo chiamati a servire l’umanità del nostro tempo, confidando unicamente in Gesù, lasciandoci illuminare dalla sua Parola: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv 15,16). Quanto tempo perduto, quanto lavoro rimandato, per inavvertenza su questo punto! Tutto si definisce a partire da Cristo, quanto all’origine e all’efficacia della missione: la missione la riceviamo sempre da Cristo, che ci ha fatto conoscere ciò che ha udito dal Padre suo, e siamo investiti in essa per mezzo dello Spirito, nella Chiesa. Come la Chiesa stessa, opera di Cristo e del suo Spirito, si tratta di rinnovare la faccia della terra partendo da Dio, sempre e solo da Dio!



Nell' «inverno della Chiesa», lo Spirito Santo crea una nuova primavera: grazie ai carismi Vangelo, fede e tradizione sono comunicati e accolti

Discorso alla Conferenza Episcopale Portoghese




https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhRgojVX7Bdi5wzlTPfBTbXh1isfUXgjPGJaExqOv4KP-B-U5TaB8NnWAC_IVOkX_EYn1_XvF7kFqZbVxvEyMV9kHus_-K6qXwEv_mhC5d2LunWpagqqKws4LqMpkL-n8dGeQAw/s1600/vescovi+portoghesi.jpg




Il Papa ha bisogno di aprirsi sempre di più al mistero della Croce, abbracciandola quale unica speranza e ultima via per guadagnare e radunare nel Crocifisso tutti i suoi fratelli e sorelle in umanità. Obbedendo alla Parola di Dio, egli è chiamato a vivere non per sé stesso ma per la presenza di Dio nel mondo... In verità, i tempi nei quali viviamo esigono un nuovo vigore missionario dei cristiani, chiamati a formare un laicato maturo, identificato con la Chiesa, solidale con la complessa trasformazione del mondo. C’è bisogno di autentici testimoni di Gesù Cristo, soprattutto in quegli ambienti umani dove il silenzio della fede è più ampio e profondo... Mantenete viva la dimensione profetica, senza bavagli, nello scenario del mondo attuale, perché «la parola di Dio non è incatenata!» (2Tm 2,9). Le persone invocano la Buona Novella di Gesù Cristo, che dona senso alle loro vite e salvaguarda la loro dignità. In qualità di primi evangelizzatori, vi sarà utile conoscere e comprendere i diversi fattori sociali e culturali, valutare le carenze spirituali e programmare efficacemente le risorse pastorali; decisivo, però, è riuscire ad inculcare in ogni agente evangelizzatore un vero ardore di santità, consapevoli che il risultato deriva soprattutto dall’unione con Cristo e dall’azione del suo Spirito. Infatti, quando, nel sentire di molti, la fede cattolica non è più patrimonio comune della società e, spesso, si vede come un seme insidiato e offuscato da «divinità» e signori di questo mondo, molto difficilmente essa potrà toccare i cuori mediante semplici discorsi o richiami morali e meno ancora attraverso generici richiami ai valori cristiani. Il richiamo coraggioso e integrale ai principi è essenziale e indispensabile; tuttavia il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l’incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui. Mi vengono in mente queste parole del Papa Giovanni Paolo II: «La Chiesa ha bisogno soprattutto di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità fra i "christifideles" perché è dalla santità che nasce ogni autentico rinnovamento della Chiesa, ogni arricchimento dell’intelligenza della fede e della sequela cristiana, una ri-attualizzazione vitale e feconda del cristianesimo nell’incontro con i bisogni degli uomini, una rinnovata forma di presenza nel cuore dell’esistenza umana e della cultura delle nazioni»(Discorso per il XX della promulgazione del Decreto conciliare «Apostolicam actuositatem», 18 novembre 1985). Qualcuno potrebbe dire: «la Chiesa ha bisogno di grandi correnti, movimenti e testimonianze di santità…, ma non ci sono!». A questo proposito, vi confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di «inverno della Chiesa», lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è il Corpo vivo di Cristo. Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all’evento presente di Cristo. Condizione necessaria, naturalmente, è che queste nuove realtà vogliano vivere nella Chiesa comune, pur con spazi in qualche modo riservati per la loro vita, così che questa diventi poi feconda per tutti gli altri. I portatori di un carisma particolare devono sentirsi fondamentalmente responsabili della comunione, della fede comune della Chiesa e devono sottomettersi alla guida dei Pastori. Sono questi che devono garantire l’ecclesialità dei movimenti. I Pastori non sono soltanto persone che occupano una carica, ma essi stessi sono portatori di carismi, sono responsabili per l’apertura della Chiesa all’azione dello Spirito Santo. Noi, Vescovi, nel sacramento, siamo unti dallo Spirito Santo e quindi il sacramento ci garantisce anche l’apertura ai suoi doni. Così, da una parte, dobbiamo sentire la responsabilità di accogliere questi impulsi che sono doni per la Chiesa e le conferiscono nuova vitalità, ma, dall’altra, dobbiamo anche aiutare i movimenti a trovare la strada giusta, facendo delle correzioni con comprensione – quella comprensione spirituale e umana che sa unire guida, riconoscenza e una certa apertura e disponibilità ad accettare di imparare.






Sì! Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre un futuro al suo popolo: un futuro di comunione con sé.

Omelia di Benedetto XVI sulla spianata del Santuario di Fatima




Sorelle e fratelli tanto amati, anch’io sono venuto come pellegrino a Fatima, a questa «casa» che Maria ha scelto per parlare a noi nei tempi moderni... Con gli stessi sentimenti dei Beati Francesco e Giacinta e della Serva di Dio Lucia, per affidare alla Madonna l’intima confessione che «amo», che la Chiesa, che i sacerdoti «amano» Gesù e desiderano tenere fissi gli occhi in Lui, mentre si conclude quest’Anno Sacerdotale, e per affidare alla materna protezione di Maria i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, i missionari e tutti gli operatori di bene che rendono accogliente e benefica la Casa di Dio. Essi sono la stirpe che il Signore ha benedetto… Sì! Il Signore, la nostra grande speranza, è con noi; nel suo amore misericordioso, offre un futuro al suo popolo: un futuro di comunione con sé. Avendo sperimentato la misericordia e la consolazione di Dio che non lo aveva abbandonato lungo il faticoso cammino di ritorno dall’esilio di Babilonia, il popolo di Dio esclama: «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio» (Is 61,10). Figlia eccelsa di questo popolo è la Vergine Madre di Nazaret, la quale, rivestita di grazia e dolcemente sorpresa per la gestazione di Dio che si veniva compiendo nel suo grembo, fa ugualmente propria questa gioia e questa speranza nel cantico del Magnificat: «Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore». Nel frattempo Ella non si vede come una privilegiata in mezzo a un popolo sterile, anzi profetizza per loro le dolci gioie di una prodigiosa maternità di Dio, perché «di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono» (Lc 1, 47.50)... Le Scritture ci invitano a credere: «Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20, 29), ma Dio – più intimo a me di quanto lo sia io stesso (cfr S. Agostino, Confessioni, III, 6, 11) – ha il potere di arrivare fino a noi, in particolare mediante i sensi interiori, così che l’anima riceve il tocco soave di una realtà che si trova oltre il sensibile e che la rende capace di raggiungere il non sensibile, il non visibile ai sensi. A tale scopo si richiede una vigilanza interiore del cuore che, per la maggior parte del tempo, non abbiamo a causa della forte pressione delle realtà esterne e delle immagini e preoccupazioni che riempiono l’anima (cfr Commento teologico del Messaggio di Fatima, anno 2000). Sì! Dio può raggiungerci, offrendosi alla nostra visione interiore.... Di più, quella Luce nell’intimo dei Pastorelli, che proviene dal futuro di Dio, è la stessa che si è manifestata nella pienezza dei tempi ed è venuta per tutti: il Figlio di Dio fatto uomo. Che Egli abbia il potere di infiammare i cuori più freddi e tristi, lo vediamo nei discepoli di Emmaus (cfr Lc 24,32). Perciò la nostra speranza ha fondamento reale, poggia su un evento che si colloca nella storia e al tempo stesso la supera: è Gesù di Nazaret... Ma chi ha tempo per ascoltare la sua parola e lasciarsi affascinare dal suo amore? Chi veglia, nella notte del dubbio e dell’incertezza, con il cuore desto in preghiera? Chi aspetta l’alba del nuovo giorno, tenendo accesa la fiamma della fede? La fede in Dio apre all’uomo l’orizzonte di una speranza certa che non delude; indica un solido fondamento sul quale poggiare, senza paura, la propria vita; richiede l’abbandono, pieno di fiducia, nelle mani dell’Amore che sostiene il mondo... Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa. Qui rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi: «Dov’è Abele, tuo fratello? […] La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo!» (Gen 4, 9). L’uomo ha potuto scatenare un ciclo di morte e di terrore, ma non riesce ad interromperlo… Nella Sacra Scrittura appare frequentemente che Dio sia alla ricerca di giusti per salvare la città degli uomini e lo stesso fa qui, in Fatima, quando la Madonna domanda: «Volete offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che Egli vorrà mandarvi, in atto di riparazione per i peccati con cui Egli è offeso, e di supplica per la conversione dei peccatori?» (Memorie di Suor Lucia, I, 162). Con la famiglia umana pronta a sacrificare i suoi legami più santi sull’altare di gretti egoismi di nazione, razza, ideologia, gruppo, individuo, è venuta dal Cielo la nostra Madre benedetta offrendosi per trapiantare nel cuore di quanti le si affidano l’Amore di Dio che arde nel suo.





La priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo



https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiOrvjtWjBtduOyYPQEEW8Z0LI9k0PTujrsQyiubOoBDbhgO7ql8KLeEOdtE504UUBrk8ZUvvmq8pn_jbtwT9ow4NlqJwUb1EpuzjQJAggCSgXEFlXQ6MKLjp09T_Xcj2rng5rN/s1600/fiaccole+3.jpg




Sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci (cfr Es 3,2-5). Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio. A Lui dunque sia ogni gloria, a noi l’umile confessione del nostro niente e la sommessa adorazione dei disegni divini, che verranno adempiuti quando «Dio sarà tutto in tutti» (cfr 1 Cor 15,28)... Cari pellegrini, imitiamo Maria, facendo risuonare nella nostra vita il suo «avvenga per me»! A Mosè, Dio aveva ordinato: «Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è un suolo santo» (Es 3,5). E così ha fatto; calzerà nuovamente i sandali per andare a liberare il suo popolo dalla schiavitù d’Egitto e guidarlo alla terra promessa. Non si tratta qui semplicemente del possesso di un appezzamento di terreno o di quel territorio nazionale a cui ogni popolo ha diritto; infatti, nella lotta per la liberazione d’Israele e durante il suo esodo dall’Egitto, ciò che appare evidenziato è soprattutto il diritto alla libertà di adorazione, alla libertà di un culto proprio. Quindi lungo il corso della storia del popolo eletto, la promessa della terra va assumendo sempre di più questo significato: la terra è donata perché ci sia un luogo dell’obbedienza, affinché ci sia uno spazio aperto a Dio... Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Cari fratelli e sorelle, adorate Cristo Signore nei vostri cuori (cfr 1 Pt 3, 15)! Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale che genera l’umanità come famiglia di Dio.... Fratelli e sorelle, in questo luogo stupisce osservare come tre bambini si sono arresi alla forza interiore che li ha invasi nelle apparizioni dell’Angelo e della Madre del Cielo. Qui, dove tante volte ci è stato chiesto di recitare il Rosario, lasciamoci attrarre dai misteri di Cristo, i misteri del Rosario di Maria. La recita del rosario ci consente di fissare il nostro sguardo e il nostro cuore in Gesù, come faceva sua Madre, modello insuperabile della contemplazione del Figlio.... La grazia invade il nostro cuore suscitando il desiderio di un incisivo ed evangelico cambiamento di vita in modo da poter dire con san Paolo: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21), in una comunione di vita e destino con Cristo.





ATTO DI AFFIDAMENTO E CONSACRAZIONE DEI SACERDOTI
AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA


Madre della Chiesa,
noi, sacerdoti,
vogliamo essere pastori
che non pascolano se stessi,
ma si donano a Dio per i fratelli,
trovando in questo la loro felicità.




Dio è padrone dei suoi doni; la conversione degli uomini è grazia.
Ma siamo responsabili dall’annuncio della totalità della fede e delle sue esigenze





Permettetemi di aprirvi il cuore per dirvi che la principale preoccupazione di ogni cristiano, specialmente della persona consacrata e del ministro dell’Altare, dev’essere la fedeltà, la lealtà alla propria vocazione, come discepolo che vuole seguire il Signore. La fedeltà nel tempo è il nome dell’amore; di un amore coerente, vero e profondo a Cristo Sacerdote. «Se il battesimo è un vero ingresso nella santità di Dio attraverso l’inserimento in Cristo e l’inabitazione del suo Spirito, sarebbe un controsenso accontentarsi di una vita mediocre, vissuta all’insegna di un’etica minimalista e di una religiosità superficiale» (Giovanni Paolo II, Lettera ap. Novo millennio ineunte, 31). In quest’Anno Sacerdotale che volge al termine, scenda su tutti voi una grazia abbondante perché viviate la gioia della consacrazione e testimoniate la fedeltà sacerdotale fondata sulla fedeltà di Cristo. Ciò suppone evidentemente una vera intimità con Cristo nella preghiera, poiché sarà l’esperienza forte ed intensa dell’amore del Signore che dovrà portare i sacerdoti e i consacrati a corrispondere in un modo esclusivo e sponsale al suo amore. Questa vita di speciale consacrazione è nata come memoria evangelica per il popolo di Dio, memoria che manifesta, certifica e annuncia all’intera Chiesa la radicalità evangelica e la venuta del Regno. Ebbene, cari consacrati e consacrate, con il vostro impegno nella preghiera, nell’ascesi, nello sviluppo della vita spirituale, nell’azione apostolica e nella missione, tendete verso la Gerusalemme celeste, anticipate la Chiesa escatologica, salda nel possesso e nell’amorevole contemplazione del Dio Amore. Quanto grande è oggi il bisogno di questa testimonianza! Molti dei nostri fratelli vivono come se non ci fosse un Aldilà, senza preoccuparsi della propria salvezza eterna. Gli uomini sono chiamati ad aderire alla conoscenza e all’amore di Dio, e la Chiesa ha la missione di aiutarli in questa vocazione. Sappiamo bene che Dio è padrone dei suoi doni; e la conversione degli uomini è grazia. Ma siamo responsabili dall’annuncio della fede, della totalità della fede e delle sue esigenze. Cari amici, imitiamo il Curato d’Ars che così pregava il buon Dio: «Concedimi la conversione della mia parrocchia, e io accetto di soffrire tutto ciò che Tu vuoi per il resto della vita». E tutto ha fatto per strappare le persone alla propria tiepidezza per ricondurle all’amore.





VISITA ALLA CAPPELLINA DELLE APPARIZIONI PREGHIERA ALLA MADONNA


https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEivkjvLbb-8iaf6nTxEFhu3K0jKmyd7-RJsHSfVfef6JT4qnGehAxhStnfhAr86GaRWO8i5j1QKK8ac2YlC5M_foJB80Qey84EUziqrWAuOGydUIlt2BZhR77wCeEGVWqaZkCTJ/s1600/tombe.jpg



Il Venerabile Papa Giovanni Paolo II,
che ti ha visitato per tre volte, qui a Fatima,
e ha ringraziato quella «mano invisibile»
che lo ha liberato dalla morte
nell’attentato del tredici maggio,
in Piazza San Pietro, quasi trenta anni fa,
ha voluto offrire al Santuario di Fatima
un proiettile che lo ha ferito gravemente
e fu posto nella tua corona di Regina della Pace.

È di profonda consolazione
sapere che tu sei coronata
non soltanto con l’argento
e l’oro delle nostre gioie e speranze,
ma anche con il «proiettile»
delle nostre preoccupazioni e sofferenze.
Madre amabilissima,
tu conosci ciascuno per il suo nome,
con il suo volto e la sua storia,
e a tutti vuoi bene
con la benevolenza materna
che sgorga dal cuore stesso di Dio Amore.
Tutti affido e consacro a te,
Maria Santissima,
Madre di Dio e nostra Madre.







Fondamentale discorso del Papa al mondo della cultura:
teologia della storia ed ecclesiologia illuminate da fede e verità.
"Proprio con lo scopo di «mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo» si è realizzato il Concilio Vaticano II, che ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la «civiltà dell’amore» - come servizio evangelico all’uomo e alla società"






Oggi la cultura riflette una «tensione», che alle volte prende forme di «conflitto», fra il presente e la tradizione. La dinamica della società assolutizza il presente, staccandolo dal patrimonio culturale del passato e senza l’intenzione di delineare un futuro. Tale valorizzazione però del «presente» quale fonte ispiratrice del senso della vita, sia individuale che sociale, si scontra con la forte tradizione culturale del Popolo portoghese, profondamente segnata dal millenario influsso del cristianesimo e con un senso di responsabilità globale; essa si è affermata nell’avventura delle scoperte e nello zelo missionario, condividendo il dono della fede con altri popoli. L’ideale cristiano dell’universalità e della fraternità aveva ispirato quest’avventura comune, anche se gli influssi dell’illuminismo e del laicismo si erano fatti sentire. Detta tradizione ha dato origine a ciò che possiamo chiamare una «sapienza», cioè, un senso della vita e della storia di cui facevano parte un universo etico e un «ideale» da adempiere da parte del Portogallo, il quale ha sempre cercato di stabilire rapporti con il resto del mondo.La Chiesa appare come la grande paladina di una sana ed alta tradizione, il cui ricco contributo colloca al servizio della società; questa continua a rispettarne e apprezzarne il servizio per il bene comune, ma si allontana dalla citata «sapienza» che fa parte del suo patrimonio. Questo «conflitto» fra la tradizione e il presente si esprime nella crisi della verità, ma unicamente questa può orientare e tracciare il sentiero di una esistenza riuscita, sia come individuo che come popolo. Infatti un popolo, che smette di sapere quale sia la propria verità, finisce perduto nei labirinti del tempo e della storia, privo di valori chiaramente definiti e senza grandi scopi chiaramente enunciati. Cari amici, c’è tutto uno sforzo di apprendimento da fare circa la forma in cui la Chiesa si situa nel mondo, aiutando la società a capire che l’annuncio della verità è un servizio che Essa offre alla società, aprendo nuovi orizzonti di futuro, di grandezza e dignità. In effetti, la Chiesa ha «una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell’uomo, della sua dignità, della sua vocazione. […] La fedeltà all’uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di un sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l’annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile» (Enc. Caritas in veritate, 9). Per una società formata in maggioranza da cattolici e la cui cultura è stata profondamente segnata dal cristianesimo, si rivela drammatico il tentativo di trovare la verità al di fuori di Gesù Cristo. Per noi, cristiani, la Verità è divina; è il «Logos» eterno, che ha acquisito espressione umana in Gesù Cristo, il qual ha potuto affermare con oggettività: «Io sono la verità» (Gv 14,6). La convivenza della Chiesa, nella sua ferma adesione al carattere perenne della verità, con il rispetto per altre «verità», o con la verità degli altri, è un apprendistato che la Chiesa stessa sta facendo. In questo rispetto dialogante si possono aprire nuove porte alla trasmissione della verità. «La Chiesa – scriveva il Papa Paolo VI – deve venire a dialogo con il mondo in cui si trova a vivere. La Chiesa si fa parola, la Chiesa si fa messaggio, la Chiesa si fa dialogo» (Enc. Ecclesiam suam, 67). Infatti, il dialogo senza ambiguità e rispettoso delle parti in esso coinvolte è oggi una priorità nel mondo, alla quale la Chiesa non intende sottrarsi... Costatata la diversità culturale, bisogna far sì che le persone non solo accettino l’esistenza della cultura dell’altro, ma aspirino anche a venire arricchite da essa e ad offrirle ciò che si possiede di bene, di vero e di bello. Questa è un’ora che richiede il meglio delle nostre forze, audacia profetica, rinnovata capacità per «additare nuovi mondi al mondo», come direbbe il vostro Poeta nazionale (Luigi di Camões, Os Lusíades, II, 45). Voi, operatori della cultura in ogni sua forma, creatori di pensiero e di opinione, «avete, grazie al vostro talento, la possibilità di parlare al cuore dell’umanità, di toccare la sensibilità individuale e collettiva, di suscitare sogni e speranze, di ampliare gli orizzonti della conoscenza e dell’impegno umano. […] E non abbiate paura di confrontarvi con la sorgente prima e ultima della bellezza, di dialogare con i credenti, con chi come voi, si sente pellegrino nel mondo e nella storia verso la Bellezza infinita» (Discorso agli artisti, 21 novembre 2009). Proprio con lo scopo di «mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo» (Giovanni XXIII, Cost. ap. Humanae salutis, 3), si è realizzato il Concilio Vaticano II, nel quale la Chiesa, partendo da una rinnovata consapevolezza della tradizione cattolica, prende sul serio e discerne, trasfigura e supera le critiche che sono alla base delle forze che hanno caratterizzato la modernità, ossia la Riforma e l’Illuminismo. Così da sé stessa la Chiesa accoglieva e ricreava il meglio delle istanze della modernità, da un lato superandole e, dall’altro evitando i suoi errori e vicoli senza uscita. L’evento conciliare ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la «civiltà dell’amore» - come servizio evangelico all’uomo e alla società.






L’amore incondizionato di Gesù che ci ha guarito si trasforma in amore donato gratuitamente e generosamente, mediante la giustizia e la carità


Cari fratelli e sorelle che operate nel vasto mondo della carità, «Cristo ci rivela che “Dio è amore” (1 Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della perfezione umana e quindi anche della trasformazione del mondo è il nuovo comandamento dell’amore. Dunque coloro che credono nella carità divina sono da Lui resi certi che la strada della carità è aperta a tutti gli uomini» (Cost. Gaudium et spes, 38). L’attuale scenario della storia è di crisi socio-economica, culturale e spirituale, e pone in evidenza l’opportunità di un discernimento orientato dalla proposta creativa del messaggio sociale della Chiesa. Lo studio della sua dottrina sociale, che assume come principale forza e principio la carità, permetterà di tracciare un processo di sviluppo umano integrale che coinvolga le profondità del cuore e raggiunga una più ampia umanizzazione della società (cfr Benedetto XVI, Enc. Caritas in veritate, 20). Non si tratta di semplice conoscenza intellettuale, ma di una saggezza che dia sapore e condimento, offra creatività alle vie conoscitive ed operative tese ad affrontare una così ampia e complessa crisi. Possano le istituzioni della Chiesa, insieme a tutte le organizzazioni non ecclesiali, perfezionare le loro capacità di conoscenza e le direttive in vista di una nuova e grandiosa dinamica, che conduca verso «quella civiltà dell’amore, il cui seme Dio ha posto in ogni popolo, in ogni cultura» (ibid., 33)





Non dare per scontata la fede.
Troppa fiducia in strutture e programmi ecclesiali,
riannunciare con forza il Kerygma perché la fede non sia insipida

Omelia di Benedetto XVI al Terreiro do Paço di Lisbona


Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e politiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?
Affinché ciò non accada, bisogna annunziare di nuovo con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza via qualsiasi paura e indecisione, qualsiasi dubbio e calcolo umano. La risurrezione di Cristo ci assicura che nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Quindi la nostra fede ha fondamento, ma c’é bisogno che questa fede diventi vita in ognuno di noi. C’è dunque un vasto sforzo capillare da compiere affinché ogni cristiano si trasformi in un testimone in grado di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima (cfr 1Pt 3,15): soltanto Cristo può soddisfare pienamente i profondi aneliti di ogni cuore umano e dare risposte ai suoi interrogativi più inquietanti circa la sofferenza, l’ingiustizia e il male, sulla morte e la vita nell’Aldilà.






La più grande persecuzione alla chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella chiesa, oggi lo vediamo in modo terrificante

Conversazione che ha avuto il Papa Benedetto XVI con i giornalisti sul volo che lo ha portato in Portogallo

Il Signore ci ha detto che la chiesa sarà per sempre sofferente, in modi diversi fino alla fine de mondo. L’importante è che il messaggio, la risposta di Fatima, sostanzialmente non va a situazioni particolari, ma la risposta fondamentale cioè conversione permanente, penitenza, preghiera, e le virtù cardinali, fede, speranza carità. Così vediamo qui la vera e fondamentale risposta che la chiesa deve dare, che noi ogni singolo dobbiamo dare in questa situazione. Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio è anche che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla chiesa, ma le sofferenze della chiesa vengono proprio dall’interno della chiesa, dal peccato che esiste nella chiesa. Anche questo lo vediamo sempre ma oggi lo vediamo in modo realmente terrificante che la più grande persecuzione alla chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella chiesa. E che la chiesa ha quindi ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Dobbiamo imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera la penitenza, le virtù teologali e qui siamo realistica il male attacca anche dall’interno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che finalmente il Signore è più forte del male e la madonna per noi è la garanzia. La bontà di Dio è sempre l’ultima risposta della storia.






Per vivere nella pluralità di valori etici andare al nucleo del cristianesimo, trovare sentieri di missione fino alla radicalità del martirio

Primo saluto alla Nazione

Il vivere nella pluralità di sistemi di valori e di quadri etici richiede un viaggio al centro del proprio io e al nucleo del cristianesimo per rinforzare la qualità della testimonianza fino alla santità, trovare sentieri di missione fino alla radicalità del martirio.

Padre Lombardi: un viaggio meraviglioso che mostra la grande vitalità della Chiesa

Per un bilancio del viaggio apostolico del Papa in Portogallo Sergio Centofanti ha intervistato il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi:

R. – Un bilancio certamente positivo, direi anche superiore all’attesa. Possiamo dire che è stato un viaggio che è andato benissimo e possiamo anche dire che è stato un viaggio meraviglioso. L’accoglienza è stata vastissima, è stata calorosa, è stata anche superiore alle attese degli organizzatori. Il Papa ne è rimasto molto colpito, molto contento e confortato. Ha potuto vivere questo viaggio nelle condizioni migliori e come momento anche di grande esperienza spirituale di preghiera con il Popolo di Dio nel punto culminante, che è stato evidentemente quello delle celebrazioni a Fatima. Il Papa ha potuto dare i grandi messaggi che gli erano stati anche - in un certo senso - richiesti e che erano attesi dalla Chiesa portoghese. L’incontro con il mondo della cultura, l’incontro con il mondo dell’impegno sociale, l’incontro con i sacerdoti erano incontri di importanza strategica per la presenza della Chiesa in Portogallo e, per cui, c’era una grandissima attesa. Mi confermavano i vescovi, ieri, che la presenza del mondo della cultura nell’incontro a Lisbona era veramente totale. E’ stato, quindi, un incontro di grandissimo significato, direi di significato storico e che dice la volontà della Chiesa di dialogare in modo costruttivo con tutti coloro che cercano, che si impegnano nel mondo del pensiero, della ricerca, dell’arte, della creatività. Sono cose, queste, che rimarranno certamente a lungo per la Chiesa portoghese. Soprattutto con il momento di Fatima, lo sguardo si è anche un po’ allargato sull’Europa e sul mondo, perché Fatima è un luogo che ha assunto realmente un significato per la Chiesa universale, come momento di incontro e – in un certo senso – di comunicazione fra il cielo e la terra, fra la presenza di Dio nella nostra storia e la domanda di salvezza del popolo e il desiderio di impegno nella storia da parte della Chiesa sulla base di conversione, di penitenza, di preghiera, di rinnovamento spirituale. Questo è un discorso che naturalmente vale per tutti e che è stato colto anche molto al di là dei confini del Portogallo.


D. – Il Papa è venuto a Fatima per dire che l’amore di Gesù e per Gesù è la cosa più importante: tutto parte da qui e la Chiesa annuncia e propone - non impone - questo amore, in dialogo col mondo…


R. – Certamente il Papa torna sempre ai punti essenziali, ai fondamenti della missione della Chiesa e del suo messaggio. E certamente questo amore per Gesù è stato espresso in particolare nell’omelia a Fatima in un modo molto intenso, portato anche dal grande clima di spiritualità, di affetto, di amore che si sente in questa immensa assemblea che arriva dalle diverse parti del mondo e, in un certo senso, appare convocata dall’Alto più che convocata dagli uomini. Il Papa si è fatto pellegrino con questo popolo che risponde ad una chiamata che attraverso Maria viene e che porta naturalmente al centro della nostra fede e, quindi, all’amore del Figlio di Dio, all’accoglienza della Rivelazione. In questa storia nostra concreta, attraverso gli eventi belli e tristi, drammatici a volte del nostro tempo, sentiamo che continua ad essere presente la grazia di Dio per noi e che, quindi, vale la pena continuare ad impegnarsi, a sperare, proprio a partire dagli atteggiamenti fondamentali che la fede ci ispira, quelli della carità e dell’amore per gli altri. Un messaggio, quindi, che è inserito nella storia e che guarda in avanti con speranza.


D. – Una delle frasi del Papa che più hanno colpito è che si illude chi crede che la profezia di Fatima sia conclusa. Cosa voleva dire il Papa?


R. – Il Papa vuol dire una cosa molto semplice e cioè che non dobbiamo più aspettarci da parte di Fatima e quindi di quanto è stato detto dai pastorelli, dai veggenti, delle profezie nel senso di annuncio di eventi concreti per quanto riguarda i prossimi anni o il prossimo secolo. Questo non è in questione. La profezia di Fatima, nella prospettiva del Papa, che deve essere poi la nostra prospettiva, significa aver imparato a leggere gli avvenimenti della nostra storia, il cammino della Chiesa con le sue difficoltà e le sue speranze nella luce della fede e cioè sotto lo sguardo di Dio, che segue la Chiesa e l’umanità in cammino, opera con la sua grazia per accompagnare coloro che si rivolgono a Lui e ci invita ad impegnarci in questa storia a partire dalla conversione di noi stessi proprio per agire secondo i criteri del Vangelo. La profezia intesa come lettura della realtà umana e della storia umana, questo è caratteristico di Fatima, ci ha insegnato a guardare non solo alla nostra vita personale, ma alla vita della Chiesa e dell’umanità nel contesto della storia, sotto la luce di Dio, del suo amore e con l’impegno a convertirci, a renderci dei testimoni sempre più fedeli dell’amore di Dio nel mondo in cui viviamo e nella nostra storia. Questo è un messaggio profetico che continua ad essere di grande attualità e lo sarà in futuro.


D. – Sempre parlando del segreto di Fatima, il Papa ha detto che la grande persecuzione della Chiesa non viene da nemici esterni, ma dal peccato all’interno stesso della Chiesa...


R. – Sì, questo è quanto egli ha spiegato con parole estremamente efficaci nella sua conversazione, sul volo verso il Portogallo. Ha fatto capire che le sofferenze, le difficoltà che la Chiesa incontra, anche con evidente riferimento alla situazione dei mesi recenti o di questi anni, in cui la Chiesa ha tante difficoltà in conseguenza dei peccati dei suoi membri – si riferisce proprio agli abusi sessuali – sono qualcosa che la Chiesa porta in sé: porta in sé purtroppo anche la realtà del peccato. Ed è proprio per questo che il messaggio di Fatima è estremamente attuale e importante, perché ci parla di conversione, ci parla di penitenza, per rinnovarci in modo tale che la nostra testimonianza sia coerente. Quindi, nel contesto di una lettura ampia del significato dell’evento di Fatima, da un punto di vista spirituale, non bisogna pensare solo alle persecuzioni che vengono dall’esterno, che certamente hanno avuto una gran parte nelle sofferenze e nelle difficoltà della Chiesa, per esempio nel corso del secolo passato, e che anche adesso continuano e continueranno ad esserci, ma il Papa ha fatto notare che le sofferenze e le difficoltà della Chiesa vengono anche, in particolare, dal nostro interno, cioè dal nostro essere peccatori, e per questo il messaggio di conversione e di penitenza ha una particolare attualità e importanza. Questo mi è sembrato veramente molto bello, molto importante, cioè come il Papa sia stato capace di inserire la tematica che ci affligge in questi ultimi mesi a proposito degli abusi sessuali in una prospettiva spirituale molto ampia. Quindi, riconoscendone la gravità, ma inserendola nella condizione della Chiesa nel mondo, della Chiesa davanti a Dio e del suo cammino, che deve essere sempre di purificazione, di rinnovamento. E questo l’ha inserito con molta naturalezza direi, proprio nella condizione della Chiesa pellegrinante, e ha quindi dato occasione a tutti coloro che erano a Fatima, ma anche a tutta la Chiesa, di pregare intensamente, di coltivare uno spirito di rinnovamento e di conversione proprio per essere testimone più limpida e più efficace per il mondo di oggi e di domani.


D. – Anche in questa occasione il Papa ha sentito il grande affetto della gente...


R. – Sì, lo ha sentito veramente in un modo eccezionale. E non è la prima volta. Anche il viaggio a Malta, pure se di dimensioni più limitate perché il Paese era più piccolo, anche il viaggio a Torino, ma in particolare questo viaggio più ampio, più prolungato, hanno dato modo veramente a grandi masse, a grandi numeri di persone di essere presenti. Noi sappiamo che nel cuore molti di più, che non sono potuti venire fisicamente ad incontrare il Papa, lo hanno però seguito e gli vogliono bene. Ad ogni modo, la grande presenza è un segno efficace di affetto. Il Papa lo ha certamente gradito e direi che sia un fatto che ha dimostrato anche la vitalità della Chiesa, la vitalità della fede semplice, ma viva della Chiesa portoghese ed è quindi un grande segno di speranza per la Chiesa che cammina.


© Copyright Radio Vaticana

Fatima, il segreto della Chiesa svelato dal Papa. Il tempo perduto ed una parola a ricordarci l'infinito campo che già biondeggia per la mietitura


Fatima, il segreto della Chiesa svelato dal Papa. Il tempo perduto ed una parola a ricordarci l'infinito campo che già biondeggia per la mietitura


Rileggendo le parole del Papa in Portogallo



Dal Portogallo, come una sentinella, il Papa ha scrutato il mondo e i cuori degli uomini giungendo ben oltre l'orizzonte dello sguardo comune. E da qui, dal cuore del mondo, le sue parole forti ci hanno trafitto il petto: “Quanto tempo perduto, quanto lavoro rimandato, per inavvertenza su questo punto!”. Quale punto? L'annuncio del Vangelo. Tempo perduto nell'oblio e nella dimenticanza, e, come Esaù, molti, troppi, nella Chiesa hanno venduto la primogenitura. Così nelle maglie sfilacciate del tempo gettato rimandando il “lavoro”, si sono annidate le omissioni, e quindi le perversioni. Bucato come al solito dai media e dai commentatori è stato questo il grido più severo e drammaticamente profetico del viaggio in Terra lusitana.

Di fronte alle parole altrettanto severe di Gesù sulla necessità di essere vigilanti in attesa del suo ritorno, Pietro domandò se queste fossero dirette a lui e agli altri discepoli oppure a tutti. Gesù rispose:Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi”. Fedeltà e saggezza, giusto le parole ripetute dal Papa alla sua Chiesa, ai suoi ministri come all'intero Popolo di Dio, indicando la beatitudine del “lavoro” affidato, l'annuncio del Vangelo. Lasciare che si spenga lo zelo difendendo stoltamente presunte rendite di posizione “sarebbe un morire a termine, in quanto presenza di Chiesa nel mondo, la quale può soltanto essere missionaria nel movimento diffusivo dello Spirito”.

Gli scandali e le sofferenze che, come ha ricordato il Pontefice, hanno ferito e ancora attendono la Chiesa, sono un segno da cogliere per ricordare. “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”. La Chiesa è un mistero, come un segreto che solo occhi puri son capaci di penetrare e svelare. Gli occhi del Papa, occhi di sentinella, che hanno guardato dentro il mistero, scoprendo nella fede le parole luminose di Dio inscritte anche nel buio più fitto. E le ha trasmesse fedelmente ai suoi figli smemorati: Sia Maria che noi stessi non godiamo di luce propria: la riceviamo da Gesù. La presenza di Lui in noi rinnova il mistero e il richiamo del roveto ardente, quello che un tempo sul monte Sinai ha attirato Mosè e non smette di affascinare quanti si rendono conto di una luce speciale in noi che arde però senza consumarci. Da noi stessi non siamo che un misero roveto, sul quale però è scesa la gloria di Dio”. Ma quante volte questa gloria è stata offuscata, cacciata e tradita. “Oggi lo vediamo in modo realmente terrificante, che la più grande persecuzione alla chiesa non viene dai nemici di fuori, ma nasce dal peccato nella chiesa”. Peccati terrificanti che svelano come sia così poco realista dare “per scontato che la fede ci sia”. Peccati insinuatisi nel “tempo perduto” a riporre “una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni”. Peccati terrificanti da cui sorge la domanda di Gesù ricordata dal Papa: ”ma cosa accadrà se il sale diventa insipido?”. Ecco il peccato in agguato, una Chiesa che non sali più il mondo.

Affinché ciò non accada, bisogna annunziare di nuovo con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza via qualsiasi paura e indecisione, qualsiasi dubbio e calcolo umano. La risurrezione di Cristo ci assicura che nessuna potenza avversa potrà mai distruggere la Chiesa. Quindi la nostra fede ha fondamento, ma c’é bisogno che questa fede diventi vita in ognuno di noi. C’è dunque un vasto sforzo capillare da compiere affinché ogni cristiano si trasformi in un testimone in grado di rendere conto a tutti e sempre della speranza che lo anima”. Nel cuore della tempesta dunque la speranza afferrata a Cristo, e l'antidoto perchè la Chiesa realizzi quel che è per la sua setssa natura: annunciare il Vangelo, far risuonare il kerygma attraverso testimoni credibili. Uno sforzo capillare è richiesto per ridestare la fede e trasformare in testimoni i cristiani che popolano le nostre chiese.

Importante è certo l'azione profetica della Chiesa nell'agone sociale, culturale e politico, ma non basta. “Il semplice enunciato del messaggio non arriva fino in fondo al cuore della persona, non tocca la sua libertà, non cambia la vita. Ciò che affascina è soprattutto l'incontro con persone credenti che, mediante la loro fede, attirano verso la grazia di Cristo, rendendo testimonianza di Lui”. Non si tratta solo di affermare la Verità, è necessario ed urgente renderla visibile come qualcosa di vivo, reale, incarnato. La famiglia, la sessualità secondo la volontà di Dio, la sacralità della vita dal suo concepimento al suo termine naturale, sono “principi non negoziabili” solo nella misura in cui siano per tutti “vivibili”, calati in esistenze concrete che li sperimentino gioiosamente custodendoli sino al martirio. Uomini e donne come tutti che hanno scoperto la Verità del Vangelo e del Magistero della Chiesa come l'autentica libertà che salva e colma di senso la vita.

Ma “qualcuno potrebbe dire: "la Chiesa ha bisogno di testimonianze di santità... ma non ci sono! A questo proposito, vi confesso la piacevole sorpresa che ho avuto nel prendere contatto con i movimenti e le nuove comunità ecclesiali. Osservandoli, ho avuto la gioia e la grazia di vedere come, in un momento di fatica della Chiesa, in un momento in cui si parlava di "inverno della Chiesa", lo Spirito Santo creava una nuova primavera, facendo svegliare nei giovani e negli adulti la gioia di essere cristiani, di vivere nella Chiesa, che è il Corpo vivo di Cristo. Grazie ai carismi, la radicalità del Vangelo, il contenuto oggettivo della fede, il flusso vivo della sua tradizione vengono comunicati in modo persuasivo e sono accolti come esperienza personale, come adesione della libertà all'evento presente di Cristo”. In questo inverno spesso terrificante che ha investito la Chiesa il Papa, per l'ennesima volta, guarda oltre la notte ed il gelo e scopre e ci svela l'azione dello Spirito.

Nonostante le molte interpretazioni e attualizzazioni perniciose e fuorvianti di una “ermeneutica della discontinuità e della rottura” che tanto male hanno fatto alla Chiesa, “con lo scopo di «mettere il mondo moderno in contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo», si è realizzato il Concilio Vaticano II che ha messo i presupposti per un autentico rinnovamento cattolico e per una nuova civiltà – la «civiltà dell’amore» - come servizio evangelico all’uomo e alla società”. Dal Concilio sono sorti i Movimenti e le nuove comunità come una risposta dello Spirito Santo alle sfide della società contemporanea e alla stessa debolezza della Chiesa, oggi così evidente. A Fatima la Vergine Maria l'aveva profetizzata, assieme alle sofferenze patite dalla Chiesa, nel suo Capo e nelle sue membra. Sono i carismi, assieme a moltissimi altri, che non hanno rinunciato al lavoro e non hanno perduto tempo a consacrare, ogni giorno, il mondo al Cuore Immacolato di Maria attraverso l'annuncio e l'incarnazione della radicale novità del Vangelo.

Decisivo al riguardo è però il ministero dei Pastori, chiamati, in comunione con il Papa, ad essere sentinelle vigilanti sul buio dei peccati e sulla luce dello Spirito. Infatti “condizione necessaria è che queste nuove realtà vogliano vivere nella Chiesa comune, pur con spazi in qualche modo riservati per la loro vita, così che questa diventi poi feconda per tutti gli altri. I portatori di un carisma particolare devono sentirsi fondamentalmente responsabili della comunione, della fede comune della Chiesa e devono sottomettersi alla guida dei Pastori. Sono questi che devono garantire l'ecclesialità dei movimenti. I Pastori non sono soltanto persone che occupano una carica, ma essi stessi sono portatori di carismi, sono responsabili per l'apertura della Chiesa all'azione dello Spirito Santo. Noi, Vescovi, nel sacramento, siamo unti dallo Spirito Santo e quindi il sacramento ci garantisce anche l'apertura ai suoi doni. Così, da una parte, dobbiamo sentire la responsabilità di accogliere questi impulsi che sono doni per la Chiesa e le conferiscono nuova vitalità, ma, dall'altra, dobbiamo anche aiutare i movimenti a trovare la strada giusta, facendo delle correzioni con comprensione - quella comprensione spirituale e umana che sa unire guida, riconoscenza e una certa apertura e disponibilità ad accettare di imparare”. Un cuore aperto, sottomesso e umile, nei Pastori e nei portatori dei carismi. I Vescovi sono chiamati ad aprirsi con una riconoscenza capace anche di imparare per poter aiutare e correggere, i carismi a sottomettersi con obbedienza alla loro guida. E' questa la dinamica dell'umiltà che, sola, può rinnovare la Chiesa e suscitare, rianimare e far crescere la fede perchè sia annunziata a questa generazione. “Gli uomini sono chiamati ad aderire alla conoscenza e all'amore di Dio, e la Chiesa ha la missione di aiutarli in questa vocazione. Sappiamo bene che Dio è padrone dei suoi doni; e la conversione degli uomini è grazia. Ma siamo responsabili dell'annuncio della fede, della totalità della fede e delle sue esigenze”.

Abbiamo sotto gli occhi la distanza siderale cui sta precipitando la società. Ed è globalizzazione del deserto e della notte, dell'anima e dello spirito. “Nel nostro tempo, in cui la fede in ampie regioni della terra, rischia di spegnersi come una fiamma che non viene più alimentata, la priorità al di sopra di tutte è rendere Dio presente in questo mondo ed aprire agli uomini l’accesso a Dio. Non a un dio qualsiasi, ma a quel Dio che ha parlato sul Sinai; quel Dio il cui volto riconosciamo nell’amore portato fino alla fine (cfr Gv 13, 1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Non abbiate paura di parlare di Dio e di manifestare senza vergogna i segni della fede, facendo risplendere agli occhi dei vostri contemporanei la luce di Cristo, come canta la Chiesa nella notte della Veglia Pasquale”. Ripartire da dove tutto è cominciato, dalla notte di Pasqua, la fonte inesauribile di vita e cuore dell'annuncio della Chiesa.

I “segni della fede” sono la luce che chiama ogni uomo mostrando la possibilità reale di una vita nuova. La Chiesa non può abdicare su questo punto. Il tempo perso ci spinge ad un rinnovato slancio missionario lanciato ad ogni latitudine, geografica e spirituale. Il successore di Pietro “ripete a ciascuno di voi: Miei fratelli e sorelle, bisogna che diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù. In effetti, se non sarete voi i suoi testimoni nel vostro ambiente, chi lo sarà al vostro posto? Il cristiano è, nella Chiesa e con la Chiesa, un missionario di Cristo inviato nel mondo. Questa è la missione improrogabile di ogni comunità ecclesiale: ricevere da Dio e offrire al mondo Cristo risorto, affinché ogni situazione di indebolimento e di morte sia trasformata, mediante lo Spirito Santo, in occasione di crescita e di vita”. Il Mistero Pasquale nel quale il mistero della vita di ogni uomo trova senso e compimento cerca nei cristiani il guscio esistenziale dove realizzarsi e manifestarsi.

Per esperienza personale e comune, sappiamo bene che è Gesù colui che tutti attendono. Infatti le più profonde attese del mondo e le grandi certezze del Vangelo si incrociano nell'irrecusabile missione che ci compete, poiché senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. L'annuncio del Vangelo è l'irrecusabile missione che si dilata oltre l'orizzonte visibile al nostro sguardo. Gli occhi del Papa, come quelli degli ardenti missionari di qualche secolo fa che dal Portogallo hanno sfidato mari e tempeste per raggiungere terre sconosciute dove deporre il seme del Vangelo, dall'estremo lembo d'Europa han saputo varcare le soglie del visibile e planare nei più recessi bisogni dell'uomo, chiunque e ovunque sia. E' quest'uomo contemporaneo e prossimo l'isola più lontana, l'estremo confine della terra al quale il Signore ci invia attraverso il suo Vicario: “Il campo della missione ad gentes si presenta oggi notevolmente ampliato e non definibile soltanto in base a considerazioni geografiche; in effetti ci attendono non soltanto i popoli non cristiani e le terre lontane, ma anche gli ambiti socio-culturali e soprattutto i cuori che sono i veri destinatari dell'azione missionaria del popolo di Dio”.

Annuncio, conversione e fede, il segreto di Fatima è il segreto della Chiesa! Da duemila anni! "La chiesa ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare il perdono ma anche la necessità della giustizia. Il perdono non sostituisce la giustizia. Dobbiamo imparare proprio questo essenziale: la conversione, la preghiera, la penitenza, le virtù teologali e qui siamo realistici, il male attacca anche dall’interno, ma che sempre anche le forze del bene sono presenti e che, finalmente, il Signore è più forte del male e la Madonna per noi è la garanzia. La bontà di Dio è sempre l’ultima risposta della storia". Questo amore che scuote e sconvolge come il respiro di Dio tra di noi, risponde anche oggi alla storia che sembra soffocare la Chiesa ed il mondo. "E' avvenuto che, alla fine, dallo stesso amore che ha creato il mondo, la novità del Regno è spuntata come piccolo seme che germina dalla terra, come scintilla di luce che irrompe nelle tenebre, come alba di un giorno senza tramonto: È Cristo risorto. Ed è apparso ai suoi amici, mostrando loro la necessità della croce per giungere alla risurrezione”. Il Mistero Pasquale è il Mistero nascosto agli angeli, il segreto di Fatima, il segreto celato nelle nostre stesse esistenze, svelato in Cristo e riannunciato dal Papa. La morte come scrigno di vita, il peccato vinto dal perdono. La Chiesa è nata per annunciare questo, senza posa, con la stoltezza della predicazione e con l'esperienza, a volte drammatica, delle stigmate sanguinanti ma gloriose che mostrano al mondo il segno luminoso del Signore risorto.

Senza Pietro e senza i santi e i testimoni con i loro carismi donati alla Chiesa dallo Spirito Santo, la Chiesa sovente dimentica e smarrisce il segreto che la costituisce e cede inesorabilmente al mondo. Ma anche oggi “il Cielo si è aperto come una finestra di speranza che Dio apre quando l’uomo Gli chiude la porta… si tratta di un amorevole disegno da Dio; non dipende dal Papa, né da qualsiasi altra autorità ecclesiale: "Non fu la Chiesa che ha imposto Fatima ma fu Fatima che si impose alla Chiesa". Non è la Chiesa, e nemmeno il Papa che impone oggi il vento impetuoso dello Spirito, è esso stesso, attraverso i segni e i prodigi compiuti, ad imporsi alla Chiesa. Il Papa, con gli stessi occhi semplici e puri dei pastorelli di Fatima, ha visto e ce lo ha raccontato. Sta a noi lasciarci afferrare e stupire da coloro che ci ricordano e svelano il segreto. Cardinali, vescovi, preti e fedeli laici, tutti sono interpellati. Occorre restare o ridiventare - per pura grazia s'intende – anche noi come i veggenti di Fatima, capaci di stupore perchè semplici e curiosi dinnanzi al Mistero, come solo i bambini sanno essere davvero.

Alziamo dunque gli occhi, i campi già biondeggiano per la mietitura. Il Signore ha faticato per noi, possiamo gettarci, con lo zelo indomito degli innamorati, subentrando nel "suo lavoro", ad incendiare il mondo con l'annuncio del Vangelo. Senza perdere altro tempo, perchè ancora quattro mesi e sarà la mietitura, e allora potremo rallegrarci, noi semplici mietitori, con Chi ha seminato, donando tutto se stesso per ogni uomo.



Antonello Iapicca Pbro


Con dolente forza per indicare la porta sul futuro

Se il Papa usa un aggettivo come «terrificante», di sicuro non lo fa a cuor leggero. Soprattutto se, con quello, intende far echeggiare nelle coscienze di credenti e non credenti la dolente consapevolezza che alle persecuzioni dei «nemici di fuori» si è aggiunta quella «più grande» che «nasce dal peccato nella Chiesa». Era martedì scorso, e Benedetto XVI stava volando verso il Portogallo; gli era stato chiesto se, nel messaggio di Fatima sulle sofferenze dei Papi, fosse possibile anche inquadrare quelle provocate dagli abusi che alcuni sacerdoti hanno compiuto nell’ultimo mezzo secolo sui più piccoli, sui bambini, e dalle ondate violente contro la Chiesa e al successore di Pietro che da questi «tradimenti» hanno preso forza. E il Papa ha detto una parola forte di dolore. Un dolore che in cinquecentomila, sul grande sagrato di Fatima, sono poi accorsi a lenire.

Tutto il viaggio apostolico che si è concluso ieri è stato, a ben vedere, una risposta alle domande che Fatima si porta dietro da sempre. Nella chiave di un futuro che la Chiesa può affrontare solo con la testimonianza di fede limpida resa dai suoi figli, senza cadere nella tentazione – quasi si trattasse di un capitolo esaurito – di affidare alla «fine della storia» il messaggio consegnato dalla Vergine a Lucia, Francesco e Giacinta.

Non per niente, in modi diversi ma con identico senso, Papa Ratzinger ha sottolineato a più riprese che «si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa» e ci ha ricordato che in essa «rivive quel disegno di Dio che interpella l’umanità sin dai suoi primordi». La tentazione, l’insidia vera, è quella che nascerebbe all’interno di una Chiesa "rilassata", preoccupata di molto e attenta a poco, magari presa dalle forme organizzative e singolarmente restìa a servire con fedeltà la forza del Vangelo, dimentica dell’essenziale, del centro della sua missione: l’annuncio della Parola.
Non è un’idea di oggi, nel magistero di Benedetto XVI. Dove «terrificante», certamente, è la colpa umana e il peccato cristiano della pedofilia che persone consacrate hanno compiuto, facendo violenza a minori e dando scandalo alla comunità dei credenti e armi ai nemici della Chiesa. Ma terrificante sarebbe soprattutto la perdita di prospettiva riguardo alla missione.

È diventato via via più chiaro, sulla strada di Fatima, perché Papa Ratzinger abbia voluto così strettamente ed esplicitamente legare questa sua visita all’Anno Sacerdotale. Perché la Chiesa «ha profondo bisogno di rimparare la penitenza, accettare la purificazione, imparare perdono ma anche la necessità della giustizia». Questo già accade, ma deve continuare ad accadere attraverso preti autenticamente convinti della grandezza del ministero a cui sono stati chiamati. E per questo che Benedetto ha voluto affidare alla Vergine di Fatima i 400mila sacerdoti del mondo, perché essi «rinnovino la Chiesa... trasfigurati dalla grazia di Colui che fa nuove tutte le cose».
Questo pellegrinaggio in terra portoghese, in un momento delicato e difficile, s’è così fatto "porta": una porta spalancata sul futuro della Chiesa. Che, ogni giorno, avrà bisogno del sostegno della Madre del Signore per far «rifiorire il deserto delle nostre solitudini e brillare il sole sulle nostre oscurità... tornare la calma dopo la tempesta, affinché ogni uomo veda la salvezza del Signore, che ha il nome e il volto di Gesù».

Salvatore Mazza


© Copyright Avvenire 15 maggio 2010

Testimonianza del Rettore del Seminario Redemptoris Mater di Colonia sull'incontro del Santo Padre con i presbiteri e i consacrati

Dopo i Vespri, il nostro inviato Roberto Piermarini ha raccolto alcune testimonianze dei presenti, a cominciare dal rettore del seminario Redemptoris Mater di Colonia che si sofferma su un passaggio dell’omelia del Papa:

R. – Quando ci ha chiamati a diventare degli uomini liberi, in grado di amare, in grado di donarsi, preti liberi per essere casti, umili, obbedienti. Anche come rettore sono rimasto molto colpito, quando ha detto che siamo stati liberati per mezzo di Cristo da noi stessi. E credo che questo sia il punto fondamentale nella formazione dei seminaristi: far loro presente che la vocazione è una chiamata alla libertà in Cristo e che è Cristo che ci dona questa libertà attraverso il suo Spirito Santo.


D. – Adesso la parola ad un seminarista...


R. – Mi ha colpito tantissimo vedere l’amore con cui il Papa ha parlato con noi. Mi ha colpito anche l'invito a vivere questa chiamata di Cristo come libertà, sapere che Lui mi chiama con amore. E vivere il Sacramento dell’Eucaristia come punto centrale della mia vita; sperimentare veramente ogni giorno Cristo nella mia vita, attraverso questo Sacramento; sperimentare questo amore, che è un amore non soltanto per me, ma un amore che mi chiama a portare questo messaggio di Cristo, morto e risorto, a tutto il mondo.


© Copyright Radio Vaticana

La rosa del Papa

Il viaggio papale in Portogallo ha rivelato il cuore gentile e forte di Benedetto XVI, sempre più nitidamente percepito nelle visite che compie per rispondere alla missione di successore di Pietro. Come è avvenuto a Lisbona, a Fátima, a Porto, dove l'affetto semplice e intenso dei portoghesi - talmente numerosi ed entusiasti da meravigliare gli stessi impeccabili organizzatori e persino i media internazionali, non sempre benevoli - si è manifestato in modo appassionato e commovente. Soprattutto nel santuario che è davvero il centro spirituale del Paese e una prova evidente della modernità di Maria, salutata da migliaia di fazzoletti bianchi e dal lancio festoso di petali di fiori, omaggi dal sapore antico riservati alla Madonna e al pellegrino venuto da Roma.
Sotto il segno di Fátima si è dunque svolto questo pellegrinaggio pontificio, sulle tracce di Paolo vi e di Giovanni Paolo ii, e già nella prospettiva del centenario delle apparizioni. Per confermare il messaggio affidato dalla Vergine ai tre piccoli veggenti, tanto radicato nel Vangelo e nella sua profezia permanente quanto lontano da immaginarie speculazioni: nonostante gli egoismi che sempre minacciano la vita umana e la pace, nonostante le continue sofferenze della Chiesa per i peccati di tanti suoi figli, l'ultima parola - ha ribadito Benedetto XVI - non sarà mai del male, che è stato vinto da Cristo risorto, e che dunque i cristiani possono combattere e vincere con la preghiera, la penitenza e la testimonianza.
Davanti alla piccola statua della Vergine e alla luce di migliaia di candele il Pontefice ha collocato la rosa d'oro portata da Roma, "come un figlio che viene a visitare sua Madre e lo fa in compagnia di una moltitudine di fratelli e sorelle", e ha letto nel proiettile assassino fatto incastonare nella corona di Maria dal suo predecessore - che da quella pallottola fu quasi ucciso - anche il simbolo delle sofferenze del mondo e della Chiesa. Per questo, mentre l'anno sacerdotale volge al termine, Benedetto XVI ha voluto consacrare alla Madonna se stesso e tutti i sacerdoti, con un gesto che è nella tradizione di Fátima ma che assume un significato evidente per il richiamo fiducioso a una fedeltà radicale, in questo tempo così necessaria.
E ancora una volta "il Pietro di oggi" - come l'ha chiamato il suo segretario di Stato - non è solo. Circondato e sostenuto nella comunione dei santi dall'affetto e dalla simpatia crescenti di moltissimi cattolici e non cattolici, il successore del primo degli apostoli ha chiesto ai fedeli di Porto, ma parlando a tutti i cristiani, una sola cosa: "Miei fratelli e sorelle, bisogna che voi diventiate con me testimoni della risurrezione di Gesù". Per rendere Dio presente in questo mondo, dove solo la luce di Cristo (lumen Christi) può far splendere la fiamma della fede che, se non viene alimentata, rischia di spegnersi. Per illuminare il buio, come le candele nella notte di Fátima che si riflettevano nella rosa del Papa.

g. m. v.



(©L'Osservatore Romano - 14-15 maggio 2010)