DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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150 anni fa le tesi di Mendel, padre della genetica, gigante della scienza, ieri perseguitato e oggi ignorato (troppo cattolico)



L’8 febbraio e l’8 marzo del 1865, cioè 150 anni fa esatti, presso la Società di Scienze Naturali di Brno venivano lette per la prima volta le 48 cartelle in cui Gregor Mendel esponeva i risultati dei suoi esperimenti, da cui nacque la genetica.
La figura di questo monaco è oggi conosciuta ai più, ma solo per il nome. La sua vita, le sue idee, le sue radici sono state sempre poco indagate. Mendel ha avuto il torto di essere un semplice monaco, di povera famiglia, estraneo agli ambienti accademici dell’epoca, la cui voce è stata inascoltata per decenni; ha avuto, inoltre, il torto di essere un cattolico, e di aver vissuto in un paese, la Cecoslovacchia, in cui, dopo che le sue scoperte furono rivalutate, prima i nazisti poi i comunisti ebbero tutto l’interesse a farlo dimenticare, come scienziato e come uomo di Chiesa.
Forse pochi sanno che George Orwell scrisse 1984 dopo aver appreso «la degradazione della scienza sotto un regime totalitario». Lo scrittore inglese era stato colpito dalla sorte toccata a eminenti scienziati russi: al genetista Vavilov, sottoposto a duemila ore di interrogatori, torturato e lasciato morire di fame nel gulag di Saratov; a Tulaikov e Karpechenko, altri due biologi sostenitori, come Vavilov, della genetica di Mendel, e per questo fucilati.
I seguaci di Mendel, in Russia, venivano privati delle cattedre, emarginati e persino condannati a morte. L’accusa al padre della genetica era duplice: essere stato un prete cattolico e aver proposto, con le sue leggi, una “superstizione metafisica”.
Per conoscere meglio la vita di Mendel, le sue profonde radici nella storia del monachesimo, i suoi hobby e le sue idee, alleghiamo in regalo un libro storico a cura di Francesco Agnoli ed Enzo Pennetta, che oltre a tracciare il ritratto umano e scientifico di Mendel, racconta anche la storia di don Lazzaro Spallanzani, il “Galilei della biologia”.

Clicca qui per scaricare il pdf del volume “Lazzaro Spallanzani e Gregor Mendel. Alle origini della Biologia e della Genetica”.


Tempi.it 

Orrori. Ricavati embrioni dal dna di tre persone, due madri e un padre. In tre anni concepito il primo bambino con tre genitori

MILANO - Un team di ricercatori dell'università di Newcastle è riuscita a produrre embrioni umani con il Dna di tre persone, due madri e un padre, per prevenire la trasmissione di malattie genetiche ereditarie incurabili al nascituro. Secondo quanto riferisce il Times l'equipe del professore Doug Turnbull è riuscita eliminare i mitocondri (i generatori dell'energia della cellula) difettosi dei genitori trasferendo il loro Dna 'ripulitò in un ovocita sano fornito da una donatrice. Secondo Turnbull il primo bambino con tre genitori biologici potrebbe essere concepito entro tre anni. (AGI)


14 aprile 2010



© Copyright Corrriere della Sera 14 aprile 2010

Un fantasma nei geni. Il Dna non svela i segreti della vita. di Carlo Bellieni

La vita non è semplice e riducibile a nostri schemi. Ne è un esempio lo studio del Dna. Notizia recente è che chi pensava che il Progetto genoma svelasse il segreto della vita deve ricredersi: appena nata, la decifrazione del genoma umano come spiegazione della vita è già vecchia, tanto che l'agenzia scientifica "Nova" titola: Un fantasma nei tuoi geni per spiegare come un secondo genoma tutto ancora da scoprire agisca sul Dna.
L'ultimo numero della rivista della American Society for Cell Biology (aprile 2010) si dilunga su come insegnarlo al pubblico e nelle università; Eva Vermuza su "Menome" del 2003 già scriveva: "Come può una molecola composta di soli quattro elementi generare tanta complessità? La risposta semplice è che il Dna non lavora da solo". Non è fantascienza, ma epi-genetica: le informazioni del nostro Dna vengono cioè influenzate dall'ambiente che, attraverso un sistema di molecole interno alla cellula, agisce sopra (epi) il dna (genetica). E questo sistema di regolazione superiore agisce come un vero e proprio lettore per il Dna che risulta simile a un cd: pieno di musica ma inerte senza l'apparecchio che lo sa leggere. Dunque la sola decifrazione del genoma - certo ottima a fini terapeutici - è un passo ancora primordiale nella comprensione del funzionamento delle strutture biologiche. E Manel Esteller su "Lancet" del gennaio 2006 ha ben ragione di scrivere: "Noi non siamo i nostri geni. Non possiamo prendercela solo coi geni per il nostro comportamento o per la nostra suscettibilità alle malattie": la vita non è assimilabile e riducibile alla sequenza delle basi del Dna.
Insomma, chi crede di leggere il genoma e capire la vita si sbaglia di grosso: il numero di geni dei mammiferi è simile, ma diverso è il sistema superiore incaricato della lettura, legato alla genetica e all'ambiente. Per non parlare delle differenze morali. Scrive ancora Manel Esteller: "Uno dei risultati più sorprendenti del confronto dei genomi di varie specie animali è quanto simili essi siano. Il genoma del topo non differisce molto da quello dell'uomo. Come possiamo allora spiegare le differenze?". L'epigenetica, ovvero la supervisione dell'ambiente sul Dna, è un'introduzione a questa risposta: l'espressione della vita non dipende solo dal Dna, ma da come questo viene fatto parlare dall'ambiente, introducendo a un'armonia che supera la mera casualità.
Non stupisce quindi che gli studi sull'ereditarietà dei cambiamenti epigenetici, come quelli dell'americano Michael Skinner, direttore del Centre for Reproductive Biology a Washington, abbiano dei riflessi anche sul concetto di evoluzione, certamente tutti da valutare e soppesare con attenzione, ma che non possono essere sottaciuti, dato che appare che l'ambiente può inibire l'espressione di un gene - e non più solo selezionare mutazioni casuali dei geni stessi - e questa inibizione viene trasmessa alle generazioni successive. I cambiamenti fisici, dunque, non avverrebbero solo per mutazioni casuali del Dna, ma anche in seguito a inibizioni da parte dell'ambiente sull'espressione di alcuni geni. Didier Raoult sempre sulla rivista "Lancet" (gennaio 2010) spiega che addirittura il patrimonio genetico può nei secoli mutare per l'interazione con altre specie viventi.
Si apre così, indubbiamente, un nuovo scenario che lascia intravedere che non solo il caso governa lo sviluppo della vita, ma che esistono una collaborazione e un'interazione tra ambiente e genetica in cui l'ambiente ha la funzione di catalizzatore e organizzatore. "Gli ecosistemi si evolvono per co-evoluzione e auto-organizzazione", spiega il chimico Enzo Tiezzi, premio Prigogine 2005, nel suo Steps Towards an Evolutionary Physics (2006) indicando che l'evoluzione non è cieca, o perlomeno non è una folle corsa: "L'avventura dell'evoluzione biologica è un'avventura stocastica, dal greco, che significa, "mirare con la freccia al centro del bersaglio"": come le frecce arrivano in ordine sparso sul bersaglio, ma tutte protese verso il centro da parte dell'arciere, così anche l'evoluzione appare avere un'armonia di base. "Purtroppo - spiega ancora Vermuza - tra gli evoluzionisti c'è un'aura di deificazione di Darwin, che tende a soffocare il dibattito". Questo anche se, come fa Matt Ridley sul "National Geographic" del febbraio 2009, si può riconoscere che, nonostante delle geniali intuizioni, "le idee di Darwin sul meccanismo dell'ereditarietà erano sbagliate e confuse". L'epigenetica offre una visione nuova dello sviluppo della vita sulla terra, che non suona più come una lotta per la sopravvivenza in base a mutazioni casuali, ma appare la possibilità di un'armonia in cui si nota sorprendentemente, invece di una spietata competizione, una possibile collaborazione.
Ma c'è un ultimo aspetto che l'epigenetica illumina: l'effetto dell'ambiente sul Dna può essere anche legato a un intervento umano. Dei ricercatori del Maryland su "Fertility and Sterility" del febbraio 2009 scrivono: "È stato chiaramente dimostrato che stimolazioni ovariche e manipolazioni dell'embrione associate con la Fiv (fecondazione in vitro) sono causa di disordini dell'imprinting genomico nell'animale. E la percentuale di malattia di Angelman o Beckwith-Wideman causate da difetti dell'imprinting genomico in bimbi nati da Fiv è molto maggiore che negli altri, rafforzando la nozione che la Fiv causi disordini dell'imprinting". Il Dna è fragile e in certi casi porta memoria di ciò che lo influenza, come è ben spiegato anche sulla rivista "Reproductive Health" (ottobre 2004): "Una potenziale alterazione dell'imprinting genomico potrebbe risultare dalla manipolazione dell'embrione nelle prime fasi". Questo non significa un'equazione tra manipolazione e malattia, anche perché queste malattie sono rarissime e gli studi vanno approfonditi, ma mostra una necessità di cautela: tanta delicatezza merita davvero un surplus di rispetto.


(©L'Osservatore Romano - 14 aprile 2010)

Così web e genetica cambiano le relazioni d’amore. Francesco Alberoni

Spesso mi chiedono come cambieranno le relazioni fra i sessi quando saranno adulti i ragazzi che oggi hanno dodici- tredici anni. Che effetto avranno la libertà sessuale, la pornografia precoce, l’uso delle droghe, il moltiplicarsi dei rapporti web? E rispondo sempre che il futuro non è conoscibile e che sbagliano coloro che lo immaginano come una espansione del presente. Il cambiamento è sempre discontinuo, per catastrofe. Spesso il punto di partenza è una innovazione tecnologica. È stata la mitragliatrice a creare la guerra di trincea, e poi i carri amati e gli aerei per superarla. Sono stati gli antibiotici a produrre l’enorme aumento della popolazione in Asia in Africa. Sono stati i contraccettivi che hanno permesso alla donna di pianificare le nascite, di avere una vita sessuale libera, di studiare, di fare carriera. Nel prossimo futuro ho l’impressione che le relazioni fra i sessi saranno condizionate dalla sempre maggior pregnanza dei rapporti attraverso il web, dalle manipolazioni farmacologiche del sistema nervoso e dall’ingegneria genetica.

Già oggi moltissime persone usano sostanze chimiche per eccitarsi, per calmarsi, per dormire, per avere rapporti sessuali, per ricordare o per dimenticare. Si stanno facendo ricerche per poter modificare la memoria e manipolare la passione amorosa. Ancora più impressionanti le applicazioni della genetica, con cui potremo programmare le caratteristiche fisiche e mentali dei figli ricorrendo a banche di sperma o a manipolazioni del genoma. È come se l’essere umano potesse autocostruirsi come vuole, correndo però il pericolo di diventare artificioso, inautentico. I grandi scrittori hanno spesso intuito i dilemmi fondamentali del loro secolo. George Orwell nel libro «1984» ci ha mostrato la spaventosa capacità di falsificazione del totalitarismo. Aldous Huxley ne «Il nuovo mondo» ha anticipato la separazione fra sesso e riproduzione, l’inaridimento emotivo e la diffusione delle droghe. Mi ci sono provato anch’io ne «I dialoghi degli amanti», dove immagino un mondo che sta arrendendosi alla manipolazione genetica e neurofarmacologica, ed i protagonisti ritrovano la propria umanità e la propria verità solo attraverso un grandissimo amore erotico felice, sincero e fedele. Perché, ce lo conferma anche il successo del film «Avatar», tutti noi vogliamo vivere più a lungo, essere più belli, più sani, felici, ma anche essere sempre più noi stessi, autentici, veri, e sentirci profondamente capiti ed amati.


Corriere della sera 25 gennaio 2010

Genetica, uno studio rivela: il cromosoma Y non sparirà

Q ualcuno già la chiama la 'rivincita del maschio'. Uno studio americano ha ribaltato quelle non poche ricerche che lasciavano intendere che ci fosse una minaccia pendente sul maschio: quella di estinguersi in quanto il cromosoma sessuale maschile Y si stava velocemente degradando. Jennifer Hughes, autrice di questo nuovo studio, ha affermato invece che il 'Y' si è evoluto in fretta, ma questa evoluzione non sembra essere destinata a portare alla sua scomparsa. Tutti i precedenti modelli di evoluzione del cromosoma Y erano incentrati solo sul suo decadimento, spiega Hughes, e da ciò si è originata questa «predizione» della sua scomparsa.

Un film su Gregor Mendel, il "padre" della genetica, quando scienza e fede spiegano la realtà



E' interessante, leggete, amici.

di Mario Gargantini e Alberto Carrara (Il Sussidiario)

mercoledì 16 dicembre 2009


Arriva sul grande schermo, e speriamo anche nelle sale e multisale della penisola, la vita dell’abate Gregor Mendel, sacerdote cattolico e padre della genetica moderna. Il film The Gardener of God (Il giardiniere di Dio) è la prima produzione cinematografica moderna sulla figura di Mendel ed è un affettuoso omaggio a uno scienziato schivo e riservato, che persegue i suoi obiettivi con grande passione; un sacerdote che vive per Cristo, che fa della preghiera uno stato d'animo e il faro della sua vita, un prete-scienziato che fin da giovane era convinto che le forze della natura agiscono secondo una segreta armonia, che è compito dell'uomo scoprire per il bene dell'uomo stesso e la gloria del Creatore.
I 110 minuti del film, girato in Piemonte e a Salisburgo, narrano la storia umana e spirituale di Mendel, abate dell’ordine di San Agostino, che fu al contempo uomo di fede, di cultura e uomo di scienza, sacerdote fervoroso e inquieto intellettuale. La sceneggiatura alterna la vita monastica dell’abate agostiniano alla sua passione per la ricerca scientifica, come pure al suo dono peculiare di direttore e maestro d’anime.
Altri personaggi intrecciano le loro vite con la sua: come la volubile contessa von Bauman, che cerca di sedurlo ma davanti all'integrità di Mendel si redime, vergognandosi del proprio errore; è interpretata da Anja Kruse, nota artista della televisione austro-tedesca. E poi la principessa von Limburg, amica e mecenate, che lo appoggia nei momenti difficili; è interpretata dalla principessa Maria Pia Ruspoli. Il film mostra anche un incontro amichevole e paterno tra Mendel e Papa Pio IX, che incoraggia lo scienziato e gli spiega che la scienza è il tentativo dell'uomo di essere degno di Dio.

Johann Gregor Mendel era nato a Heinzendorf (nell’attuale Repubblica Ceca) il 22 luglio 1822. Fu monaco, botanico, metereologo e genetista; era giunto alla scienza grazie alla sua passione per l’agricoltura. Nel 1843 entrò nel monastero agostiniano di Altbrünn e nel 1847 professò i voti religiosi e ricevette gli ordini sacri. Durante i suoi studi teologici gli venne permesso partecipare a corsi di agricoltura e di viticoltura imparando da Franz Diebl il metodo di impollinazione artificiale come tecnica principale per migliorare le piante in modo controllato.

Tra il 1851 e il 1853 studiò all’Università di Vienna dove apprese, per la prima volta attraverso Franz Unger, le teorie sulla mutazione delle specie e quella sull’antichità del pianeta Terra. Dallo stesso Unger, Mendel imparò l’applicazione della teoria cellulare di Virchow applicata alla fertilizzazione delle piante; tale tecnica lo portò ad identificare, nel 1856, la cellula uovo e il granello di polline quali elementi per la formazione di un nuovo individuo, lo zigote. Membro della Società di Zoologia e Botanica di Vienna, si rese conto presto della totale assenza di una vera analisi statistica sulla frequenza delle ibridazioni con piante.
Tornato al monastero di Brünn, come pone in rilievo il film, Mendel iniziò una serie di esperimenti con la pianta di pisello (Pisum sativum) che lo resero celebre non soltanto nella storia della scienza. Iniziò le sue ibridazioni nel 1856 e terminò i suoi studi otto anni dopo, con estrema pazienza e costanza. Tra il 1856 e il 1863, coltivò e incrociò più 30.000 piante di Pisum sativum. I suoi studi, presentati nel 1865 durante il Congresso della Società di Scienze Naturali, costituirono le fondamenta scientifiche della moderna genetica. Morì a Brünn (Moravia) il 6 gennaio 1884.

Giovanni Paolo II, in un suo discorso commemorativo del 10 marzo 1984, così si esprimeva: «prima di divenire uomo di cultura e di scienza, Gregorio Mendel fu uomo di fede. E tale egli restò, sapendo strettamente unire, come già altri, ma in un modo ben superiore, la vita cristiana e monastica alle sue ricerche scientifiche, e sempre mantenendo il genio della sua intelligenza eccezionale ugualmente rivolto verso il suo Creatore per lodarlo e adorarlo, e verso la creazione, per scoprire le leggi in essa nascoste dalla provvida sapienza di Dio». «Sull’esempio del suo maestro sant’Agostino - concludeva il Papa - seguendo la propria vocazione personale, Gregorio Mendel, nell’osservazione della natura e nella contemplazione del suo Autore, seppe in un medesimo slancio congiungere la ricerca della verità con la certezza di conoscerla già nel Verbo creatore, luce seminata in ogni uomo e rifulgente nell’intimo delle leggi della natura, che lo studioso pazientemente decifra».


È questa una perfetta sintesi delle qualità dell’abate che emergono dal film, presentato in anteprima a Roma la scorsa settimana presso l'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Scritto e diretto da Liana Marabini, il film è una produzione Condor Pictures e vede come attore protagonista il famoso Christopher Lambert, perfettamente a suo agio nei panni di padre Mendel.
La Marabini è scenarista, regista e produttrice; si è specializzata in film ispirati alla storia della Chiesa, riscoprendo i grandi personaggi che ne hanno esaltato la ricchezza intellettuale e spirituale. Ha portato così in scena dei nuovi modelli, benché antichi, come Vivaldi, il curato d’Ars, il cardinale Newman e ora Mendel: tutti uomini notevoli che hanno raggiunto l’immortalità con le loro opere, ispirate da Dio e che avevano in comune il fatto di essere preti cattolici. Liana Marabini è anche fondatrice e presidente di Mirabile Dictu – International Catholic Film Festival, la cui prima edizione si svolgerà dal 7 all’11 giugno 2010 all’Auditorio Vaticano.
Presente all’anteprima, l’Arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, ha sottolineato come lo strumento cinematografico sia riuscito a portare a galla il delicato quanto necessario dialogo tra scienza e fede.

(Mario Gargantini, Alberto Carrara)

Premi nobel - 2

Chi sono i genetisti premiati?

Quei Nobel per la medicina che giocano ad essere Dio

di Gianfranco Amato

Anche per il 2009 il governo svedese ha assegnato il Nobel per la medicina.

Si divideranno il premio di dieci milioni di corone svedesi (circa 980.000 euro) gli scienziati statunitensi d’adozione Elizabeth H. Blackburn, Carol W. Greider e Jack W. Szostak.
Per la prima volta nella storia dell’ambito riconoscimento, due donne hanno avuto l’onore di essere premiate. Non è, però, questa circostanza – seppure di un certo rilievo – a destare l’interesse dell’opinione pubblica non erudita sul Nobel di quest’anno.
In realtà, è proprio l’oggetto della scoperta premiata a stimolare la curiosità della common people, normalmente poco avvezza ai vetrini dei microscopi.
Sì perché il Nobel questa volta è stato conferito ai tre accademici per le loro ricerche sulle funzioni delle strutture che proteggono le estremità dei cromosomi, i cosiddetti telomeri, e sull’enzima che li costituisce, ovvero la telomerasi. Detta così la scoperta non desta molto appeal. La cosa si fa, invece, più interessante quando al profano viene spiegato che i telomeri sono la difesa più significativa contro i danni che i cromosomi possono subire nella fase di divisione cellulare e costituiscono, quindi, la protezione più importante contro la degradazione e l'invecchiamento. Da qui il tripudio collettivo. La Scienza sta finalmente sconfiggendo l’odiosa vecchiaia e forse, chissà, anche la stessa morte.
L’eccitazione è però destinata presto a smorzarsi. Dal coro degli scienziati entusiasti, infatti, si leva qualche voce stonata dettata da maggiore prudenza e realismo. Il professor Roberto Bernabei, geriatra al policlinico Gemelli ed ex Presidente della Società italiana di Gerontologia e Geriatria, ad esempio, si mostra assai cauto: «Sono scoperte indubbiamente interessanti, ma l'applicazione pratica è straordinariamente lontana».
Per ora, coloro che sono affetti dalla sindrome di Dorian Gray ed i fanatici della anti-aging medicine devono rinviare le speranze.
In attesa di verificare quali reali vantaggi la nuova scoperta possa davvero portare nel campo terapeutico, soprattutto per quanto riguarda il campo oncologico, si può riflettere sull’opportunità che la scienza interferisca nei processi biologici, playing God.
Gli studiosi premiati sul punto hanno le idee molto chiare.
Elizabeth Blackburn è un’accanita sostenitrice della ricerca sulle cellule staminali embrionali, convinta che da essa possa ricavarsi una moderna lapis philosophorum capace di donare vita eterna ed immortalità. Un approccio ideologico che ricorda più l’ermetismo alchemico che la prospettiva razionale di una moderna mente scientifica. Nel 2004, del resto, la Blackburn fu allontanata dal Council on Bioethics, il comitato scientifico sulla bioetica degli Stati Uniti. Indispettita per quel provvedimento, la scienziata non esitò a firmare un editoriale di fuoco sul New England Journal of Medicine in cui sosteneva chiaramente di essere stata licenziata dal comitato scientifico solo perché le proprie idee contrastavano con la linea anti-staminali embrionali dell’allora presidente americano George W. Bush.
Il collega scopritore Jack Szostak è, invece, uno sfegatato darwiniano ossessionato dall’idea di riprodurre in laboratorio la cellula primordiale per dimostrare l’assurdità della teoria dell’intelligent design. Le sue ultime ricerche, infatti, sono essenzialmente focalizzate sul tentativo di creare un sistema vivente sintetico in grado di evolversi in senso darwiniano. Il Prof. Szostak non gioca ad essere Dio, pensa semplicemente di esserlo.
Resta da capire che senso abbia tentare di creare una vita biologicamente perfetta, arrestarne l’invecchiamento o addirittura sconfiggere la morte, proiettando l’esistenza umana in una dimensione di immortalità, se poi a questa esistenza non si riesce a dare un significato.
E’ curioso il timore, diffuso a tutti i livelli della società, di diventare vecchi e l’irrefrenabile desiderio di prolungare il più possibile la vita, senza soffermarsi a riflettere se poi esista davvero un motivo per cui valga la pena viverla. Ed è curioso vedere la girandola degli enormi interessi economici, medici, scientifici, politici che ruota attorno al sogno di sconfiggere l’invecchiamento.
Quanto siano ambiziose le speranze in questo settore lo ha evidenziato Leonard Hayflick, geriatra della University of California in una sua celebre metafora: «Quando un’auto esce dal concessionario inizia ad invecchiare, perdendo la sua integrità. La ripariamo, ma a un certo punto diventerà inservibile perché i guasti saranno troppi: proprio come accade all’uomo. Poiché nessuno è stato finora capace di fermare il declino di un oggetto semplice come l’auto, pensare di riuscirci con l’uomo appare tuttora come un’utopia». Forse qualche Premio Nobel, prima o poi, riuscirà nell’impresa, realizzando quell’antica utopia. Ma ne varrà davvero la pena?

© Copyright L'Occidentale, 6 ottobre 2009