DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Cattolici e ortodossi uniti contro il secolarismo ma divisi sui minareti. B-XVI INCONTRA MEDVEDEV E SBARCA NELLE LIBRERIE DI MOSCA

Roma. L’incontro di ieri tra il presidente
russo Dmitri Medvedev e il Papa – ha
avuto il risultato dell’elevazione della
rappresentanza russa presso il Vaticano
ad ambasciata – è stato preceduto da importanti
segnali sul fronte dei rapporti tra
cattolici e ortodossi. Il più importante riguarda
la pubblicazione che il patriarcato
russo ha fatto del libro “Europa patria
spirituale”. E’ un volume che raccoglie i
discorsi che Joseph Ratzinger ha dedicato
all’Europa. Il presidente del Dipartimento
per le relazioni esterne del Patriarcato
di Mosca, l’arcivescovo Hilarion
Alfeyev di Volokolamsk (il numero due
del patriarcato), ha dedicato al libro
un’ampia prefazione nella quale chiama
i cristiani a fare fronte comune contro “il
secolarismo militante”. Scrive Hilarion:
“L’Europa deve accettare il diritto delle
varie comunità di conservare le proprie
identità culturali e spirituali, il nucleo
delle quali molto spesso è costituito dalla
religione”. E ancora: “Credo che la solidarietà
tra cristiani europei debba divenire
sempre più manifesta al fine di salvaguardare
le rispettive identità, combattere il
secolarismo militante e affrontare le altre
sfide della modernità”. E rispettare le diverse
identità significa che “le libertà democratiche
dell’individuo, compreso il
suo diritto all’autodeterminazione religiosa”,
non devono prevaricare “i diritti delle
comunità nazionali a preservare la propria
integrità, la fedeltà alle proprie tradizioni,
etica sociale e religione”.
La chiesa cattolica è in sintonia con
questa visione? E ancora: può un serio
dialogo ecumenico fondarsi, con le conseguenze
pratiche che ciò comporta, su una
difesa pubblica e tenace di quei princìpi
che separano il cristianesimo dal secolarimo
militante? Dice al Foglio Alberto
Melloni: “Il dialogo ecumenico prospettato
dal Concilio aveva un respiro teologico
ampio. Era impensabile intendere i rapporti
tra cristiani come un mero arroccamento
contro il secolarismo. Mentre trovare
punti di contatto tra cristiani esclusivamente
nella lotta al secolarismo è la
fine dell’ecumenismo così come il Vaticano
II l’ha inteso. E’ la vittoria di quei settori
del cristianesimo più conservatori. Il
Concilio apriva al confronto tra posizioni
teologiche diverse e non voleva chiudersi
sulla difensiva. In questo senso credo che
la prefazione che Hilarion fa al libro non
aggiunga nulla al dialogo ecumenico tra
le parti. Un dialogo serio e profondo deve
ancora avvenire”.
La chiesa cattolica ha avuto la possibilità
di confrontarsi con la modernità prima
della chiesa ortodossa. Quest’ultima,
schiacciata dal regime sovietico, è rimasta
in impasse per quasi tutto il XX secolo.
Non così Roma: il Concilio Vaticano II
ha rappresentato una volontà di confronto
con la modernità mai manifestatasi prima.
Ricorda l’artista gesuita padre Marko
Ivan Rupnik – docente al Pontificio istituto
orientale e alla Gregoriana, ha ideato
sul tema dell’incontro tra oriente e occidente
i mosaici della Cappella vaticana
“Redemptoris Mater” – che “la chiesa cattolica
ha avuto, a differenza di quella ortodossa,
il Vaticano II per confrontarsi
con la modernità. E questo è un bel vantaggio
che pone inevitabilmente Roma su
un altro piano rispetto a Mosca. All’inizio
del XX secolo Mosca stava per indire un
Concilio, poi ha rinunciato. E’ naturale
che oggi gli ortodossi chiedano una difesa
dei propri princìpi contro quell’aspetto
della modernità più deteriore che è il secolarismo.
E’ il loro modo per cercare di
affrontare la modernità dopo anni in cui
la modernità è stata tenuta fuori dai confini
del loro stato. Credo però che non
debba procedere su questa difesa la ricerca
dell’unità tra le due chiese. Occorre
piuttosto prendere sul serio le radici
della nostra comune fede”.
Uno dei principali collaboratori del
cardinale tedesco Walter Kasper nella sezione
orientale del Pontificio consiglio
per la promozione dell’unità dei cristiani
è il gesuita Milan Zust. E’ stato lui a presentare
due giorni fa a Roma il volume
“Europa patria spirituale”. Dice padre
Zust che “la pubblicazione del volume da
parte degli ortodossi mostra un’affinità
particolare tra Mosca e l’attuale papato.
Un’affinità che nella battaglia al secolarismo
trova un suo motivo d’espressione. Lo
dimostrano anche le dichiarazioni che
Mosca ha fatto a seguito della sentenza
europea sui crocifissi in Italia: combattere
il secolarismo significa anche difendere
i propri simboli religiosi”.
Certo, un conto sono i crocefissi, un altro
i minareti. Sui crocefissi gli ortodossi
si sono espressi in un certo modo. Sul referendum
inerente i minareti in Svizzera
hanno invece detto altro. E’ stato il rappresentante
del patriarcato di Mosca al
Consiglio d’Europa, padre Filarete, a dire
che il “no” ai minareti “non è un problema
di libertà religiosa”. E ancora: “Sarebbe
non equilibrato accusare la Svizzera
di discriminare in qualche modo la minoranza
islamica: la Svizzera non ha alcuna
restrizione sulla costruzione di luoghi
di preghiera per nessuno”. Il Vaticano, invece,
ha detto altro, praticamente l’opposto.
C’è dunque una concezione diversa
della libertà religiosa? Il problema dell’espressione
religiosa la chiesa cattolica
l’ha affrontato nella dichiarazione del
Concilio Vaticano II “Dignitatis Humanae”.
Spiega don Nicola Bux, consultore
della Dottrina della fede: “La dichiarazione
conciliare dice a mo’ di premessa che
l’unica vera religione ‘sussiste nella chiesa
cattolica e apostolica’. E’ la stessa cosa
che pensano di sé gli ortodossi. In questo
senso la religione che ha plasmato un intero
popolo non può che venire prima
dell’autodeterminazione religiosa dei singoli.
In cosa consiste allora la libertà religiosa?
Nel fatto che a tutti deve essere
concesso l’accesso alla verità. Ovvero: tutti
devono poter ricercare la verità. E’ in
questa luce (altrimenti non capisco la cosa)
che leggo il disappunto vaticano verso
l’esito del referendum sui minareti. Il ‘no’
ai minareti soffoca questa ricerca della
verità”.

Il Foglio 4 dicembre 2009