Il Papa: la fede adulta scopre che siamo nati per amare e si può vivere solo amando
Guglielmo di Saint-Thierry, sul quale mi soffermo nella riflessione di questa mattina...
All’inizio una persona accetta la visione della vita ispirata dalla fede con un atto di obbedienza e di fiducia. Poi con un processo di interiorizzazione, nel quale la ragione e la volontà giocano un grande ruolo, la fede in Cristo è accolta con profonda convinzione e si sperimenta un’armoniosa corrispondenza tra ciò che si crede e si spera e le aspirazioni più segrete dell’anima, la nostra ragione, i nostri affetti. Si giunge così alla perfezione della vita spirituale, quando le realtà della fede sono fonte di intima gioia e di comunione reale e appagante con Dio. Si vive solo nell’amore e per amore.
Guglielmo fonda questo itinerario su una solida visione dell’uomo, ispirata agli antichi Padri greci, soprattutto ad Origene, i quali, con un linguaggio audace, avevano insegnato che la vocazione dell’uomo è diventare come Dio, che lo ha creato a sua immagine e somiglianza. L’immagine di Dio presente nell’uomo lo spinge verso la somiglianza, cioè verso un’identità sempre più piena tra la propria volontà e quella divina. A questa perfezione, che Guglielmo chiama “unità di spirito”, si giunge non con lo sforzo personale, ma è necessaria un’altra cosa: si raggiunge per l’azione dello Spirito Santo, che prende dimora nell’anima e purifica, assorbe e trasforma in carità ogni slancio e ogni desiderio d’amore presente nell’uomo. “Vi è poi un’altra somiglianza con Dio”, leggiamo nell’Epistola aurea, “che viene detta non più somiglianza, ma unità di spirito, quando l’uomo diventa uno con Dio, uno spirito, non soltanto per l’unità di un identico volere, ma per non essere in grado di volere altro. In tal modo l’uomo merita di diventare non Dio, ma ciò che Dio è: l’uomo diventa per grazia ciò che Dio è per natura” (Epistola aurea 262-263, SC 223, pp. 353-355). ( Il Papa: La fede adulta, frutto della Grazia, è fonte di gioia, )
3 dicembre, memoria di san Francesco Saverio. La comunità alla fonte della sua avventura missionaria (Antonio Socci)
In Navarra, nel castello della famiglia Xavier, il 7 aprile 1506 nasce il quinto e ultimo figlio di Giovanni de Jassu e di Maria de Azpilcueta. Si chiama Francesco. Arrivato a diciotto anni, è un giovanotto atletico, di forte temperamento e dotato di un certo fascino. Ottiene buoni risultati nello studio e così la famiglia decide - pur con mille sacrifici - di mandarlo a frequentare l’università più autorevole del tempo, quella di Parigi.Il giovane navarrino arriva nel 1525 a Parigi, che è un focolaio delle nuove idee riformatrici e contestatrici. E si trova subito a gravitare attorno a tali ambienti.In questi anni la Chiesa è al centro di un ciclone. Adriano VI, che fu papa mentre la bomba protestante stava esplodendo e stava devastando la Chiesa, scrisse: «Noi sappiamo bene che anche in questa Santa Sede, fino ad alcuni anni or sono, sono accadute cose abbominevolissime». Le condizioni della cristianità appaiono gravi.... Eppure oggi, a distanza di quasi cinque secoli, sappiamo che anche in quella situazione, che a uno sguardo puramente umano poteva sembrare disperata per le sorti del cristianesimo, erano presenti piccoli "semi" da cui si sarebbe sprigionata una rinascita cristiana stupefacente, una sorta di nuovo inizio.Ma un osservatore che avesse attraversato la cristianità in quegli anni dove avrebbe dovuto guardare per vedere quei semi?Un osservatore che si fosse trovato nella cripta della piccola chiesa di Montmartre, a Parigi, il 15 agosto 1534, avrebbe visto una scena del tutto normale: sette uomini che parlavano fra loro. Niente di speciale. Se non il motivo del loro convenire, che traspariva dal loro comportamento. Un casuale osservatore sarebbe rimasto incuriosito dalle loro facce che mostravano una determinazione, un’intensità e una sorta di unità d’intenti inconsuete: si sarebbe detto - a guardarli bene - che fossero molto legati l’uno all’altro. Inusuale - a voler capire fino in fondo il mistero che li univa e li aveva fatti convenire lì - era quello che si stavano dicendo. Quei sette "compagni" stavano pronunciando una specie di voto, s’impegnavano a servire Gesù Cristo in castità e povertà, ad andare in pellegrinaggio in Terra Santa o - se non fosse stato possibile - ad andare a Roma mettendosi a disposizione totale del Papa. Era il giorno dell’Assunta. Questo gruppo di sette uomini si chiamerà Compagnia di Gesù. Resta un interrogativo storico irrisolto perché contro questi uomini disarmati si siano poi coalizzati e scatenati i più formidabili poteri, anche occulti, politici ed economici del mondo. Che cosa trovarono in loro di così minaccioso re, governi, corti, imperi finanziari e lobbies commerciali?Forse quella loro "unità", che neanche le migliori compagnie di ventura conoscevano? O la loro audacia? ... Francesco Saverio, che avevamo lasciato a Parigi, dov’era appena arrivato nel 1525, lo ritroviamo il 15 agosto 1534 proprio in questa cripta parigina: è uno dei sette compagni. Com’è finito lì?...Francesco, da studente, alloggiava nel collegio di Santa Barbara. Suo compagno di camera e di studi è un giovane della Savoia, Pietro Favre. Francesco è esuberante e coltiva grandi ambizioni. Pietro, suo coetaneo, ha un carattere buono e paziente. Diventano subito amici. E come accade di solito in questi casi le conoscenze dell’uno si comunicano all’altro.Pietro un giorno presenta a Francesco un suo amico, uno studente per la verità abbastanza particolare, perché è sulla quarantina: oggi si direbbe un fuori corso. Si chiama Ignazio, ha un volto magro e un passo vistosamente claudicante. Prima infatti faceva il soldato: durante l’assedio di Pamplona si è preso una palla di cannone sulla gamba e adesso ne porta le conseguenze.Ignazio esercita un certo ascendente su Pietro e su molti altri studenti. Francesco, che intanto nel 1530 ha preso il diploma di maestro e ha cominciato a insegnare, è dapprima scontroso e diffidente. Con lui è «duro e difficoltoso», forse proprio perché sente sempre più forte la curiosità e l’attrazione nei confronti di una personalità potente come quella di Ignazio. A poco a poco cambierà.Ignazio, che ne capisce il carattere audace e le grandi ambizioni, lo vincerà definitivamente ripetendogli una frase del Vangelo: «Che giova all’uomo conquistare il mondo intero se poi perde se stesso?». Da qui comincia la conversione di Francesco, cioè la sua adesione alla compagnia di Ignazio, di Pietro e degli altri convenuti quel 15 agosto nella cappella di Montmartre.Francesco ha 28 anni. Ancora vivente diventerà una leggenda. Non perché cercò l’avventura. Ma perché visse l’obbedienza cercando di far sue la fede, la speranza e la carità di Ignazio.
Ai suoi amici scriveva: «Vivere senza godere di Dio non sarebbe una vita, ma una morte continua».E nel gennaio 1552, alla fine di questa incredibile avventura durata dieci anni, annotò: «Mi sembra veramente di poter dire che nella mia vita non ho mai ricevuto tanta gioia e allegrezza».
Da dove nasce tanta audacia? Francesco continuamente tiene presente il ricordo struggente dei volti degli amici che si confondono con il volto e il nome di Gesù Cristo. Non fa che ricordarli, chiede a Ignazio che gli scriva «una lettera così lunga che io impieghi tre giorni a leggerla». Vuole sapere tutto di tutti i compagni. Notte e giorno pensa a loro, parla di loro, scrive loro e il suo cuore s’infiamma, la sua gratitudine arriva alle lacrime. Quando muore, a 46 anni, dentro una capanna di foglie, sull’Isola di Sancian, davanti alla Cina (dove voleva arrivare), nella notte del 2 dicembre 1552, sembra avere solo la compagnia di un crocifisso e di un cinese che aveva convertito e che doveva fargli da interprete. Ma si scoprirà al suo collo un piccolo contenitore: dentro c’era una reliquia dell’apostolo san Tommaso, la formula della sua professione e le firme autografe dei suoi amici ritagliate dalle loro lettere. Non erano lontani. Li aveva sul suo cuore. ( 3 dicembre. San Francesco Saverio. di Antonio Socci )
I fatti più forti delle parole (vuote). La Ru486 ha ucciso, ieri, in Italia
Proprio mentre il consiglio d’amministrazione dell’Agenzia italiana del farmaco replicava ieri in fotocopia la delibera di luglio con cui dava il via libera alla pillola abortiva – e mentre rinviava al ministero della Salute e alle regioni il compito di stabilire con quali modalità di ricovero, se ordinario o in day hospital, la Ru486 possa essere somministrata senza confliggere con la legge 194 – la cronaca si è tragicamente incaricata di raccontare che cosa può concretamente comportare un aborto chimico. Due giorni fa, nel popolare quartiere romano di San Basilio, una donna romena di quarant’anni è morta per aver tentato di abortire in casa con le prostaglandine, farmaci in vendita come comunissimi antiulcera ma capaci di provocare violente contrazioni uterine che inducono l’aborto.... Le prostaglandine che hanno ucciso quella donna sono proprio le stesse, identiche prostaglandine che bisogna assumere nella seconda fase della procedura con la Ru486, a tre giorni di distanza dalla somministrazione della prima pillola. Il mifepristone, cioè il principio attivo della pillola abortiva, da solo non è affatto competitivo con i metodi tradizionali, perché in un’alta percentuale di casi fallisce. Il suo compito è quello di bloccare lo sviluppo dell’embrione e di favorirne il distacco, ma per completare l’aborto è necessario usare proprio le prostaglandine: sono queste che inducono le contrazioni e l’espulsione dell’embrione.
Abortire con la Ru486 significa abortire a domicilio con le prostaglandine, così come ha fatto quella sfortunata donna romena, e l’aborto farmacologico che si reclama a gran voce perché sarebbe “meno invasivo” è l’aborto con le prostaglandine. Dovrebbero saperlo coloro che vedono nel ricovero fino al completamento dell’aborto (prescritto dalla 194) un’imposizione vessatoria e non uno strumento indispensabile di tutela. (In Italia l’aborto chimico già uccide. Una donna morta a Roma. Ha abortito con la “fase due” della Ru486)
L'Erasmus, Barcellona e la vacanza con il fidanzato, la gravidanza, la Ru486 e la morte in faccia. Pensateci bene cari genitori....
Un figlio indesiderato, una gravidanza annunciata e poi confermata da due rapidi test fai-da-te nel bagno dell’università di Barcellona, dove da qualche mese studiava con il suo fidanzato. Infine la decisione di abortire e il benevolo consiglio di un medico spagnolo, gentile quanto ingannevole: «Due pillole e non ci pensi più»... Invece Anna (nome di fantasia), 24 anni, studentessa calabrese, ripenserà per sempre a ciò che è avvenuto dal momento in cui ha assunto la Ru486, un "medicinale" che non cura niente e nessuno, nato allo scopo specifico di sopprimere la vita al suo esordio. Ma che quel giorno rischiò di uccidere la giovane madre, oltre a quel feto che oggi, mentre piange, chiama «figlio».... «All’inizio pensavo che il mio ritardo derivasse da alcuni antibiotici che avevo assunto per una brutta influenza – prosegue –, poi cominciai a temere di essere rimasta incinta e in una farmacia del centro comprai il test di gravidanza». La vita di suo figlio, annunciata in quel bagno, le cadde addosso come la peggiore delle notizie. «Lo dissi a Roberto e sperammo entrambi in un errore, ma anche il secondo test diede lo stesso risultato. Da allora litigammo furiosamente...». La vita di Anna iniziava a frantumarsi, e il primo pezzo che se ne andava era proprio l’amore: da una parte c’era Roberto, deciso a tenere quel figlio e a prendersi le sue responsabilità di padre nonostante i suoi 24 anni e la mancanza di un lavoro, dall’altra le paure della giovane, il timore dei genitori, il terrore della solitudine. E sola rimane davvero, Anna, accompagnata da un’amica spagnola nella struttura sanitaria in cui i medici le spiegano che «la Spagna è molto più avanti dell’Italia e qui c’è la libertà di abortire con semplicità». Sola è anche quando i camici bianchi le raccontano che non avrà alcun problema, che «basterà assumere due pillole, una per bloccare la gravidanza e l’altra per espellere il feto, niente di complicato, al massimo quel piccolo fastidio come nelle giornate del ciclo...». Sola quando imbocca il tunnel senza nemmeno far sapere a Roberto che tra poche ore non sarà più padre.
Un mare di carte da compilare per dichiarare che era stata informata di tutte le conseguenze cui andava incontro, un colloquio frettoloso con un’assistente sociale, una prescrizione medica e giù le pillole. «Eravamo in tante - ricorda tormentandosi per tutte - e ci chiamavano per nome e cognome, senza alcun rispetto della privacy. Quando toccò a me, nessuno in realtà mi disse nulla del pericolo cui andavo incontro, così firmai e presi la prima pillola, che poi scoprii chiamarsi Mifeprex. Due giorni dopo ritornai in ospedale, come mi aveva detto il medico, e presi l’altra pillola, il Misoprostol. È stato tutto molto facile». Facile come bere quel bicchier d’acqua con cui le manda giù. Ma il dramma deve solo cominciare. «La mattina seguente ero sola in appartamento, le mie due amiche erano uscite, il mio fidanzato neanche sapeva che stavo già mettendo in pratica il mio intento abortivo. Iniziai ad avere dolori lancinanti all’addome, a fare avanti e indietro dal bagno con una diarrea incontrollabile e una nausea terribile. Pensavo di morire. Caddi in uno stato di semi incoscienza e dopo alcune ore mi svegliai in un bagno di sangue. L’emorragia era inarrestabile, continuavo a perdere sangue, sentivo la vita uscire dal mio corpo, non ero mai stata tanto male. Chiamai aiuto e tornai in ospedale, dove mi fecero una nuova ecografia ed ebbi la notizia che l’aborto era avvenuto "con successo". In realtà lì si celebrò il cuore vero del mio dramma. Le mie convinzioni ad una ad una sono tutte crollate, sono caduta in uno stato di depressione terribile, piango sempre e fatico a riprendere forza. Ora mi sento in colpa verso il mio fidanzato, che peraltro ho anche perso, e soprattutto verso quella creatura. Devo cominciare a ricostruire tutta la mia vita, ma so che questo ricordo non mi abbandonerà».
Era una ragazza come tante, Anna, con quella voglia di vivere a volte irrefrenabile, quella convinzione di avere il mondo in tasca e le certezze nel cuore, decisa a fare di testa sua. «Anche in quell’occasione pensavo di aver scelto la via facile, così sui giornali ti presentano la Ru486, credevo fosse una conquista della scienza, invece la mia vita è finita con quella pillola, che ti dà l’illusione di non abortire mentre in realtà rischia di uccidere te oltre a tuo figlio...».
E il gemello down non vale neanche un euro?
La donna che nel giugno 2007, incinta di due gemelli, per un errore nell’aborto selettivo all’ospedale San Paolo di Milano subì una interruzione di gravidanza sul feto sano invece che su quello affetto da sindrome di Down ha chiesto un risarcimento di un milione di euro.
Intanto dico subito che non si è trattato della perdita di una vita umana, ma di due. Infatti i bambini abortiti sono due. A meno di voler sostenere che una, quella sana, era vita umana e l’altra, quella malata, no. Cioè a dire che un malato non è un appartenente alla famiglia umana. E tutti i bimbi affetti da sindrome di Down non sono umani?
A meno di voler sostenere che una aveva diritto di nascere e l’altra no. Dunque i portatori di trisomia 21 che sono al mondo ci stanno da clandestini? Ci sono ma non dovrebbero esserci? Per loro il foglio di rimpatrio significa rispedirli al mittente, cioè a quel caso o a quel Dio che li ha imbarcati sulla fragile imbarcazione di un utero materno? Sarà difficile percepire l’ingiustizia di un aborto selettivo quando tutto “va bene”, quando poi stringi tra le braccia un figlio come tu lo volevi, lo coccoli, lo nutri, lo proteggi e lui ti guarda e ti sorride come solo un figlio fa. La mente allontana il pensiero del costo che hai dovuto pagare (anzi, siamo franchi: che qualcun altro ha pagato). Salvo poi lasciarsi come Pollicino le briciole di un dolore che sa di rimorso per tutta la vita. Ma questa è una altra storia, vergognosamente negata da chi vede nell’aborto un problema tecnico da risolvere con una operazione o due pilloline.
Ma in un caso come questo, no. La realtà mette di fronte all’evidenza: erano uguali ma uno era voluto, l’altro no. Non posso credere che la reazione sia: accidenti a quei medici che hanno sbagliato! Tutta colpa loro! Loro si saranno anche sbagliati, e forse potevano essere ancora più scrupolosi, ma la medicina non è a prova di errore, anche se non c’è scritto in questi termini nei moduli di consenso informato. A prova di errore dovrebbe essere l’amore: per andare sul sicuro si ama tutti, è così che non ci si sbaglia.
Nessun risarcimento sarà adeguato alla perdita di una vita umana? E quale risarcimento è un milione di euro? Una cifra “simbolica”? Ma cinquecento per due o un milione per una, perché l’altra non valeva niente? ( E risarciamo! Ma dividendo per due, non per zero. )
La diagnosi prenatale genetica non è eticamente neutra
La diagnosi prenatale come "mercato della paura", ecco i dettagli di un importante appello sottoscritto dai maggiori esponenti della medicina francese. "In un'epoca di solitudine si cerca nella scienza la sicurezza che dava un tempo la religione" e "non sono tanto i pazienti a trarne vantaggio, quanto gli azionisti delle ditte mediche e la carriera dei ricercatori". In breve, il bambino è "schedato ", "braccato ", -pardon, "seguito" - dal suo concepimento. Sono parole forti, che ribadiscono quanto diciamo da anni: la diagnosi prenatale genetica non è eticamente neutra. (Clamoroso! Documento di esperti francesi contro la deriva della diagnosi prenatale.)
La disperazione del Prof. Veronesi, simbolo di una società che, abbandonando Dio, ha perduto ogni speranza
Il Prof. Veronesi conclude cos' un articolo su Repubblica: "È inutile chiudere gli occhi: se una donna arriva al punto di voler interrompere la sua gravidanza, lo farà, anche se il resto della società le volta le spalle. Qui sta l`incomprensione profonda del pensiero femminile. Sul perché oggi non possiamo intervenire, ma sul come, sì; tanto più se la scienza ci dà degli strumenti di riduzione del trauma fisico. Mi auguro quindi che il ministro Sacconi continui sulla via illuminata che ha annunciato, e si schieri decisamente a favore del pensiero femminile dando rapidamente e finalmente il via libera alla diffusione della Ru486". (Veronesi lui si che capisce le donne.... LE DONNE INASCOLTATE )
Il voto sui minareti è la nostra dichiarazione d'indipendenza dall'islamizzazione
Mentre Egemen Bagis, ministro turco per gli Affari europei, invita i musulmani a non depositare più il denaro nei conti correnti in Svizzera, su al Jazeera il predicatore dei Fratelli musulmani
Yusuf Qaradawi condanna così il referendum che ha bocciato la costruzione di nuovi minareti nella confederazione elvetica: “E’ razzismo, si tratta della negazione della carta dei diritti dell’uomo, va contro la libertà religiosa e il multiculturalismo”. Intanto si parla già di un impatto
negativo sull’export svizzero verso i paesi islamici e sul turismo, che attira molti visitatori dal mondo arabo, specie dal Golfo persico. Mireille Valette è una storica intellettuale femminista e una celebre studiosa svizzera dalle impeccabili credenziali di sinistra. Un anno fa, scuotendo il dibattito ancora acerbo sui minareti e l’islam, Valette ha pubblicato un libro che ha avuto un enorme successo nel suo paese, dal titolo “Islamofobia o legittima difesa”. Si tratta di micidiale atto d’accusa neoilluminista contro l’islamizzazione dell’Elvezia. “Penso che nessun paese abbia mai avuto la possibilità di esprimersi tramite un voto simile, soltanto in Svizzera si è data alla popolazione la possibilità di farlo”, dice Valette al Foglio. “Nessuno sa cosa succederebbe in altri paesi. Molti svizzeri non hanno votato contro i minareti, ma contro il fondamentalismo islamico che i minareti rappresentano. Nessun partito aveva sostenuto finora questa battaglia contro l’estremismo islamista. In Svizzera c’è un problema di fondamentalismo, anche se i musulmani si integrano molto bene e non c’è alcuna paura dell’altro, come scrivono i giornali in questi giorni. Nessuna violenza o intolleranza ai danni dei musulmani. La Svizzera è all’inizio di un processo di islamizzazione, come Olanda e Inghilterra. Non c’è alcuna discriminazione dei musulmani. Ci sono sempre più donne velate, piscine separate, certificati medici di verginità, poligamia, apostasia,
giustificazione della lapidazione, la gente non è cieca e quando le è stata data la possibilità di esprimersi, ha detto no all’islamismo. Qui gli imam ufficiali sono fondamentalisti, tranne a Zurigo. Abbiamo voluto dare un limite a tutto questo. Siamo un paese libero e tollerante, abbiamo anche noi gli xenofobi, ma il 57 per cento degli svizzeri che ha votato contro i minareti non è fascista o razzista, siamo soltanto un piccolo paese alle prese con l’islamizzazione. L’élite politica dovrà fare i conti con il problema grazie al referendum. Questo voto è la nostra dichiarazione d’indipendenza.... Basta osservare come l’islam sta penetrando nelle istituzioni: preghiere nelle aziende e nelle scuole, cibo speciale nelle mense, rifiuto di corsi e materie scolastiche come letteratura e Olocausto, declino dell’eguaglianza uomo e donna. A Rotterdam ci sono avvocati
che si rifiutano di alzarsi di fronte alla corte e nei teatri si riservano posti per sole donne in nome della sharia. La libertà d’espressione sull’islam e i musulmani, per i giornalisti, gli scrittori, gli artisti, i musulmani laici, è oggi in serio pericolo. Questa situazione, associata alla cecità di politica e intellettuale, lascia crescere la destra in Europa”. ”. (Il voto sui minareti è “la dichiarazione d’indipendenza della Svizzera” )
Un uomo che prega può creare molti problemi
“Che problema fa un uomo che prega?”. Nessuno, se quest’uomo non impedisce agli altri di pregare, se non manifesta disprezzo per la fede altrui, se non mira a costruire “enclaves” in cui
imporre le proprie leggi anche in dispregio di quelle vigenti nella comunità che lo ospita.... Boris
Johnson sindaco di Londra e, come tale, è passato alla richiesta grottesca ai non musulmani di digiunare durante il Ramadan al fine di meglio capire i musulmani. Non si è mai sentito nessuno invitare a digiunare il giorno di Kippur o durante la Quaresima per meglio capire ebrei e cristiani. Altro che reciprocità, qui siamo passati alla più servile dhimmitudine. Come quella di chi, contro il voto svizzero, vuole rivolgersi allo stesso tribunale europeo che ha vietato il crocifisso. (Dhimmitudine. Giorgio Israel contro l’esercizio di sottomissione all’islam predicato da padre Sale in tema di reciprocità )
Minareti e crocifissi, ovvero l'incapacità europea di trovare un nesso accettabile tra la fede e la politica
Il referendum svizzero sui minareti segue di poche settimane la vicenda del crocifisso. Nel merito le due questioni non hanno in comune alcunché. Ma ambedue esprimono il disagio, l’imbarazzo, l’incapacità dell’ “uomo europeo colto” a trovare un nesso accettabile tra la fede e la politica, intesa nel senso della polis, della res publica.... Nella modernità del nostro amato e logoro continente (che pure, in un sussulto di autocoscienza il vecchio preambolo alla defunta “costituzione” definiva “spazio privilegiato della speranza umana”) popolo ed élite partecipano della stessa frattura tra fede e ragione, causa di quella citata tra fede e politica.... Negli Stati Uniti il problema è tuttora molto meno sentito: alla chiara e sana separazione tra Stato e Chiesa (qualunque Chiesa) fa da contrappeso l’inclusione altrettanto chiara e sana della fede e delle fedi nello spazio pubblico.... L' aspetto della cosiddetta “reciprocità”, secondo la formula ben nota: una moschea in Europa per una chiesa in Arabia. Ma reciprocità è un concetto molto più complesso (forse nel caso si dovrebbe parlare di simmetria) e usato con molta parsimonia persino dagli ecclesiastici impegnati nel dialogo con l’Islam. La vera battaglia infatti è che il principio della libertà religiosa (di culto e di espressione pubblica) che l’Occidente riconosce e garantisce, si diffonda in tutto il mondo musulmano. Non può essere oggetto di scambio, “io la concedo ai tuoi se tu la concedi ai miei”, poiché si tratta del fondamento stesso del diritto umano. Se perdesse anche questa certezza, dell’Occidente rimarrebbe ben poca cosa. (Minareti e crocifissi pari (non) sono )
Altro che minareti! 500.000 bambini musulmani in Francia nascono e crescono in famiglie poligame.
In Francia é appena uscito un rapporto edificante firmato dalla signora Sonia Imloul, che rivela che 500.000 bambini, africani e musulmani sono nati in famiglie poligame.
Un uomo e due, tre e persino quattro mogli "fattrici", l'imbarbarimento della società che ripristina l'egemonia del maschio-marito-padrone sulla donna. Questo malgrado, in Francia la poligamia sia illegale, ma le autorità competenti preferiscono chiudere gli occhi per non “stigmatizzare„ le popolazioni che praticano la poligamia.
Il rapporto cita di famiglie poligame composte da un uomo e due o tre donne, a volte quattro, ed una folla di bambini (che può arrivare fino a trentacinque e passa) - ammucchiati in due o tre camere. I proprietari di questi harem prendono ovviamente assegni familiari. Tuttavia, ci spiega l'autrice di questo rapporto, molti tra di loro inviano una grande parte di queste risorse sul continente africano.
Arretrati negli usi, ma eccezionalmente scaltri nel saper spremere a dovere i "babbei" europei che assecondano tutte le loro istanze, pur di non "offendere" i loro sentimenti.
Ma si può essere più scioccamente autolesionisti di così? (Il tramonto della civiltà europea sotto il peso dell'Islam )
L' "influenza bufala"
Si può dire con assoluta certezza, a questo punto, dopo sette mesi di influenza suina, e dopo che quest’ultima è entrata in fase recessiva, che mai – dicasi mai – si è vista un’influenza di un così basso, quasi inesistente, livello di letalità. Su oltre tre milioni di influenzati i morti sono stati
95, con un tasso di letalità pari a tre morti ogni centomila influenzati. Vale la pena segnalare che, essendo pari a due morti ogni mille ammalati il tasso di letalità di una comune influenza stagionale, a parità di letalità i morti avrebbero dovuto essere oltre seimilacento, circa settanta volte quelli che si sono effettivamente verificati. Non basta: i casi di morti in cui la causa prevalente è stata l’influenza A si contano sulle dita di una mano, avendo in tutti gli altri casi la
suddetta influenza agito soltanto da causa intermedia o finale di morti dovute a tutt’altre e ben altrimenti decisive cause.... Conclusione finale: riescono i lettori a immaginarsi, se sono tanto
ballerine e ingannevoli le cifre dell’epidemia in un paese come il nostro, con un sistema di medici sentinella e una rete di laboratori d’alto livello, quali possono essere i margini di errore e approssimazione delle cifre globali dell’A/N1H1 nel mondo? Francamente, io no. Ma una cosa è certa più del sole che sorge ogni mattina: tutte quelle cifre sono gonfiate alla grande. (Fantavirus. L’influenza A ha fatto molti meno danni di quella stagionale e quasi nessuno si è vaccinato )
Le gravi mancanze nell'evangelizzazione secondo il Card. Ruini
Ci sono state mancanze nell`evangelizzazione, nell`atteggiamento verso il mondo, nell`elaborazione teologica?
«Mancanze anche molto gravi ci sono state, ci sono adesso e purtroppo ci saranno in futuro, in ciascuno degli ambiti che ha ricordato. Nel complesso, direi che tali mancanze hanno a che fare con la testimonianza che i credenti hanno dato al Dio in cui crediamo.... Quelli che non pensano e ignorano del tutto la questione di Dio e ogni grande domanda dell`esistenza sono senz`altro un grande problema per l`evangelizzazione. Mi chiedo peraltro se persone del genere esistano sul serio: davvero uno non si pone mai le grandi questioni? L`ateismo e l`agnosticismo diffusi nella nostra cultura sono un problema diverso ma non meno grande. Non pensiamo sia residuale: la cultura ha un influsso sulla vita, prima o poi. Se la cultura ti dice che Dio non c`è e tu vuoi crederci, vivi quantomeno una dissociazione in te stesso». ("L`ATEISMO CI DISTRUGGE. NELLA CHIESA C`E` BISOGNO DI COERENZA E CREDIBILITA`". L`intervista. Il Cardinale Ruini racconta le sue attività in pensione )
Il Governo italiano cancella gli aiuti alla famiglia
La Finanziaria, sembra deciso, non conterrà alcun intervento fiscale a sostegno delle famiglie con figli. Perfino il bonus famiglia, che pure era una misura iniqua ed incapace di raggiungere gli obbiettivi prefissati verrà cancellato e non sostituito da provvedimenti analoghi. Il che significa che i 2,4 miliardi di euro che le associazioni familiari avevano chiesto di spostare dal Bonus famiglia 2009 a sgravi fiscali strutturali per le famiglie sono stati destinati ad altri scopi ed interessi, forse più cogenti, sicuramente più forti della voce delle famiglie. In compenso sono stati stanziati miliardi per gli ammortizzatori sociali, sicuri che comunque non saranno spesi tutti, ma nulla è stato trovato per l’ammortizzatore sociale primario che è la famiglia. ( Finanziaria: la famiglia perde tutto Stampa E-mail Nella bozza in discussione spariscono anche i pochi fondi stanziati lo scorso anno )
La Germania che ascolta la Chiesa e fa chiudere i negozi la domenica
La chiusura domenicale dei negozi aiuta la religione più del no ai minareti». Con questa osservazione provocatoria il sito Internet del laico ed indipendente quotidiano Die Welt ha accolto la sentenza del «Bundesverfassungs-gericht». La Corte Costituzionale di Karlsruhe ieri ha stabilito che i negozi di Berlino non potranno restare aperti la domenica e nei giorni festivi, in particolare durante le domeniche di Avvento. La normativa entrerà in vigore non da subito, ma dal prossimo anno, «affinché gli esercizi commerciali possano attenersi ai piani già messi a punto ed approvati dal Senato di Berlino», si legge nella sentenza. A chiedere l’intervento dei giudici costituzionali sono state le Chiese cattolica e luterana, che da circa tre anni presentavano ricorsi contro una legge approvata nel 2006 dal Senato di Berlino che consentiva a tutti i negozi di restare aperti fino a dieci domeniche l’anno, comprese le quattro domeniche precedenti il Natale. (Berlino, i giudici chiudono i negozi la domenica )
In Argentina, grazie al Card. Bergoglio e alla Conferenza episcopale, stop alle nozze omosessuali
Doveva essere il primo «matrimonio» gay celebrato in Argentina e in tutta l’America Latina. Ma all’ultimo minuto la cerimonia civile è stata bloccata dalla magistratura di Buenos Aires: ora la decisione spetta alla Corte suprema. Alex Freyre, di 39 anni, e José Maria di Bello, 41 anni, entrambi sieropositivi, avevano deciso di sposarsi in occasione della giornata mondiale contro l’Aids: il 1 dicembre. Ma 24 ore prime delle «nozze» la giudice Marta Gomez Alsina ha fermato tutto, riconoscendo un conflitto di interpretazioni e di autorità giudiziaria. La legge argentina c’è (è il Codice Civile), ma non tutti la leggono nella stessa maniera.... La sentenza è «assolutamente illegale», aveva sottolineato il cardinale Jorge Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires. Nonostante l’impegno di un’associazione di avvocati cattolici, che avevano iniziato a studiare il caso, il tempo sembrava ormai troppo poco per presentare ricorsi. (Argentina, stop alle nozze gay)
L'inizio della fine: Obama cancella Dio dal suo discorso nella Giornata del ringraziamento
Nel 1620 i Pellegrini che fondarono il Paese che sarebbe diventato "Stati Uniti d'America" proclamarono 3 giorni di festa per ringraziare Dio di averli salvati dalla carestia mortale. Questa tradizione divenne il Thanksgiving Day, giorno di ringraziamento USA a Dio. Quest'anno, per la prima volta nella storia, il Presidente USA omette ogni riferimento a Dio nel suo di scorso celebrativo della giornata, e il solo ringraziamento va all'esercito USA... da buon premio Nobel per la pace. (Dio estromesso dal discorso di Obama)
Follie del millennio: La cremazione verde
In vita non siete stati abbastanza rispettosi dell'ambiente? Arriva un modo per esserlo almeno da morti. Che la tendenza a rendere ecologico il luogo dell'eterno riposo stesse prendendo piede, lo dimostravano già l'introduzione di bare di cartone riciclato e la scelta di alcuni di non utilizzare sostanze chimiche che penetrano nel suolo. Ora anche la cremazione, scelta da un terzo degli americani e da più di metà dei canadesi, è arrivata alla sua svolta «verde». Con una cremazione standard finiscono nell'aria circa 400 chilogrammi di anidride carbonica, gas serra considerato responsabile del surriscaldamento globale, oltre ad agenti inquinanti come diossine e mercurio, se il defunto aveva otturazioni d'argento. Viene inoltre consumato, tra elettricità e gas naturale, un quantitativo di energia pari a quello necessario per fare 800 chilometri in auto.Ecco allora l'idrolisi alcalina, un processo chimico a base di acqua che gli ideatori definiscono «bio- cremazione» e sostengono impieghi un decimo del gas naturale e un terzo dell'elettricità necessari per una cremazione standard. Con essa, le emissioni di C02 vengono tagliate di quasi il 90%, e non vi sono fughe di mercurio, perché le otturazioni e altri oggetti di metallo vengono recuperati intatti. «Il pubblico a cui ci rivogliamo è composto dalle persone che comprano macchine ibride anziché normali», spiega Paul Rahill, presidente della divisione cremazioni di Matthews International ‹MATW.O›. La società di pompe funebri, con sede a Pittsburgh, Pennsylvania, ha in progetto il lancio commerciale della idrolisi alcalina a gennaio, in una funeral home di St Petersburg, in Florida. ( Morite dalla voglia di essere «verdi»? Ecco la «bio-cremazione» )