DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

Tra i cristiani di Terra Santa La fede degli inizi alla prova

LUIGI GENINAZZI
S
i fa la fila per scendere giù tra gli in­cavi rocciosi della Grotta. La stella d’argento che ricorda il punto esat­to dov’è nato Gesù sembra lampeggiare sotto i continui flash di fotocamere e te­lefonini, maneggiati da una piccola ba­bele vociante e rumorosa. Arrivano sem­pre più numerosi i pellegrini, ma a vol­te si comportano come turisti. Provo un’inconfessabile nostalgia per i primi anni Duemila, quando l’Inti­fada svuotava Betlemme e ci si poteva raccogliere in pre­ghiera, alla luce fioca delle candele, inginocchiati da­vanti alla nicchia dove tutto ha avuto inizio. Ed oggi che ne è del cristianesimo in que­sta terra che chiamiamo san­ta ed è lacerata da mille con­traddizioni?
C’è un presepio vivente non lontano dalla Grotta della Na­tività. È ' La Crèche', un nido d’infanzia dove i bimbi ven­gono strappati alla morte in­sieme con la madre. È l’orfa­natrofio molto speciale di suor Sophie, missionaria della Carità che ormai tutti conoscono. Vi trovano acco­glienza i ' figli del peccato' che per la mentalità islamica sono indegni di vive­re, al pari delle ragazze- madri che li por­tano in grembo. Vengono aiutate a par­torire di nascosto, sfuggendo così ad un sicuro destino di morte per mano di un loro familiare ( un delitto d’onore che il codice non punisce). Pochi giorni fa è successo un fatto incredibile che la pic­cola suora considera un miracolo. « Una ragazza incinta è arrivata da noi insie­me con i suoi genitori – racconta –. Do­po una drammatica discussione il padre ha rinunciato ad ucciderla solo perché gli abbiamo garantito che tutta la vicen­da sarebbe rimasta segreta e la neonata cresciuta da noi » . Dina, un batuffolo bianco dagli occhi nerissimi, è l’ultima arrivata a La Crèche, un luogo dove il Na­tale si rivela più forte dei nuovi Erode e la salvezza non è una parola vuota.
« Quel che ci sorregge è il desiderio di te­stimoniare Cristo, non abbiamo altro scopo » , dice senza troppi giri di parole suor Donatella, italiana di Bassano del Grappa, da cinque anni in servizio al ' Caritas Baby Hospital', l’unico istituto pediatrico di tutta la Cisgiordania. Ri­corda con emozione il recente incontro con Benedetto XVI che, durante la sua visita a Betlemme nel maggio scorso, vol­le recarsi da loro. « Ci disse che stare vi­cino ai bambini malati, e proprio qui a Betlemme, dovevamo considerarlo un duplice privilegio. Non siamo qui tanto per dare una mano...». Difficile privilegio quello della testimonianza cristiana in mezzo ad una società prevalentemente islamica. Ribatte pronta suor Donatella: « Molte mamme si confidano con noi, ci parlano di problemi che non racconta­no a nessun altro. Non ci vedono in­somma come delle semplici infermiere » . Il Baby Hospital sorge a due passi dal muro, quel che gli israeliani definiscono ' barriera di sicurezza' e taglia le colline circostanti fino ad entrare come una fe­rita nel cuore di Betlemme. Suor Dona­tella il muro l’ha visto costruire, « con u­na tale angoscia che di notte non riusci­vo a dormire » . Ci abitavano molte fami­glie cristiane in queste case che ora non possono più spalancare le finestre, bloc­cate da lastroni di cemento. Airin è una credente e un giorno, mentre spiegava il catechismo, si è sentita chiedere da un bambino: « Anche Gesù aveva bisogno di un permesso per andare a Gerusalem-
me? » . Airin fa parte di un gruppo di don­ne che si ritrovano per discutere, canta­re, pregare. « Un modo per vincere la de­pressione » , ci scherza su. La sede è quel­la dell’Arab Educational Institut, il cui presidente, Fuad Giacaman, ci dice con grande fierezza: « Io resto un uomo libe­ro, nonostante le pesanti limitazioni del­la vita quotidiana. Pensi che non sono riuscito ad avere il permesso per recar­mi a Gerusalemme dov’ero invitato ad un incontro con il Papa! Ho provato tan­ta rabbia. Ma non odio: cerco di cam­biare le cose senza violenza » .
Fragile e nascosta, la presenza cristiana ha un significato che va oltre i numeri ( il 2 % della popolazione). « Siamo pochi, divisi in tante Chiese e in vari riti, e stia­mo diventando sempre di meno a cau­sa dell’emigrazione. Ma chi rimane, so­litamente ha forti motivazioni. Siamo gente che non nuoce a nessuno e fa del bene a tutti » , è la definizione concisa e perfetta del Custode di Terra Santa, pa­dre Piero Pizzaballa secondo cui « vivere qui è davvero una grazia » . Anche se non è facile. Ce lo conferma Yousef Zaknoun, direttore del ' Cardinal Martini leader­ship Institut' per la formazione della classe dirigente palestinese. « A differen­za che in Europa qui da noi la religione costituisce un forte elemento identita­rio, sia per gli ebrei che per i musulma­ni. Ma un cristiano non può agire nel lo­ro stesso modo, deve seguire il coman­damento dell’amore anche verso i ne­mici. In questa terra è qualcosa di eroi­co » . Non tutti ci riescono. « Abbiamo bi­sogno di nuove infrastrutture spirituali. È il messaggio che ci ha rivolto Bene­detto XVI quando è venuto tra noi. Ma te­mo che pochi l’abbiano capito – dice con rammarico il professor Sami Basha, do­cente di pedagogia al­l’Università cattolica di Betlemme –. Vivia­mo nella confusione, dominati dall’analisi politica. Ci manca un luogo da cui trarre for­za e consistenza » . Un giudizio duro che qualcuno s’incarica di smentire con i fatti. Come Samar Sahhar, un donnone traboc­cante d’energia e di dolcezza che a Betania ha dato vita alla ' Casa di Lazzaro' dove una trentina di ragazze, or­fane o con una famiglia disastrata alle spalle, hanno trovato accoglienza e pro­tezione. O meglio, hanno trovato una stabilità materiale e una certezza spiri­tuale. È quella di una comunità dove si vive l’amore cristiano anche se tutti i suoi membri, ad eccezione della direttrice Sa­mar, sono musulmani. Quando le chie­do come sia possibile mi risponde con un’altra domanda: « In che lingua pian­ge un bimbo? » . È convinta che il mondo, anche quello arabo, sarà cambiato dalle donne. Lei ha già iniziato. Invece di lamentarsi per le sofferenze del passato e le privazioni del presente ci sono dei cristiani che costruiscono un futuro diverso. E lo fanno insieme con i musulmani, in decine di realtà educati­ve che rappresentano il miglior antido­to al fanatismo ed all’estremismo isla­mico. Arriva il Natale e nelle scuole ' Ter­ra Sancta' dei frati francescani anche i ragazzi musulmani sono in prima fila nell’allestire il presepe. « E ne sono or­gogliosi, perchè considerano Gesù un grande profeta – osserva padre Ibrahim Faltas, già direttore della scuola france­scana presso la Basi­lica della Natività ed ora parroco di Geru­salemme –. Altro che rinunciare ai simboli natalizi per timore d’offendere la sensi­bilità degli islamici, come succede da voi in Europa! » , conclu­de con una battuta polemica. Forse c’è qualcosa che dobbia­mo ancora imparare dai cristiani di Terra Santa.
Nelle scuole gestite dai francescani anche i ragazzi musulmani sono in prima fila quando si deve allestire il presepe. «Ne sono orgogliosi, perché considerano Gesù un grande profeta. Altro che rinunciare ai simboli natalizi per timore di offendere la sensibilità degli islamici, come succede da voi in Europa!»
Il Custode Pizzaballa: «Siamo qui, divisi in tante Chiese e in vari riti. Stiamo diventando sempre meno a causa dell’emigrazione, ma chi rimane solitamente ha motivazioni forti. Siamo gente che non nuoce a nessuno e fa del bene a tutti. E vivere qui è davvero una grazia» «Quello che ci sorregge è il desiderio di testimoniare Cristo, non abbiamo altro scopo», dicono al Caritas Baby Hospital, l’unico istituto pediatrico di tutta la Cisgiordania «Quando venne il Papa, in maggio, ci disse che stare vicino ai bambini, e proprio qui a Betlemme, dovevamo considerarlo un duplice privilegio»




Il custode di terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa

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