Forse è soltanto una questione di
sensibilità e forse alcuni possono
pensare che gli ebrei ne abbiano troppa.
Forse la beatificazione di Pio XII è
soltanto una questione cattolica, un fatto
squisitamente religioso, senza alcun
risvolto sul giudizio storico dell’operato
di Eugenio Pacelli durante le
persecuzioni naziste e alla fine questo
verrà capito da tutti e nulla cambierà
nei rapporti politici tra lo stato del
Vaticano e lo stato di Israele, tra la
Chiesa cattolica e gli ebrei. Forse.
Oppure domani succederà altro. Dopo le
polemiche di questi anni, che cosa dirà
Joseph Ratzinger e quali ripercussioni
potranno esserci? Domani per
attraversare il Tevere ed entrare nella
Sinagoga di Roma, il Papa dovrà
percorrere poche centinaia di metri.
Eppure questa distanza è stata
incolmabile per quasi duemila anni.
Quale sia la situazione attuale e quali
potranno essere gli sviluppi futuri ci
verrà detto dalle parole che B-XVI
pronuncerà. Gli ebrei lo ascolteranno,
anche chi ha deciso di non venire in
realtà poi leggerà con attenzione il suo
intervento. La sensazione è proprio
questa, la palla è nei giardini vaticani.
Ancora una volta gli ebrei stanno a
guardare, ma con la serenità e
l’amarezza che viene dalla
consapevolezza di questi duemila anni
di non buon vicinato e con la tranquillità
che adesso la propria esistenza fisica
non è nelle mani del Papa. Tra le più
antiche comunità ebraiche della
diaspora, gli ebrei romani hanno visto
cadere gli imperatori romani, conosciuto
i diversi pontefici succedersi sul trono di
Pietro e subito le diverse
discriminazioni che i Papi hanno voluto
infliggere ai perfidi giudei. Gli ebrei
romani hanno vissuto una breve
illusione di liberazione con la
marsigliese dei soldati di Napoleone e
hanno acclamato i bersaglieri entrare a
Porta Pia. L’unità d’Italia ha trasformato
gli ebrei da sudditi di serie B a cittadini
come tutti gli altri. Pochi decenni dopo
tuttavia, a pochi metri dalla Sinagoga,
nel silenzio del Papa e con la
benedizione di molta stampa cattolica,
sono state approvate le leggi razziali
fasciste del 1938. E quando il 16 ottobre
del 1943 i nazisti sono entrati nel ghetto
e gli ebrei romani sono stati caricati sui
treni, nessuno ha sentito la voce di Pio
XII provare a fermare gli assassini. E’
vero che negli stessi mesi molti altri
ebrei hanno trovato rifugio nelle Chiese
e nei conventi. Ma la speranza che i
pregiudizi antiebraici potessero essere
messi in discussione nasce circa
vent’anni dopo con il Concilio Vaticano
II. Da lì è iniziato un percorso, che ha
permesso solo nel 1986 a Karol Wojtyla
di andare a trovare gli ebrei in Sinagoga
riconoscendoli come fratelli maggiori.
Sono passati però altri anni prima che il
Vaticano riconoscesse l’esistenza dello
stato ebraico in Israele e prima che Papa
Giovanni Paolo II potesse fermarsi a
pregare davanti al muro del pianto. Le
tensioni con Israele e con gli ebrei non
sono però finite. Soprattutto in questi
anni hanno colpito la reintroduzione
della preghiera in latino con l’auspicio
della conversione degli ebrei nella
messa del venerdì santo, continua a
pesare il mancato riconoscimento di
Gerusalemme capitale dello stato di
Israele, fino al processo di
beatificazione di Eugenio Pacelli. A
poco sono serviti i chiarimenti vaticani,
che hanno placato le preoccupazioni di
alcuni, ma che hanno lasciato molti
dubbi ai tanti. Per questo la visita di
domani di B-XVI non è ritualistica, né
tantomeno scontata. Le sue parole e i
suoi silenzi verranno pesati. Per il
rispetto che nutro per il professor
Ratzinger sono certo che non potrà fare a
meno di affrontare queste tensioni e che
saprà farlo nel rispetto della differente
sensibilità alla quale andrà incontro. La
sua è forse quella del figlio che vuol
difendere l’operato dei padri. Ma gli
ebrei di oggi, con quello che oggi si
conosce pubblicamente dell’operato del
Vaticano negli anni 30 e 40, non sono
nelle condizioni di accettare che Pio XII
debba rappresentare un esempio per i
cattolici. E’ triste e forse anche volgare
dirlo, ma l’accento tedesco non può non
rappresentare un ulteriore ostacolo in
questo senso. Se queste saranno le
premesse, allora forse un differente
giudizio su Pio XII potrà essere
riconosciuto in futuro quando si
apriranno senza riserve gli archivi
vaticani. Il tempo non dovrebbe essere
un ostacolo né per la Chiesa né per gli
ebrei.
Yasha Reibman
Il Foglio 16 gennaio 2010