DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La Guerra fredda della Chiesa. Lo storico P. Chenaux ricapitola i rapporti tra Vaticano e Paesi dell’Est: Marxismo radicalmente avverso alla Chiesa


DA PARIGI DANIELE ZAPPALÀ


« Si potrebbe parlare di u­na storia tormentata e conflittuale, fatta di a­natemi e persecuzioni, ma anche talvolta di connivenza e compro­messi ». È in questi termini che lo storico svizzero Philippe Chenaux, professore alla Pontificia università Lateranense, riassume i sette de­cenni novecenteschi in cui la Chie­sa fu confrontata alla minaccia co­munista e in particolare sovietica.
Lo storico ha appena pubblicato in Francia, per i tipi di Cerf, un tenta­tivo d’affresco complessivo intito­lato
L’Eglise catholique et le com­munisme en Europe (1917-1989).

Professore, che tipo di reazioni i­niziali produsse nella Curia la ri­voluzione bolscevica?
«La portata esatta di quanto acca­deva in Russia non fu stata misura­ta subito. Esisteva l’idea che la ri­voluzione bolscevica, come ogni rivoluzione, avesse un carattere transitorio e che non fosse fatta per durare. A ciò si aggiunge il fatto che la caduta dello zarismo, pro­tettore tradizionale dell’ortodossia, sembrava aprire spazi nuovi per l’influenza del cattolicesimo in Russia. Quando la Russia sovietica rivelò il suo volto totalitario, diven­ne ancor più importante tentare di strappare alle autorità sovietiche un accordo di tipo concordatario per garantire un minimo di libertà alla Chiesa in quel Paese. Cito que­sta frase di Pio XI che Giovanni XXIII ricorderà al momento di lan­ciare l’Ostpolitik: 'Se si tratta del bene delle anime, sono pronto a trattare col diavolo in persona'».

A livello dottrinale, quando giunse la prima condanna del comuni­smo?

«Si constata un irrigidimento della posizione di Pio XI a partire dal 1930, spiegato soprattutto dall’ina­sprimento della politica antireli­giosa
del Cremli­no con l’arrivo al potere di Stalin.
Questo irrigidi­mento condusse alla pubblicazio­ne, nel marzo 1937, dell’encicli­ca

Divini Re­demptoris

contro il comunismo a­teo. Non è solo la dottrina marxista che è condanna­ta,
ma anche il sistema sovietico, il comunismo reale così come realiz­zato in Russia. Il comunismo vi è definito come un’ideologia 'intrin­secamente perversa'».
La Seconda guerra mondiale se­gnò una svolta nelle relazioni del­la Chiesa col mondo comunista?

«La fine della Seconda guerra mondiale ha significato la sconfitta
del nazismo, l’altro grande perico­lo che minacciava fino ad allora la fede cristiana in Europa. Il Vatica­no di Pio XII non si faceva illusioni sul destino che attendeva i Paesi dell’Est liberati dall’Armata rossa.
Vittima di una terribile persecuzio­ne, la Chiesa si trovava, suo mal­grado, obbligata a entrare 'in guerra fredda'. Nel 1949, il Sant’Uffizio pubblicò un de­creto che proibiva ogni collaborazio­ne dei cattolici col comunismo sotto pena di scomuni­ca ».

Il clima della Guerra fredda consentì il mante­nimento di un filo di dialogo fra il
Vaticano e Mosca?
«All’inizio della Guerra fredda, la propaganda sovietica non cessò di accusare il Vaticano di fare il gioco dell’imperialismo americano. Il to­no cambiò dopo la morte di Stalin, senza che si possa davvero parlare di dialogo. Il Vaticano di Pio XII re­stò
molto diffidente verso i tentati­vi di apertura della diplomazia so­vietica. Occorrerà attendere l’av­vento di Giovanni XXIII per assiste­re all’instaurazione di un clima nuovo nelle relazioni fra Roma e Mosca».
Quali effetti eb­bero le rivelazio­ni sui massacri anticristiani sot­to la bandiera so­vietica?

«La pubblicazio­ne di
Arcipelago Gulag (1974) di A­leksander Solze­nicyn segnò la fi­ne di ciò che chiamo, dopo al­tri come François Furet, 'l’illusione comunista'. La deriva totalitaria e criminale dei regimi comunisti non poteva esse­re considerata come un semplice incidente di percorso, imputabile alla paranoia di un tiranno sangui­nario come Stalin, ma si trovava i­scritta nella logica stessa dell’atei­smo marxista. La fine dell’illusione comunista avrebbe favorito, come in Polonia, il riavvicinamento della Chiesa agli ambienti della dissi­denza e permesso la grande rivolu­zione pacifica verso la democrazia della fine degli anni Ottanta».
Cosa caratterizzò maggiormente la Ostpolitik del Vaticano?

«L’Ostpolitik del Vaticano aveva per scopo garantire, attraverso accordi con i governi comunisti, la soprav­vivenza della Chiesa nei Paesi dell’Est ('
modus non moriendi '). Il grande artefice di questa politica, i cui risultati saranno abbastanza li­mitati (accordo con l’Ungheria nel 1964, protocollo d’accordo con la Jugoslavia nel 1966), sarà monsi­gnor Agostino Casaroli, il futuro segretario di Stato di Giovanni Pao­lo II. Non si dovrebbe nondimeno perdere di vista l’impatto degli ac­cordi di Helsinki (1975) ai quali la Santa Sede prese interamente par­te. Essi diedero una nuova legitti­mità alla dissidenza nella sua lotta per la difesa dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
Dopo l’elezione di Papa Wojtyla, quale strada seguirono le relazioni fra la Chiesa e il comunismo?

«Giovanni Paolo II non ha voltato pagina a livello diplomatico, la­sciando al loro posto gli uomini dell’Ostpolitik. Inoltre, non ha ali­mentato la corsa al rilancio in ma­teria di anticomunismo. Egli ha semplicemente cercato di ridare fi­ducia ai popoli dell’Est, in partico­lare il popolo polacco, nella loro capacità di riprendere in mano il proprio destino. Il comunismo non era fatto per durare. Era possibile mettere fine all’oppressione totali­taria. L’obiettivo strategico che si e­ra fissato, fin dall’indomani della sua elezione, era di mettere fine all’intollerabile frattura di Jalta e di riunire tutti i popoli della grande famiglia dell’Europa cristiana in u­na
casa comune».
Lei parla del marxismo come 'ul­tima eresia' del cristianesimo.
Perché?
«Riprendo un giudizio di Mari­tain:
credo in ef­fetti che non si possa pensare il comunismo al di fuori di una cul­tura che è quella giudeo-cristiana. Come dice Mari­tain, si trova nei valori del comu­nismo (giustizia sociale, dignità operaia) un 'resi­duo' dell’eredità giudeo-cristiana staccato da tutto il resto e inserito, per così dire, in una concezione materialista ed atea dell’esistenza. È questo residuo che spiega una buona parte del suo formidabile potere d’attrazione sulle masse in Occidente, e in particolare negli ambienti cattolici».
«La Ostpolitik voleva salvare qualche diritto per i cattolici dell’Est. Ma intanto si sosteneva la legittimità della dissidenza»




Philippe Chenaux (Siciliani)



Avvenire 8 gennaio 2010