DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

La politica vaticana in Cina è attendista e l’addio al vescovo Yao lo dice

Roma. La politica vaticana verso il regime
cinese è di sostanziale attesa. Gli incaricati
di curare le relazioni diplomatiche
della Santa Sede cercano di osservare l’evolversi
della situazione senza agire troppo.
Perché agire, quando dall’altra parte
c’è un governo che perseguita i cattolici e
soffoca la loro vita di fede, può essere rischioso.
E’ vero: la lettera che Benedetto
XVI ha inviato ai cattolici cinesi il 27 maggio
2007 è stata una novità nelle relazioni
tra i due paesi. Ma sostanzialmente le pedine
sul campo da gioco non hanno cambiato
posizione: da una parte c’è il regime
che tutto controlla; dall’altra continuano a
esserci le due chiese, quella patriottica
che gode di apparente libertà e quella
clandestina vessata da persecuzioni e che
a motivo di queste persecuzioni rimane
nell’ombra. La Santa Sede fa quello che
può. E all’interventismo oggi continua a
preferire la cautela. L’attendismo vaticano
si è palesato anche nei giorni scorsi: la notizia
della morte (il 30 dicembre) di monsignor
Leo Yao Liang, vescovo ausiliare di
Xiwanzi, è passata sotto silenzio sui media
d’oltre il Tevere. Non ne ha fatto cenno
l’Osservatore Romano e nemmeno la Radio
vaticana. E dal Vaticano pare non sia
arrivato nemmeno un telegramma di condoglianze.
Eppure monsignor Yao era una
figura importantissima per migliaia di fedeli
cinesi. E il funerale che ha avuto luogo
pochi giorni fa lo dimostra: almeno cinquemila
fedeli sotto la neve e a temperature
polari (circa meno trenta gradi), erano
presenti in chiesa. Non solo: molti di
questi fedeli hanno scavato per ore nella
neve un passaggio che permettesse di portare
senza problemi la bara dalla chiesa al
cimitero che dista circa dieci minuti a piedi.
Perché lui, padre Yao, significava molto
per loro: era l’esempio di cosa voglia dire
spendersi nel nome della fede: per ventisei
anni, dal’ 58 all’84, è stato imprigionato
in un lager per non aver mai voluto aderire
alla chiesa patriottica. E anche recentemente,
dal 2006 al 2009, ha subìto la medesima
sorte. Spiega al Foglio padre Bernardo
Cervellera, direttore di AsiaNews,
che “soltanto un vescovo della chiesa clandestina
ha deciso, dopo la pubblicazione
della lettera del Papa, di aderire alla chiesa
patriottica: il Papa lasciava aperta questa
strada ma quasi nessuno ha deciso di
percorrerla”. E ancora: “La situazione è
difficile. Anche oggi, come ha ricordato
Benedetto XVI lo scorso 26 dicembre, occorre
ricordare i tanti credenti che in varie
parti del mondo sono sottoposti a prove
e sofferenze a causa della loro fede. E
pregare per loro”. Monsignor Yao anche
da morto è stato oggetto delle attenzioni
del regime: essendo un pastore sotterraneo,
le autorità locali hanno obbligato i fedeli
che hanno partecipato alle esequie
funebri a non usare alcuna insegna episcopale
nel rito in chiesa e a riferirsi al
defunto prelato solo con l’appellativo di
“pastore Yao” e non quello usuale di “vescovo
Yao”. Ma non tutti hanno assecondato
le restrizioni governative, tanto che al
momento della sepoltura nel cimitero di
Xiwanzi, come anche nei giorni precedenti,
alcuni fedeli hanno pregato per “il vescovo
Yao” e poi il giorno della sepoltura
qualcuno è riuscito a inserire nella bara le
insegne episcopali del vescovo.
Una donna che ha partecipato ai funerali
di Yao così ha parlato del suo vescovo:
“Spesso ci diceva che il suo più grande dolore
nei lunghi anni di prigionia non erano
le fatiche fisiche, ma la sofferenza per
non poter guidare il suo gregge”. E ancora:
“Yao è stato davvero una grande personalità.
Tutti noi vogliamo seguire le sue orme
e continuare il suo lavoro, in particolare
terminare la costruzione della chiesa”.
Mesi fa, infatti, monsignor Yao aveva benedetto
la prima pietra di una chiesa nella
città di Xiwanzi e il suo completamento
era uno dei suoi più grandi desideri. (pr)

Il Foglio 9 gennaio 2010