DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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"Voglio prendere l'Aids": la folle moda tra i giovani italiani



Un'idea folle. Una moda da fuori di testa. Ma come ha dimostrato un servizio de Le Iene di Italia 1, c'è chi lo vuole. Che cosa? Farsi contagiare,prendere il virus della Hiv. Già, c'è chi contatta individui sieropositivi proprio per essere infettato. Tutto nasce su una chat gay, dove alcuni uomini si mettono in contatto con persone contagiate dal virus. L'obiettivo, fare con loro sesso senza precauzioni per essere contaminati.
Le motivazioni - La Iena Nadia Toffa sfruttando un complice ha finto di interessarsi a questo tipo di servizio. Così il figurante ha incontrato due uomini. Il primo lo ha messo in guardia dal farlo, mentre il secondo gli ha parlato delle meraviglie del sesso senza preservativo. E' proprio questa, infatti, la ragione che spinge le persone a farsi contagiare: poter far sesso senza profilattico senza dover più pensare al contagio, poiché già contagiati. L'uomo, inoltre, spiega al ragazzo che se potesse tornare indietro vorrebbe ancora prendere il virus. Quello che si cerca con questa folle moda è di "essere più liberi", di "cambiare vita" in modo radicale e incomprensibile.
Parti invertite - Quindi, nella seconda parte del servizio, il complice della Toffa ha invertito il suo ruolo, fingendo di essere sieropositivo. Così due ragazzi gli si sono avvicinati, e dunque è intervenuta la Iena per cercare di fargli cambiare idea. Uno dei due era fortemente motivato: oltre ad iscriversi alla chat, aveva già frequentato un ragazzo sieropositivo sempre mosso dall'obiettivo di contrarre il virus per evitare la "scocciatura" del preservativo. Il ragazzo, inoltre, ha spiegato anche le sue preoccupanti motivazioni sentimentali, dicendosi convinto di provare più emozioni ad amare una persona sieropositiva. Infine, quando compaiono le telecamere, il secondo ragazzo cerca una via di fuga, urla contro l'inviata, la offende e minaccia di picchiarla.



L’Aids non si ferma con il condom. Il condom riduce o incrementa la diffusione dell’AIDS?

L’Aids non si ferma con il condom


di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- “Il Papa ha ragione! L’Aids non si ferma con il condom”: è questo il titolo del saggio scritto da Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti e pubblicato dall’editrice "Fede & Cultura".

Il libro ricostruisce in maniera precisa l'ennesimo caso di disinformazione che nel marzo del 2009, nel corso del suo primo viaggio in Africa, ha coinvolto il Pontefice Benedetto XVI. Al centro delle polemiche allora c'erano il condom e l'Aids.

Nella prima parte del volume viene ricostruita la cronaca di come e perché le parole del Papa sono state prima inascoltate e poi travisate; mentre nella seconda parte vengono riportati gli studi scientifici che attraverso i dati pubblicati nella letteratura medica internazionale mostrano che il profilattico non solo non è la soluzione dei mali del continente africano, ma addirittura che la distribuzione a pioggia di preservativi porta a condotte che aggravano ancora di più il problema.

Nella prefazione Francesco Agnoli sottolinea che il vero problema in Africa è culturale e cioè “la concezione dell’uomo e della donna” e che questa non si può risolvere con “una maggiore o minore disponibilità di caucciù”.

Si chiede Agnoli: possono bastare camionate di preservativi, con il loro indice, per quanto basso di fallibilità, a cambiare il modo di pensare di un continente? Serviranno a ridare alla donna e al rapporto coniugale la loro dignità e grandezza? Presentare il preservativo come la ricetta contro l’Aids non significa forse proporre una falsa sicurezza, che finisce alla lunga per determinare un aumento dei contagi?

Nel volume Cesare Cavoni scrive: “la Chiesa è da molto impegnata a far fronte all’emergenza generata dal sorgere del virus ma, nello stesso tempo, ha l’ardire di affermare che uno dei metodi da molti considerato ineludibile per impedire il contagio, è in realtà un mezzo non solo fallace ma addirittura peggiorativo della situazione”.

Mentre il dott. Renzo Puccetti spiega: “se davvero si è convinti che mediante la diffusione dei preservativi si possa efficacemente contrastare l’epidemia nel continente africano, allora paesi e istituzioni internazionali avrebbero il dovere di provvedere ad una massiccia intensificazione della quantità di condom donati all’Africa”.

Dagli studi di due ricercatori, James Shelton e Beverly Johnston, apparsi sulla rivista British Medical Journal nel 2001 risulta infatti che nel 1999, 724 milioni di preservativi, di cui oltre 500 milioni derivanti dalle donazioni estere, sono stati messi a disposizione dei paesi sub-africani, dove vivono i due terzi dei 33,2 milioni di persone colpite nel mondo dall’HIV.

È stato calcolato che tale cifra corrisponde ad una provvista annuale di 4,6 preservativi per ogni uomo che vive nella regione di età compresa tra i 15 e i 59 anni. Ipotizzando per ciascuno di essi un rapporto sessuale a settimana, è abbastanza facile comprendere come il numero di preservativi messi a disposizione sia del tutto insufficiente ad assicurare quel livello di protezione che il Papa avrebbe minacciato con le sue parole.

L’insufficienza della copertura della popolazione mediante preservativi è confermata dal rapporto tecnico finale di un gruppo di esperti che sotto l’egida dell’organizzazione inter-governativa Southern African Development Community si è riunita a Maseru, in Lesotho, dal 10 al 12 maggio 2006. Secondo tale rapporto il condom maschile è assicurato solamente al 19% della popolazione sub-sahariana.

L’inefficacia del profilattico è dimostrata da un rapporto pubblicato dalle autorità sanitarie del Distretto di Columbia in cui si scopre che nella capitale degli Stati Uniti, dove l’accesso ai preservativi è indiscutibilmente oltremodo ampio e senza interruzioni, la percentuale di adolescenti e adulti sieropositivi per l’HIV è pari al 3%, un livello nettamente superiore a quell’1% che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera la soglia oltre la quale si può parlare di epidemia.

La prevalenza individuata a Washington, seppure anche frutto di un miglioramento della rete diagnostica e delle possibilità terapeutiche, è paragonabile a quella dell’Uganda e di certe zone del Kenia, dove il numero di preservativi disponibili non è certo equivalente.


Il condom riduce o incrementa la diffusione dell’AIDS?


di Renzo Puccetti*

ROMA, domenica, 7 marzo 2010 (ZENIT.org).- E’ sempre più evidente la scarsa efficacia della promozione del preservativo come misura sostanziale di prevenzione dall’HIV a livello di popolazione generale.

Il problema che si pone è se oltre ad essere scarsamente efficace la diffusione di profilattici può diventare oggetto di maggiore diffusione dell’AIDS come denunciato da scienziati, medici, educatori e dallo stesso Pontefice Benedetto XVI.

In fin dei conti, una cosa è un intervento inutile, cosa ben diversa è un intervento nocivo. In quale modo adoperarsi per la diffusione dei preservativi, anziché attenuare, potrebbe “aumentare il problema”?

Una tale evenienza potrebbe attuarsi se in questo campo gli eventi seguissero la linea prevista dalla teoria del risk homestasis (omeostasi del rischio), conosciuta anche come risk compensation (compensazione del rischio), o anche come effetto Peltzman, dall’economista, che ne scrisse negli anni‘70.[1]

In base a tale teoria le persone effettuano determinati comportamenti sulla base di un livello di rischio percepito come accettabile. L’introduzione di un qualsiasi presidio che abbassi la percezione del rischio comporterà l’adozione di comportamenti più rischiosi, tali da portare ad una compensazione del rischio percepito e possibilmente anche ad una super-compensazione del rischio reale.[2]

La compensazione del rischio è un elemento tenuto in considerazione dagli esperti quando si tratta di analizzare l’impatto sull’incidenza dell’HIV di pratiche come la circoncisione maschile, o la somministrazione di farmaci antiretrovirali a scopo preventivo.[3]

La stessa organizzazione UNAIDS sembra essere al corrente del problema, dal momento che tale evenienza è espressamente citata, all’interno delle linee guida etiche nei protocolli di ricerca sulla prevenzione dell’AIDS, tra le attenzioni che i ricercatori devono avere quando svolgono programmi di prevenzione per l’HIV.[4]

Quando però si tratta di applicare le stesse preoccupazioni al condom, dal campo delle grandi agenzie della salute e di molti potentati scientifici inspiegabilmente si levano delle nebbie misteriose.

Secondo lo schema della compensazione del rischio la promozione del preservativo potrebbe condurre ad un indebolimento dell’autocontrollo delle persone con conseguente maggiore diffusione di comportamenti sessuali a rischio d’infezione.

Vi sono indizi di una tale possibilità? La risposta consentita dalle conoscenze attuali è affermativa: che la diffusione del condom possa condurre ad un incremento compensatorio dei comportamenti a rischio è una possibilità che le attuali evidenze non possono escludere.

Nel 2000, proprio sulla rivista The Lancet, comparve un articolo che raggiunse una certa notorietà tra gli addetti ai lavori.

Gli autori mettevano in guardia nei confronti della possibilità che l’affidarsi al preservativo potesse essere di gran beneficio teoricamente, ma al dunque non raccogliere gli effetti previsti sul campo, allo stesso modo di come l’introduzione delle cinture di sicurezza non aveva portato alla riduzione auspicata del numero di morti sulle strade.[5]

Nel 2003, ad un meeting organizzato dal Presidential Avisory Council on HIV/AIDS, il professor Hearst presentò una serie di dati longitudinali che mostravano come l’incremento della vendita di preservativi in Kenia, Botswana, Camerun, si accompagnava ad un parallelo incremento della sieroprevalenza da HIV.[6]

Anche valutazioni trasversali hanno mostrato nelle nazioni sub-sahariane la correlazione positiva tra l’uso del preservativo e i tassi di prevalenza d’infezione da HIV; cioè nei paesi dove più si usa il preservativo, maggiore è il tasso di diffusione dell’AIDS nella popolazione.[7]

È importante precisare che la presenza di una correlazione statisticamente significativa tra due fattori non ne stabilisce affatto un rapporto di dipendenza causale. Teoricamente la vendita dei preservativi potrebbe tendere a concentrarsi nelle nazioni dove più è diffusa l’epidemia.

Che l’uso del preservativo si associ ad un maggiore tasso di HIV e di AIDS non è però una caratteristica africana.

In un contributo personale redatto insieme alla professoressa Di Pietro pubblicato dal British Medical Journal, è stato dimostrato che la correlazione tra preservativo e HIV è presente anche negli Stati Uniti.[8]

Poiché vi sono dati che indicano come in occidente il condom è impiegato più con finalità contraccettive che protettive,[9] è più probabile che nell’associazione tra condom e HIV il maggiore uso del preservativo preceda l’incremento dell’HIV e non viceversa.

In uno studio d’intervento attuato in Uganda è stato dimostrato che una più aggressiva campagna di promozione dell’uso del condom si associa al contatto sessuale con un numero maggiore di partner.[10]

In controtendenza rispetto a questi dati sono i risultati di una meta-analisi che ha valutato l’effetto sui comportamenti sessuali degli interventi atti a promuovere la riduzione del rischio.

Secondo i risultati di questo studio tali interventi, compresi quelli che promuovono l’uso del condom, non si associano a variazioni significative, né in un senso, né nell’altro, dei comportamenti a rischio.[11]

Tale studio, ha però preso in evidenza non la mera distribuzione dei preservativi, ma programmi, quasi sempre integrati, comprendenti anche di interventi di educazione alle nozioni di fedeltà.

È altresì di recente pubblicazione una revisione della letteratura che conferma invece la presenza di comportamenti disinibitori a seguito degli interventi di profilassi della malattia.[12]

Risultati discordanti di questo genere possono essere spiegati dalla diversa selezione degli studi e dal diverso processo di analisi dei dati.

[Per approfondire l'argomento si legga di Cesare Davide Cavoni e Renzo Puccetti, “Il Papa ha ragione! L’aids non si ferma con il condom” (edizioni Fede & Cultura)]

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* Il dott. Renzo Puccetti è specialista in Medicina Interna e segretario del Comitato “Scienza & Vita” di Pisa-Livorno.



1) Peltzman, S. The Effects of Automobile Safety Regulation. Journal of Political Economy. 1975; 83: 677-725.

2) Tazi-Preve I, Roloff J. Abortion in West and East Europe: problems of access and services, in CICRED Seminar on Reproductive Health, Unmet Needs, and Poverty: Issues of Access and Quality of Services, Bangkok, 25-30 November 2002.http://www.cicred.org/Eng/Seminars/Details/Seminars/Bangkok2002/32BangkokTazi&Rolof.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009). Vedi pure Levine PB. The Sexual Activity and Birth Control Use of American Teenagers. In: Jonathan Gruber, editor. Risky Behavior among Youths: An Economic Analysis (National Bureau of Economic Research Conference Report). Cambridge MA: University of Chicago Press 2001: 167-218.

3) Mastro TD, Cates W Jr, Cohen MS. Antiretroviral Products for HIV Prevention: Looking toward 2031.

http://www.fhi.org/NR/rdonlyres/eelhp77qb7vtrhcrzdc6z2sevegzymnhha7nz4iuobbmjdwxq2tmyqlpnq5avb5wkabzqhsjenf5wd/arvproductsforprevention.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).

4) UNAIDS/WHO. Ethical considerations in biomedical HIV prevention trials.

http://data.unaids.org/pub/Report/2007/JC1399_ethical_considerations_en.pdf (ultimo accesso del 08-07-2009).

5) 74 Richens J, Imrie J, Copas A. Condoms and seat belts: the parallels and the lessons. Lancet. 2000; 355(9201): 400-3.

6) Hearst N, Chen S. Condom Promotion for AIDS Prevention in the Developing World: Is it Working?

http://www.pacha.gov/meetings/presentations/p0803/p0803.html (ultimo accesso 4-7-2009).

7) Green EC. New Evidence Guiding How We Conduct AIDS Prevention. Presentation to the Manhattan Institute, Jan 9, 2008. http://www.harvardaidsprp.org/research/green-manhattan-institute-lecture-010908.pdf.

8) Puccetti R, Di Pietro ML. Catholic Magisterium and scientific community: possible dialogue on the bridge of numbers. British Medical Journal. 2 Apr. 2009. [letter] http://www.bmjcom/cgi/eletters/338/mar25_1/b1217.

9) Stigum H, Magnus P, Veierød M, Bakketeig LS. Impact on sexually transmitted disease spread of increased condom use by young females, 1987-1992. Int J Epidemiol. 1995; 24(4): 813-20.

Vedi pure Faílde Garrido JM, Lameiras Fernández M, Bimbela Pedrola JL. Sexual Behavior in a Spanish Sample Aged 14 to 24 Years Old. Gaceta Sanitaria. 2008; 22:6: 511-9.

10) Kajubi P, Kamya MR, Kamya S, Chen S, McFarland W, Hearst N. Increasing condom use without reducing HIV risk: results of a controlled community trial in Uganda. J Acquir Immune Defic Syndr. 2005; 40(1): 77-82.

11) Smoak ND, Scott-Sheldon LA, Johnson BT, Carey MP. Sexual risk reduction interventions do not inadvertently increasethe overall frequency of sexual behavior: a meta-analysis of 174 studies with 116,735 participants. J Acquir Immune Defic Syndr. 2006; 41(3): 374-84.

12) Eaton LA, Kalichman S. Risk compensation in HIV prevention: implications for vaccines, microbicides, and other biomedical HIV prevention technologies. Curr HIV/AIDS Rep. 2007; 4(4) :165-72.

FILIPPINE Chiesa: Il governo distribuisce gratis preservativi contro l’Aids, ma tollera la prostituzione

di Santosh Digal
Dal 14 febbraio il ministero della salute distribuisce gratis preservativi, incurante delle proteste di vescovi e cattolici. Direttore del dipartimento di patologie di un ospedale cattolico della capitale afferma: l’aumento dei malati di Aids non è indice di un’epidemia e il preservativo non può risolvere il problema.

Manila (AsiaNews) – Incurante delle proteste di vescovi e cattolici, dal 14 febbraio scorso il governo distribuisce gratis preservativi nei quartieri di Manila. Esperanza Cabral, responsabile del Dipartimento di salute, vede nell’opposizione della Chiesa al condom la causa principale della diffusione della malattia e dice che non fermerà il programma di distribuzione. I vescovi, che da tempo criticano la promozione del preservativo tra la popolazione, chiedono le sue dimissioni. A differenza del governo, i cattolici propongono l’astinenza dei rapporti e la sacralità della sessualità come soluzione più efficace al contagio da Aids.

“Per contrastare l’aumento dei casi di Aids nel Paese occorre bandire la prostituzione e il sesso libero e non sponsorizzare l’utilizzo dei preservativi”, afferma mons. Oscar Cruz ex arcivescovo di Lingayen-Dagupan. “La Cabral - continua sta costringendo la Chiesa al silenzio ed è curioso che il governo consenta l’apertura di alberghi a ore e case di appuntamenti che sono uno dei principali luoghi di diffusione della malattia”.

Nel 2007 il tasso di riconoscimento dell’Aids è stato di una persona al giorno e nel 2009 la media giornaliera aumentata a due. Negli ultimi due mesi la malattia è stata riscontrata in quattro individui ogni giorno. Nonostante l’incremento le Filippine sono però il Paese dell’Asia con il minor numero di malati di Aids. A tutt’oggi risiedono nel Paese circa 4,400 malati di Aids-Hiv a fronte di una popolazione di 90 milioni di persone.

Antonio Rymundo, direttore del dipartimento di patologie cliniche presso l’ospedale dell’Università cattolica di Santo Tomas, afferma: “L’aumento dei malati non è indice di un’epidemia di Aids e la distribuzione del preservativo non può risolvere il problema”.

“Siamo di fronte a un’epidemia e non a un semplice allarmismo – afferma Esperanza Cabral – e il Dipartimento di salute continuerà a distribuire preservativi gratis alla gente che ne farà richiesta per prevenire la trasmissione delle malattie sessuali”.

Aids: il preservativo non preserva

Nello sconcerto causato dall’imperversare dell’epidemia di Aids i corifei della «libertà sessuale» si aggrappano al preservativo come ultima ancora di salvezza per salvare la loro ideologia dal naufragio. «I preservativi vi augurano buone vacanze», si leggeva quest’estate su parecchi cartelloni pubblicitari giganteggianti negli angoli d’Europa. Allo stesso tempo, con un’insistenza crescente, si ritorce la colpa dell’epidemia su chi, come il Magistero cattolico, non è disposto a raccomandare l’uso di questo mezzo profilattico, la cui diffusione è un’ulteriore spinta verso la degradazione della sessualità. Ma questo articolo del prof. Joannes P.M. Lelkens, emerito di anestesiologia all’Università di Maastricht e attualmente docente di fisiologia all’Istituto «Medo» di Kerkrade (Paesi Bassi) per la famiglia e l’educazione e membro del direttivo della fondazione «Medische Ethiek», mostra il volto sconosciuto di una campagna mondiale che, dietro gli enormi interessi economici in gioco, nasconde gravi limiti scientifici, in conseguenza dei quali il «magico» preservativo si rivelerebbe come la più grande bufala del secolo.
Ci scusiamo con i lettori per la crudezza di certi dettagli, ma, per smontare un mito, a volte non c’è altro mezzo che il nudo realismo.

Il governo olandese promuove fin dal 1987 campagne pubblicitarie intese a raccomandare ai giovani il «sesso sicuro», cioè l’uso del preservativo. A prescindere dalla valutazione morale che merita un govemo che si comporta così, è legittimo il sospetto che questo nmedio sia piuttosto un veicolo del contagio che un profilattico.
Come «sesso sicuro», oggigiomo, s’intendono gli atti sessuali compiuti in modo da impedire che diano luogo alla trasmissione dello Hiv (Human Immunodeficiency Virus), un virus che provoca l’Aids. L’Aids a sua volta non è propriamente una malattia, ma, come dice il nome (Acquired Immune Deficiency Syndrome) una sindrome. La vera malatti è l’infezione da Hiv, di cui l’Aids costituisce lo stadio finale. Chi ne è affetto ne resta per tutta la vita portatore; e risulta sempre più confermato che nella grande maggioranza dei casi questa infezione è mortale (la ricerca attualmente colloca la percentuale di mortalità accertata attomo all’80%). Pertanto i sieropositivi, cioè coloro nel cui sangue un apposito test rivela l’esistenza dello Hiv, anche se non mostrano ancora sintomi della malattia, non si possono dire «portatori sani»: sono «morituri», e rappresentano per giunta un pericolo mortale per i loro partner sessuali.
Adesso che in Olanda, oltre alla Commissione Nazionale Aids, sempre più organizzazioni, alcune addirittura cattoliche, si mettono a far propaganda del preservativo come toccasana per evitare l’infezione da Hiv, è urgente porsi la questione: «Il preservativo perde o non perde? E se perde, che cos’è che lascia o non lascia passare?». Sia chiaro che è una questione di vitale importanza quando ci sono di mezzo malattie veneree come un’infezione da Hiv, contro la quale in dodici anni di ricerca non è stata trovata alcuna terapia, e che, lungi dall’essere un pericolo esciusivo per gli omosessuali, ormai si diffonde rapidamente anche tra gli eterosessuali e fa sempre più vittime tra donne e bambini.
Fino al 1960 il preservativo veniva usato come il più importante anticoncezionale, accanto al «coitus interruptus», ma nel 1960 fu soppiantato dalla «pillola», grazie a una propaganda massiccia che strombazzò a dritta e a manca l’inaffidabilità del preservativo. Una propaganda tutt’altro che infondata, dal momento che la letteratura denuncia una probabilità di insuccesso dal 9% al 14%. Il che è come dire che su 100 coppie che per un anno come anticoncezionale usano esciusivamente il preservativo, circa 12 donne rimangono incinte. A proposito di questi «insuccessi», però, bisogna tener conto del fatto che anche senza preservativo la probabilità di contrarre gravidanza non è del 100%, ma dell’89%. Quindi 89 gravidanze su 100 coppie in un anno. Il rapporto 0,12/0,89 (=0,13) indica pertanto una probabilità di insuccesso del 13%, o, in altre parole, un’efficacia dell’87% nella prevenzione della gravidanza per mezzo di preservativi (1). E il 13% è una percentuale di insuccesso molto alta, se si tiene conto del fatto che una donna è feconda soltanto da 3 a 6 giorni a! mese (da 36 a 72 giorni all’anno), il che è come dire: dal 10% al 20% del tempo. Per quanto sia difficile immaginarselo, il preservativo è permeabile agli spermatozoi.

La «cortina di gomma»

Eppure — incredibile ma vero! — negli anni Ottanta, infierendo già l’epidemia di Aids, il preservativo tapino e vilipeso si vide proclamato rimedio per antonomasia contro la diffusione del virus; grazie a lui il sesso da allora in poi poteva dirsi «safe». Grande fu lo stupore e la preoccupazione degli «insiders», perché sapevano bene che il virus dell’Aids e più piccolo degli spermatozoi, e pertanto capace di superare ancor più facilmente la «cortina di gomma». Ma grande fu pure il sollievo di chi aveva temuto che l’Aids avrebbe messo il punto finale alla conquistata libertà sessuale e che adesso si sentiva dire, addirittura da fonti governative, che i preservativi sono sicuri. Giacché è questo che ci insegnano oggi in Olanda manifesti e spot televisivi: «Faccio l’amore sicuro o non lo faccio per niente», strategicamente piazzati dalla Fondazione «Affezioni a trasmissione sessuale» (Soa, «Sexueel Overdraagbare Aandoeningen») sovvenzionata dallo Stato. Il messaggio è chiaro: si fa vedere un uorno, impegnato in un atto sessuale, con in mano un pacchetto di preservativi che, stando al testo, dovrebbero offrire una difesa sicura contro la trasmissione dello Hiv.
A parte l’offesa che questa pubblicità comporta per alcuni settori della popolazione, viene da domandarsi se con l’illusione di diffondere un consiglio salutare non si stiano sperperando soldi dello Stato in una propaganda dagli effetti micidiali.
Nel frattempo in altri Paesi non si dà tanto per scontata la sicurezza dei preservativi. La Federal Drugs Administration (Fda), per esempio, l’ente che negli Stati Uniti controlla i medicinali, nota che il preservativo di gomma può fare qualcosa per prevenire le malattie veneree, ma non elimina il rischio (2).
Il contatto diretto con sperma infetto è la causa principale della trasmissione per via sessuale del virus dell’Aids. In una eiaculazione vengono emessi circa 3,5 milliuitri di sperma, e il liquido seminale di un uomo sieropositivo contiene più o meno 100.000 particelle di virus per microlitro (0,001 millilitri). Una caratteristica dei virus è proprio la loro dimensione incredibilmente ridotta. Al microscopio elettronico si è potuto costatare che ii virus Hiv è una pallina del diametro di appena 100 nm (nanometri), cioè 0,1 micron (1 micron = 0,001 mm e 1 nanometro è un miliardesimo di metro). Ciò significa che il diametro della parte più grossa dello spermatozoo, la testa, che è di 3 micron, è trenta volte più grande dello Hiv (3). Il che è come dire che, se lo spermatozoo ce la fa a oltrepassare la parete del preservativo, il transito è trenta volte più comodo per il virus. «Sì, però… i preservativi, non vengono testati?». Certo; e in Olanda si continua a pensare — ci credono pure il govemo e la Commissione Nazionale Aids — che si possa star sicuri di come vengono controllati prima di essere messi in vendita. Che siano impermeabili — si dice — basterebbe a dimostrarlo il fatto che non lasciano passare nemmeno una molecola d’acqua: «Figuriamoci se passa uno Hiv!».
Ma siamo proprio tanto sicuri che i preservativi non presentino pori abbastanza larghi (più di un 0,1 micron) da lasciar passare lo Hiv, e allo stesso tempo abbastanza piccoli da sfuggire al controllo dei test? Per rispondere a questa domanda la bibliografia medica ci aiuta poco. Dobbiamo rivolgerci ai manuali e alle nviste dell’industria della gomma.
La permeabilità dei preservativi viene valutata con il cosiddetto «test di permeabilità», noto con la sigla Astm D 3492-89. Questo test è basato sullo standard originale Astm, consistente nella percezione visiva di perdite (gocce d’acqua) su un preservativo appeso e riempito con 300 ml di acqua; altro elemento del test è il metodo, usato dalla Fda, di far rototare il preservativo su carta, in modo da scoprire più facilmente gocce d’acqua fuoriuscite. Se più dello 0,4% (4 per mille) della partita di preservativi esaminata mostra delle perdite, si scarta tutta la partita. È noto l’esito di un esperimento che fu fatto per scoprire se fosse possibile che, nonostante questa prova, piccole perdite passassero inosservate. Furono aperti, con l’aiuto di un microscopio elettronico, dei forellini di 1 micron in preservativi nuovi, di marche diverse, che avevano già superato il test (4). Di questi preservativi, con forellini dieci voile più grandi dello Hiv, il 90% (!) superò un secondo test, cioè non mostrò alcuna perdita di acqua.
In un altro esperimento vennero introdotte, in preservativi che avevano superato il test di permeabilità, microsfere fluorescenti di polistirene del diametro di 0,1 micron, cioè dello stesso diametro dello Hiv (5). Una volta riempiti, questi preservativi vennero esposti a variazioni fisiologiche di pressione, analoghe a quelle che si verificano durante un coito; dopodiché vennero contate le microsfere fuoriuscite. Risultò che un terzo di questi preservativi, pur testati e approvati, mostrava perdite di liquido di un volume tra gli 0,4 e gli 1,6 nanolitri. Si noti che la quantità di liquido minima percepibile a occhio nudo è di 1 microlitro (1 milionesimo di litro, pari a 1000 nanolitri). Il che è come dire che, se questo microlitro di liquido fosse di sperma di un uomo infetto da Hiv, ben centomila particelle di virus sfuggirebbero alla nostra osservazione. E questa è proprio la quantità media di particelle di virus che presenta per microlitro lo sperma infetto. Supponiamo che un coito duri in media 2 minuti, con un preservativo che perde 1 nanolitro per secondo. Il calcolo (1/1000 x 100.000 x 120) ci dà un prodotto pari a 12.000 virus che attaccano il partner, quando uno solo basta a infettarlo. Se, per ipotesi, un coito durasse 30 minuti arriveremmo a (15 x 12.000 =) 180.000 particelle.

Il test elettrico

A quanto pare dunque il test di permeabilità in uso per i preservativi non è abbastanza sensibile da rintracciare quei pori minimi che bastano a far passare i virus. L’apertura minima percepibile con il test di permeabilità è tra i 10 e i 12 micron, quindi cento volte piü grande del virus Hiv. Oltre al test di permeabilità ne esiste un altro, anch’esso di uso frequente: è un test elettrico, basato sulle capacità isolanti della gomma. Un preservativo viene infilato su una forma di metallo. Se gli viene avvicinato un elettrodo, dovrebbe passare corrente elettrica per quei punti in cui il preservativo presenta dei fori. Ma soltanto se ci sono aperture di una certa grandezza la resistenza non impedisce che si formi questa corrente; il che è escluso nel caso dei micropori. Anche questo test non è abbastanza sensibile e non serve quindi a rintracciare fori piccolissimi.
Costatato che i test in uso non riescono a scoprire aperture inferiori a 10 micron di larghezza, è importante studiare la natura di questi fori che si possono osservare nei preservativi e vedere se siano difetti inerenti al materiale usato, il latice. I preservativi di latice dell’albero della gomma hanno infatti da lungo tempo soppiantato quelli, piü cari, di intestino animale. È possibile produrli anche in gomma sintetica; ma non accade di frequente, perché la minore elasticità e altre caratteristiche li rendono meno attraenti per il consumatore.
La fabbricazione di preservativi di latice di gomma è abbastanza semplice. Si immerge una forma cilindrica di vetro in un serbatoio di latice liquido, che è una sospensione di particelle di gomma con un diametro variabile tra gli 0,1 e i 5 micron. Lo spessore dello strato di gomma che aderisce alla forma è determinato dalle sostanze solide contenute nella soluzione e dal tempo di immersione (generalmente si compiono due immersioni successive). Poi la forma viene tirata fuori e asciugata e vulcanizzata. La vulcanizzazione è un procedimento chimico durante il quale il latice di gomma, con l’aggiunta di zolfo e additivi minerali in soluzione, viene sottoposto a una temperatura di circa 140 °C per quattro o cinque ore. Da termoplastica la gomma diventa così elastica; la sua capacità di trazione aumenta e migliora la resistenza al calore. Successivamente il materiale viene lisciviato, in modo da eliminare sostanze idrosolubili. Alla fine il preservativo viene sfilato dalla forma. In pratica attualmente abbiamo fabbriche pressoché interamente automatizzate che immergono allo stesso tempo moltissime forme in enormi contenitori pieni di latice.
L’integrità strutturale del materiale di latice dipende dalla formazione di una pellicola di particelle di gomma saldate fra loro. Il materiale deve soddisfare a requisiti severissimi, se si vuole che formi una barriera per i virus, che sono incredibilmente piccoli. È possibile che talora la saldatura delle particelle di gomma sia impedita dalla presenza di sostanze idrosolubili, dando luogo, dope la lisciviatura, a strutture capillari. Per quanto l’intenzione dei produttori sia che queste strutture capillari dopo l’asciugatura della pehhicola si saldino tra loro, l’osservazione al microscopio elettronico dimostra che di fatto la pellicola continua a presentare, alla fine del processo, una grande quantità di pori.
Descrivendo questa ricerca in un articolo nella rivista specializzata Rubber World del 1993 (6), C.M. Roland, Capo della sezione «Proprietà dei polimeri» del Naval Research Laboratory di Washington, scrive: «Sulla superficie del preservativo la struttura onginale appare al microscopio come un insieme di crateri e pori. I crateri hanno un diametro di circa 15 micron e sono profondi 30 micron. Più importante per la trasmissione dei virus è la scoperta di canali del diametro medio di 5 micron, che trapassano la parete da parte a parte. Ciò significa un collegamento diretto tra l’interno e l’esterno del preservativo attraverso un condotto grande 50 voile il virus».
Questa scoperta portö Roland a scrivere una lettera allo Washington Post (7), nella quale raccomandava, come profilassi contro lo Hiv, di usare due preservatiVi, l’uno sopra l’altro.

La legge di Poisseulle

Alla luce della scoperta di questi canali fatta da Roland si può anche capire meglio perché mai questo test di permeabilità non sia affidabile. Infatti il test di permeabilità ha per oggetto il flusso di una certa quantità di liquido che, nel caso del preservativo, scorre attraverso un tubo breve e molto stretto. La legge di Poisseulle dice che la quantità «q» di liquido che fuoriesce è direttamente proporzionale alla quarta potenza del raggio «r» del tubo.
Se la differenza di pressione tra le estremità del tubo nmane uguale, come pure la viscosità del liquido e la lunghezza del tubo, è chiaro che se il tubo si restringe (=diminuzione del raggio «r») la sensibilità del test (=la quantità di liquido «q») diminuisce rapidissimamente (alla quarta potenza di «r») in tubetti dalle misure capillari, che cioè raggiungono rapidamente valori minori di 1 microlitro, che e il limite della percepibilità visiva. L’applicazione del test di permeabilità ai preservativi si fonda sulla supposizione erronea che preservativi che non lasciano passare l’acqua — per lo meno non in quantità visibili — impediranno anche il passaggio dello Hiv, dal momento che le molecole d’acqua sono più piccole del virus.
Il test di permeabilità, come lo si applica attualmente, riesce a rintracciare soltanto quelle perdite e rotture che sono così grandi che l’acqua fuoriuscitane è visibile a occhio nudo. A quanto pare l’hanno già capito i Centers for Disease Control (Cdc) americani, che hanno commissionato all’Università di Atlanta lo studio di un nuovo test per i preservativi. I canaletti individuati nelle pareti di preservativi e guanti di gomma sono vasi capillari; e nel passaggio di liquidi nei vasi capillari non agisce solo la pressione idrostatica, ma anche la tensione superficiale. Se si usano mezzi che riducono questa tensione superficiale, la permeabilità non farà che aumentare. È quello che succede quando i preservativi vengono bagnati con lubrificanti e spermicidi, che spesso sono composti di oli e grassi. Ecco perché alcuni produttori di preservativi raccomandano di usare per questo trattamento solo prodotti a base di acqua. Si sente talora obiettare che il virus Hiv non circola libero nello sperma ma si trattiene nei globuli bianchi (cellule «helper» Cd4); tutto dipenderebbe allora dalla risposta alla questione se queste cellule o linfociti, che sono piü grandi del virus, possano o no oltrepassare la parete del preservativo. La risposta è duplice. In primo luogo è vero che i virus contenuti nello sperma si trovano per lo più, come avviene pure nel sangue, rinchiusi in questi linfociti e non negli spermatozoi; ma solo per un tempo limitato. A un certo momento, infatti, le cellule ospitanti scoppiano e i virus si diffondono nel liquido seminale. In secondo luogo le cellule helper Cd4 sono fatte in modo tale da poter raggiungere qualsiasi punto del corpo, come i globuli rossi. Il loro diametro varia da 5 a 20 micron e possono quindi essere più grandi del diametro dei canaletti individuati in preservativi e guanti. Ma sono deformabili e possono passare pertanto attraverso le ramificazioni più sottili del sistema circolatorio, cioè vasi di diametro tra i 5 e i 10 micron; tali condizioni possono benissimo verificarsi pure nei preservativi.
Sara bene tener presente che tutte queste ricerche sono state eseguite su guanti e preservativi di recente fabbricazione, senza tener conto dello scadimento di qualità che sopravviene col passare del tempo. Per esempio la possibilità di lacerazioni aumenta dal 3,6% per i preservativi nuovi al 18,6% per i preservativi che hanno già un po’ di anni (8), e aumenta pure in ragione dell’aumento della temperatura ambientale; sbaglia pertanto chi pensa di combattere l’Aids in Africa stimolando l’uso del preservativo, dato che in molti Paesi di questo continente funestato dall’epidemia il clima è molto caldo.
Com’è la situazione di fatto? Questi risultati di ricerche di laboratorio trovano riscontro nel fallimento della prevenzione dell’Aids? Su questo argomento sono già state pubblicate molte statistiche e segnalate percentuali di insuccesso. Ma la maniera migliore per testare nella realtà la sicurezza offerta dai preservativi è lo studio della frequenza della trasmissione del virus tra coppie eterosessuali Hiv-discordi, cioè le coppie di marito e moglie nelle quali uno solo dei due è sieropositivo.

Una probabilità del 30%

Una sola ncerca (9) è stata fatta partendo da questo requisito e allo stesso tempo soddisfacendo alle condizioni che la sieropositività fosse stata costatata in base all’esame del sangue (test Elisa e Western Blot) e che i preservativi si usassero regolarmente nel corso di un anno. Furono esclusi dall’esperimento soggetti che si drogavano per via endovenosa e soggetti che avevano subito trasfusioni di sangue. I risultati hanno dimostrato che l’uso del preservativo diminuisce del 69% la probabilità di contrarre l’infezione da Hiv. Ma nei casi in cui entravano in gioco fattori come una notevole gravità delle condizioni del paziente, la pratica del coito anale, l’essere stati affetti da malattie a trasmissione sessuale, rapporti sessuali con un gran numero di partner diversi e l’uso della «spirale», non si poteva piü parlare di una diminuzione significativa del rischio per chi usava i preservativi (10). Quindi il preservativo diminuisce la possibilità di contrarre l’infezione da Hiv, ma non la esciude affatto. Quello che rende particolarmente significativa una tale ricerca, condotta su coppie di marito e moglie Hiv-discordi, è la certezza che due coniugi che sanno chi dei due è sieropositivo, il preservativo lo useranno con regolarità, per evitare che l’altro partner venga infettato.
Sara un caso, ma la probabilità di infezione del 30% che risulta da questa ricerca coincide con l’esito della prova anteriormente descritta fatta con le microsfere fluorescenti, in cui la terza parte dei preservativi esaminati risultò permeabile per queste palline delle stesse dimensioni del virus Hiv.
Di che sicurezza gode, allora, chi segue il consiglio dello slogan olandese «Faccio l’amore sicuro o non lo faccio per niente» o obbedisce al più secco e imperativo «Mettitelo!» della campagna pubblicitaria dei nostri vicini belgi? Vediamo un po’ di pareri autorevoli.
La Dr. Helen Singer Kaplan, sessuologa e direttrice dello «Human Sexuality Program» del Medical Center della Cornell University di New York, dcrive nel suo libro The Real Truth about Women and Aids (Simon and Schuster, 1987): «Counting on condoms is flirting with death» («Contare sui preservativi è far la corte alla morte»).
La «Rivista Medica Olandese», 135 (1991), n. 41: «La pratica dimostra che c’è un grande bisogno di un mezzo che prevenga tanto lo Hiv quanto la gravidanza. Purtroppo la gente non si è ancora resa ben conto che questo mezzo non può essere il preservativo».
In una lettera di un medico del Ministero della Sanità olandese, datata 26 maggio 1993 e indirizzata a un cittadino che aveva manifestato la sua preoccupazione, si legge: «Le norme qualitative in Olanda sono esigenti. Le ricerche effettuate hanno dimostrato che la probabilità di perdite e lacerazioni è tra l’1% e il 13%. Ciò significa che il preservativo diminuisce notevolmente la possibilità di contrarre per via sessuale un’infezione da Hiv».
Un fax del 14 giugno 1993 di una fabbrica danese a un importatore olandese dice che i consumatori di preservativi possono aspettarsi nei prossimi anni «uno scadimento di qualità pari al 36%, come conseguenza dell’equiparazione delle direttive di fabbricazion in ambito Cee: i requisiti sono infatti molto meno severi in Paesi come la Spagna, il Portogallo e l’Italia che da noi».
Si potrà a questo punto obiettare che l’insuccesso del preservativo nella prevenzione della gravidanza e dell’infezione da Hiv non è dovuto esclusivamente a perdite. Ci sono infatti anche altre cause come le lacerazioni, l’uso sconsiderato, lo sfilamento, ecc. Ma con tutto ciò sarebbe irragionevole prescindere dai risultati delle ricerche sulle perdite dei preservativi, condotte da esperti nel campo della gomma. Tanto più che la pubblicazione delle loro conclusioni è prova della loro obiettività, dal momento che tali risultati non si può certo dire che depongano a favore dei prodotti della loro stessa industria. Al contrario, voci maliziose insinuano che, pubblicando questi risultati, l’industria della gomma cerchi di mettere le mani avanti per prevenire eventuali richieste di risarcimento di danni da parte di consumatori di preservativi che abbiano contratto l’infezione da Hiv.
In netto contrasto con quesste dichiarazioni e pubblicazioni, il Consiglio olandese per la pubblicità (Nederlandse Reclameraad), interpellato da un esposto che sosteneva il carattere mistificatorio e scandaloso dello slogan «Faccio l’amore sicuro o non lo faccio per niente» ha emesso l’11 agosto 1993 una decisione che suona così: «A giudizio del Consiglio la frase “faccio l’amore sicuro” non può essere intesa nel senso assoluto che questa parola ha secondo l’autore dell’esposto e secondo il “Grande vocabolario Van Dale della lingua neerlandese”. La sicurezza assoluta in pratica non esiste. [...] Nel contesto in cui viene usata, la parola “sicuro” (“veilig”) non la si può intendere altrimenti che nel senso che un preservativo offre un grado elevato di sicurezza, per cui il pericolo di infezione da virus dell’Aids viene notevolmente ridotto».
Ma a prescindere dalla presunzione del Reclameraad di ritenersi piü autorevole del Van Dale come interprete della lingua neerlandese, lo slogan contro cui si è sporto il reclamo, alla luce delle ricerche di cui abbiamo parlato, risulta essere tutt’altro che un consiglio sicuro.
Soprattutto per i giovani, che non pare si preoccupino tanto di che cosa ci sia di vero in questa millantata sicurezza, un simile consiglio può essere piuttosto uno stimolo a «provarci» ogni tanto. proprio perché invogliati da questa propaganda del preservativo. Un’infezione da Hiv è tuttora una malattia mortale, ma a chi mette in giro questa pubblicità col finanziamento, in questo caso, del Ministero della Sanità non pare che importi molto di avere cadaveri sulla coscienza. Sarebbe ora che non solo queste persone, ma tutti noi cominciassimo a capire che soltanto il recupero di una visione cristiana della vita e della concezione monogamica della sessualità garantiscono una difesa contro la diffusione dello Hiv. La vera causa delI’Aids sta infatti nella «Acquired “Integrity” Deficiency Syndrome», cioè nella perdita di integrità morale che ci ha regalato l’ideologia della «libertà» sessuale. Chi non arriva a capirlo o fa finta di non vederlo sappia per lo meno che di sicurezza, il preservativo, ne offre tanta quanta il tamburo di un revolver nella roulette russa.

Joannes P.M. Lelkens

Tratto da Contro la leggenda nera

Una ragazza sieropositiva scrive al Corriere...

Qualche giorno fa il nella cronaca di Milano il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera di una ragazza, una studentessa della Bocconi, che a soli 18 anni si è scoperta sieropositiva.

Colpa della droga, di una leggerezza compiuta sotto l'effetto dell'alcool, di avventure di una notte con qualche giovane apparso irresistibile? No, niente di tutto questo; Michela, questo è il nome di fantasia che decidiamo di darle, stava col suo ragazzo da quattro anni, si fidava di lui, aveva rapporti solo con lui. Ma non altrettanto aveva fatto lui. Così è avvenuto che Michela è stata infettata da colui nei cui confronti aveva riposto la massima fiducia e da tre anni è in cura presso un centro specializzato nella città.

"Se ci fosse stata una maggiore informazione o una rieducazione sessuale, io probabilmente non avrei fatto sesso non protetto con il mio ragazzo con il quale stavo da 4 anni, se gli uomini smettessero di tradire le proprie mogli e fidanzate, io ora non sarei malata di HIV, e non sarebbe per me così difficile tante volte trovare una ragione di vita", scrive Michela. Già, se ... se, quanti se. Una vita, quella di Michela, tradita dalla menzogna. La menzogna di un ragazzo che mentre si univa alla sua fidanzata, a cui aveva promesso amore e fedeltà, nascondeva di non essere stato capace di onorare quella stessa promessa.

La menzogna di un gesto il cui significato intrinseco, come tante volte ha insegnato Giovanni Paolo II nell'intero di ciclo di catechesi sull'amore umano, esprime il massimo di unione possibile tra due persone e che invece era realizzato per realizzare il massimo di distanza: usare l'altra per soddisfarsi col suo corpo, violando quel principio kantiano di non ridurre l'altro a solo mezzo. La menzogna di una società che attraverso la tecnoscienza promette di potere manipolare a piacimento una forza esplosiva come la sessualità, che promette di sezionarla nelle sue dimensioni e prenderne solo la parte che in quel momento interessa.

Una promessa che nel doloroso silenzio di tanti uomini e donne che ne patiscono le conseguenze si rivela tragicamente falsa. Il sesso ha una potenza spaventosa, è un mezzo la cui energia permette una straordinaria accelerazione su quell'autostrada che è la vita umana, ma proprio perché è un bolide è necessario conoscerlo e rispettarlo. Se qulcosa deve essere insegnato è che la sessualità è una cosa seria della vita, non è riducibile a quel giochino pulsionale senza conseguenze, se solo si usa uno strato di lattice, una compressa, o, meglio ancora entrambi, come insegnano sin dai 13 anni nelle scuole olandesi, dove però il tasso di aborti è del 17% più alto rispetto alle coetanee italiane.

Non basta demandare alla scuola uno sforzo educativo di tal genere, le famiglie hanno il diritto di ottenere informazioni e di selezionarle in base al grado di maturazione dei propri figli, che non sono tanti piccoli Big Jim e Barbie tutti uguali, ma persone, esseri umani irripetibili. Le famiglie hanno anche il diritto a non ricevere un continuo bombardamento mediatico che ad ogni occasione ammicca al sesso. Ma la famiglia ha dei diritti perché prima ha dei doveri e non si può pretendere se non si è disposti a dare. Di questo avrebbe avuto bisogno Michela, ma ancora di più il suo ragazzo, il quale mentre pensava di compiere la propria libertà attraverso tradimento e menzogna, in realtà si consegnava come schiavo alle proprie pulsioni. A questi ragazzi sarebbe servito che qualcuno prima indicasse che esiste un modo di vivere diverso, che esiste una vita virtuosa che non soggioga, ma rende più liberi, che non intristisce, ma rende felici, che non brucia, ma irrora; avrebbero avuto bisogno di qualcuno che avesse indicato loro la via per amare l'amore umano.


http://www.libertaepersona.org/

Negazionismi

Killer syndrome: The Aids denialists


The IndependentKiller syndrome: The Aids denialists

Molti sono preoccupati per le teorie negazioniste che vedrebbero nell'epidemia di AIDS una cospirazione fatta attraverso il legame tra virus HIV e malattia AIDS. E' un negazionismo che non sta in piedi. E quanti altri tipi di negazionismo esistono, a partire da quello che nega contro ogni evidenza che la vita prenatale sia una vita umana, con conseguenze assai più terribili del primo?


http://carlobellieni.splinder.com

Due milioni di morti: ecco l’Aids.

Gli effetti positivi della lotta planetaria all’Aids diventano sempre più percepibili, ma l’epi­demia resta capace di punire ogni distrazio­ne dei sistemi sanitari nazionali e delle popolazioni. È il messaggio che Unaids lancerà oggi nel quadro della Giornata mondiale della lotta alla malattia, ba­sandosi sugli ultimi dati epidemiologici. Secondo l’a­genzia dell’Onu che coordina il lavoro di diversi or­ganismi internazionali, vivono nel mondo circa 33,4 milioni di sieropositivi. L’anno scorso, il virus ha ucciso 2 milioni di persone, mentre i contagi sono stati circa 2,7 milioni: 7.400 casi al giorno, fra cui 1.200 bambini.

Cifre sostanzialmen­te simili a quelle del 2007, anche se pare più allarmante che mai il feno­meno dei malati inconsapevoli. Ciò è vero pure nei Paesi industrializzati come l’Italia, dove non a caso le au­torità sanitarie concentrano que­st’anno la propria campagna sul­l’importanza di effettuare test so­prattutto fra i 30 e i 40 anni. Nel no­stro Paese, i sieropositivi stimati so­no almeno 170 mila. Fra loro, circa 22 mila presenta­no tutti i sintomi della malattia. È confrontando le diverse 'fotografie' annuali dell’e­pidemia che emergono timidi segnali incoraggianti. Ri­spetto al 2001, la propagazione dell’Hiv ha rallentato la sua corsa persino in Africa, dove in 8 anni il calo del nu­mero dei nuovi casi è stato del 15% (con 400mila nuo­ve infezioni l’anno scorso). Meglio dunque che nell’A­sia meridionale, dove i nuovi casi annuali sono dimi­nuiti di circa il 10% rispetto sempre al 2001. Nell’Asia sud-orientale, il calo è stato invece del 25%, dunque più del 17% constatato a livello mondiale.

Secondo Unaids, inoltre, è sintomatico che il ritmo d’avanzamento paia stabilizzarsi nell’Europa orientale, dove fino a qualche anno fa la progressione pareva inarrestabile. L’effetto combinato delle triterapie e della preven­zione ha abbassato negli ultimi 5 anni di circa il 10% il numero dei morti, con una stima generale di 2,9 mi­lioni di vite salvate dal 1996. Ma tutto ciò non signi­fica affatto che l’epidemia è «sotto controllo». Anche perché buona parte del rallentamento sembra dovu­ta al naturale superamento di un picco epidemico. In totale, il numero dei malati non era mai stato tanto alto. E non è certo il momento di consolarsi, sottoli­nea Unaids, pensando che questo valore cresce an­che per effetto della propagazione dei trattamenti e dunque di una vita media più lunga. Per Margareth Chan, al timone del­l’Oms, questo è «il momento di rad­doppiare gli sforzi per salvare ancora più vite», in ragione proprio del fatto che «gli investimenti internazionali e nazionali per l’estensione dei tratta­menti dell’Hiv hanno dato risultati concreti e misurabili».

In Africa, dove si registrano ancora i due terzi delle infezioni planetarie, l’e­sempio positivo più citato è il Botswa­na, uno dei Paesi tradizionalmente più martoriati. Qui, ormai, 4 malati su 5 ri­cevono cure e il numero di morti è stato più che di­mezzato nell’ultimo quinquennio. La tragedia nella tra­gedia degli orfani ha preso così pieghe meno cupe che in passato. Nei Paesi in via di sviluppo, in generale, su quasi 10 milioni di malati in attesa, il 67% non aveva nel 2007 alcun accesso alle cure, mentre l’anno scorso il va­lore è sceso al 58%. Michel Sidibé, direttore esecutivo di Unaids, ammette che c’è ancora moltissimo da fare, soprattutto perché «la programmazione della preven­zione è spesso lontana dalle realtà concrete». In Africa, ad esempio, gli investimenti nell’educazione alla salu­te e nella prevenzione sono stati di recente ridotti in di­versi Paesi, con un quasi dimezzamento registrato in Ghana fra il 2005 e il 2007.

Avvenire 1 dic 2009
da Parigi Daniele Zappalà