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Uno sguardo profetico sugli eventi

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Il Vescovo ausiliare anglicano di Londra diventa cattolico

E lo seguiranno probabilmente un migliaio di parrocchie anglicane in tutto il mondo: grande successo per l'Ordinariato degli ex anglicani costituito un anno fa da Benedetto XVI
da Avvenire

Il vescovo ausiliare anglicano di Londra, John Broadhurst, si dimetterà entro fine anno per diventare cattolico a pieno titolo. Ne ha dato notizia ieri l’edizione online del Daily Telegraph. Il vescovo, secondo quanto riferito dal quotidiano, ha annunciato la sua decisione intervenendo ieri a Londra all’assemblea nazionale di «Forward in Faith» (FiF), – organizzazione che si oppone all’ordinazione sacerdotale ed episcopale delle donne – di cui è presidente e di cui rimarrà tale in quanto, come ha sottolineato, «non è un’organizzazione della Chiesa d’Inghilterra». Broadhurst, sposato e con quattro figli, è il primo vescovo del movimento anglo-cattolico ad annunciare che si unirà all’Ordinariato che Benedetto XVI, con la costituzione apostolica «Anglicanorum Coetibus», ha voluto istituire un anno fa per garantire agli anglicani che rientrano nella Chiesa cattolica, il rispetto della liturgia e delle tradizioni. La sua decisione, al di là dell’eco che ha avuto oltremanica, non è arrivata tuttavia inattesa. Fin da quando la Chiesa d’Inghilterra, all’inizio degli anni Novanta, avviò il dibattito sull’ordinazione femminile, infatti, Broadhurst s’era posto in prima linea nella corrente che si opponeva a tale svolta. Fif nacque nel 1992, dalla fusione di preesistenti organizzazioni anglo-cattoliche non solo britanniche, e attualmente raccoglie un migliaio di parrocchie anglicane in tutto il mondo. Adesso si pensa che con l’annuncio del vescovo, il quale, oltre all’incarico di ausiliare del quartiere londinese di Fulham, era incaricato della «cura pastorale delle parrocchie con una più tradizionale visione della loro fede e che si oppongono all’ordinazione delle donne», saranno in molti a seguire il suo esempio. (...)

da Avvenire, 17 ottobre 2010

L'ausiliare anglicano di Londra si fa cattolico

A un mese dal viaggio di Benedetto XVI in Gran Bretagna, l'ausiliare anglicano di Londra, il vescovo John Broadhurst, che è una figura di primo piano nel movimento anglo-cattolico, ha annunciatodi voler chiedere entro l'anno la piena comunione con il Papa facendosi cattolico. Parlando all'Assemblea Nazionale di "Forward in Faith", il movimento anglicano tradizionalista del quale è presidente, ha detto di aver intenzione di rassegnare le proprie dimissioni prima della fine dell'anno e di volersi unire all'Ordinariato personale, creato conformemente alla Costituzione apostolica "Anglicanorum coetibus", quando esso verrà eretto. Il presule ha detto che resterà il presidente di Forward in Faith, in quanto l'organizzazione non è dipendente dalla Comunione anglicana.

John Broadhurst è il primo tra i leader anglo-cattolici ad annunciare pubblicamente che parteciperà all'Ordinariato voluto da Benedetto XVI per garantire agli anglicani che rientrano nella Chiesa Cattolica il mantenimento delle proprie tradizioni, comprese la liturgia e la possibilità di ordinare al sacerdozio uomini sposati.

Insieme all'ausiliare di Londra anche altri due vescovi sembrano in procinto di presentare le dimissioni entro la fine dell'anno per entrare nell'Ordinariato cattolico: si tratta - secondo la stampa inglese - di Andrew Burnham, vescovo di Ebbsfleet e di Keith Newton vescovo di Richborough.

© Copyright Avvenire

Frutti della visita apostolica del Papa in UK: un'intera parrocchia anglicana chiede la comunione con Roma Testo presto da: http://www.cantualeantoni


Una parrocchia anglicana del Kent ha annunciato l'intenzione di far parte di un Ordinariato cattolico.

I churchwardens [responsabili eletti dai laici per la conduzione parrocchiale e principali collaboratori del parroco] di San Pietro di Folkestone, che è nella diocesi dell'Arcivescovo di Canterbury, contatteranno l'arcivescovo come primo passo nella linea di un'adesione al futuro Ordinariato.

St Peter's Folkestone [qui il loro sito web] ricade sotto la cura pastorale diretta del Vescovo Keith Newton di Richborough, uno dei due "vescovi volanti" che "proteggono" le parrocchie tradizionali dal ministero delle donne prete, e che sarà uno dei pionieri dell'Ordinariato

Anche se molti ritengono che il passaggio a un Ordinariato sia prevalentemente clero-guidato, la decisione di accettare l'offerta fatta agli anglo-cattolici da Papa Benedetto con la Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus a St Peter's Folkestone è scaturita da una iniziativa di laici.

Il Consiglio Parrocchiale di San Pietro ha votato all'unanimità per contattare e informare il dottor Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury, circa il passaggio verso l'adesione all'Ordinariato, alla fine di settembre.

Nella Chiesa d'Inghilterra il Consiglio Parrocchiale [a differenza dei Consigli Pastorali delle parrocchie cattoliche] agisce come vero e proprio organo esecutivo di una parrocchia ed è costituito dal parroco, dai churchwardens e da rappresentanti eletti dei laici.

E' stata rilasciata una dichiarazione che diceva: "Nella riunione del 28 settembre, il Consiglio Parrocchiale di St Peter's Folkestone all'unanimità ha dato mandato ai Churchwardens di contattare l'arcivescovo di Canterbury, nostro Vescovo diocesano, per consultarlo riguardo la volontà del Consiglio Parrocchiale e di molti fra i parrocchiani di aderire all'Ordinariato inglese della Chiesa cattolica quando esso verrà eretto.

"Siamo ansiosi che questo passaggio possa essere reso il più semplice possibile, non solo per noi, ma per la famiglia diocesana di Canterbury che con rammarico dovremo lasciare".

Nessuno della parrocchia si è reso disponibile per un commento.



Testo presto da:
http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/frutti-della-visita-apostolica-del-papa.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+CantualeAntonianum+%28Cantuale+Antonianum%29#ixzz12furFPDc

Il Papa: la Chiesa è chiamata ad essere inclusiva, ma mai a scapito della verità cristiana

DISCORSO DEL PAPA PER LA VISITA ALL’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY


LONDRA, venerdì, 17 settembre 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il discorso pronunciato questo venerdì da Benedetto XVI durante la visita di cortesia all’Arcivescovo di Canterbury, il dr. Rowan Williams, nel Lambeth Palace.




* * *

Vostra Grazia,

sono lieto di poter restituire la cortesia delle visite che mi ha reso a Roma attraverso una visita fraterna a Lei, qui nella Sua residenza ufficiale. La ringrazio per l’invito e per l’ospitalità che Lei così generosamente mi ha riservato. Saluto pure i Vescovi anglicani qui riuniti dalle diverse parti del Regno Unito, i miei fratelli Vescovi delle diocesi cattoliche dell’Inghilterra, del Galles e della Scozia, come pure i consultori ecumenici qui presenti.

Vostra Grazia ha accennato allo storico incontro che ebbe luogo, quasi trent’anni orsono, nella Cattedrale di Canterbury, fra due dei nostri predecessori: il Papa Giovanni Paolo II e l’Arcivescovo Robert Runcie. In quello stesso luogo dove san Tommaso di Canterbury rese testimonianza a Cristo versando il proprio sangue, essi pregarono insieme per il dono dell’unità tra i seguaci di Cristo. Anche oggi continuiamo a pregare per quel dono, sapendo che l’unità voluta da Cristo per i suoi discepoli giungerà solo come risposta alla preghiera, mediante l’azione dello Spirito Santo, che senza sosta rinnova la Chiesa e la guida alla pienezza della verità.

Non è mia intenzione parlare oggi delle difficoltà che il cammino ecumenico ha incontrato e continua ad incontrare. Tali difficoltà sono ben note a ciascuno qui presente. Vorrei piuttosto unirmi a Lei nel rendere grazie per la profonda amicizia che è cresciuta fra noi e per il ragguardevole progresso fatto in moltissime aree del dialogo in questi quarant’anni che sono trascorsi da quando la Commissione Internazionale Anglo-Cattolica ha cominciato i propri lavori. Affidiamo i frutti di quelle fatiche al Signore della messe, fiduciosi che egli benedirà la nostra amicizia mediante un’ulteriore significativa crescita.

Il contesto nel quale ha luogo il dialogo fra la Comunione Anglicana e la Chiesa Cattolica si è evoluto in maniera impressionante dall’incontro privato fra Papa Giovanni XXIII e l’Arcivescovo Geoffrey Fisher nel 1960. Da una parte, la cultura che ci circonda si sviluppa in modo sempre più distante dalle sue radici cristiane, nonostante una profonda e diffusa fame di nutrimento spirituale. Dall’altra, la crescente dimensione multiculturale della società, particolarmente accentuata in questo Paese, reca con sé l’opportunità di incontrare altre religioni. Per noi cristiani ciò apre la possibilità di esplorare, assieme ai membri di altre tradizioni religiose, delle vie per rendere testimonianza della dimensione trascendente della persona umana e della chiamata universale alla santità, conducendoci a praticare la virtù nella nostra vita personale e sociale. La collaborazione ecumenica in tale ambito rimane essenziale, e porterà sicuramente frutti nel promuovere la pace e l’armonia in un mondo che così spesso sembra a rischio di frammentazione.

Allo stesso tempo, noi cristiani non dobbiamo mai esitare di proclamare la nostra fede nell’unicità della salvezza guadagnataci da Cristo, e di esplorare insieme una più profonda comprensione dei mezzi che Egli ha posto a nostra disposizione per giungere alla salvezza. Dio "vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4), e quella verità è nient’altro che Gesù Cristo, l’eterno Figlio del Padre, che ha riconciliato tutte le cose mediante la potenza della sua croce. Fedeli alla volontà del Signore, espressa in questo versetto della Prima Lettera di san Paolo a Timoteo, riconosciamo che la Chiesa è chiamata ad essere inclusiva, ma mai a scapito della verità cristiana. Qui si colloca il dilemma che sta davanti a tutti coloro che sono genuinamente impegnati nel cammino ecumenico.

Nella figura di John Henry Newman, che sarà beatificato domenica, celebriamo un uomo di Chiesa la cui visione ecclesiale fu alimentata dal suo retroterra anglicano e maturò durante i suoi lunghi anni di ministero ordinato nella Chiesa d’Inghilterra. Egli ci può insegnare le virtù che l’ecumenismo esige: da una parte egli fu mosso dal seguire la propria coscienza, anche con un pesante costo personale; dall’altra, il calore della continua amicizia con i suoi precedenti colleghi, lo portò a sondare insieme a loro, con vero spirito irenico, le questioni sulle quali divergevano, mosso da una ricerca profonda dell’unità nella fede. Vostra Grazia, in quello stesso spirito di amicizia, rinnoviamo la nostra determinazione a perseguire il fine ultimo dell’unità nella fede, nella speranza e nell’amore, secondo la volontà dell’unico nostro Signore e Salvatore, Gesù Cristo.

Con tali sentimenti prendo congedo da Lei. Che la grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi (2Cor 13,13).



[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Anglicani e pedofilia. Una storia di travi e pagliuzze. di Massimo Introvigne

www.cesnur.org - aprile 2010

di Massimo Introvigne

Quattrocento bambini molestati, un’intera zona infestata da ministri di culto pedofili che i superiori per quarant’anni si limitano a trasferire da una parrocchia all’altra, ostacolando in ogni modo le indagini della polizia. Una commissione d’inchiesta, condanne, scuse pubbliche che secondo le vittime non possono bastare, un vescovo che si dimette.


L’ennesimo episodio di pedofilia nella Chiesa Cattolica? Niente affatto: si tratta dello scandalo dei pastori pedofili nella Chiesa Anglicana dell’Australia del Nord, scoperto nel 2003.

La Comunione Anglicana fin dagli anni 1980 è stata devastata da alcuni dei più clamorosi scandali di abusi di minori e di pedofilia dell’intero mondo anglosassone. Nel giorno di venerdì santo del 2002 William Persell, vescovo di Chicago della Chiesa Episcopaliana – la branca statunitense della Comunione Anglicana – dichiarava in un sermone: “Saremmo ingenui e disonesti se dicessimo che quello della pedofilia è un problema della Chiesa Cattolica e non ha nulla a che fare con noi anglicani perché abbiamo preti sposati e donne prete. Non è così”.

Per questo i commenti dell’arcivescovo di Canterbury e responsabile mondiale della Comunione Anglicana, Rowan Williams, che il 3 aprile ha scatenato un attacco senza precedenti contro la Chiesa Cattolica, unendo la sua voce all’assalto di una lobby internazionale contro Benedetto XVI, sono apparsi a molti specialisti di abusi compiuti da religiosi come un pesce d’aprile di cattivo gusto e in ritardo di due giorni. Ma come? Il capo di una comunità dove gli abusi sono iniziati addirittura nel XIX secolo e continuano ampiamente ancora oggi si permette di attaccare il Papa? Non conosce forse la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e sulla trave?

Statisticamente, Williams – che contrappone i protestanti ai cattolici – non potrebbe avere più torto. Secondo il sociologo Philip Jenkins, uno dei maggiori studiosi mondiali della questione degli abusi pedofili, il tasso di sacerdoti condannati per abusi su minori a seconda delle aree geografiche varia dallo 0,2 all’1,7% del totale, mentre per i ministri protestanti va dal 2 al 3%.

Un rapporto del 2002 di un’agenzia protestante americana, Christian Ministry Resources, concludeva che “i cattolici ricevono tutta l’attenzione nei media, ma il problema è maggiore nelle Chiese protestanti” dove le accuse (certo da non confondersi con le condanne) negli Stati Uniti erano arrivate al bel numero di settanta alla settimana. Nella sole congregazioni della Comunione Anglicana i siti specializzati riportano centinaia di casi.

Questo dimostra, fra l’altro, che il celibato non c’entra: la maggior parte dei pastori protestanti in genere e anglicani in specie è sposata. Nel 2002 in Australia il pastore anglicano Robert Ellmore, sposato, fu condannato per avere abusato di numerosi bambini, fra cui la sua nipotina di cinque anni. Un pastore episcopaliano di Tucson, in Arizona, Stephen P. Apthorp, nel 1992 era stato condannato per avere violentato 830 volte la figliastra, inducendola a tentare il suicidio, a partire da quando aveva dieci anni.

In Australia nel 1995 la Chiesa Anglicana aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato della Chiesa sugli abusi sessuali”. Uno dei membri più noti del comitato era il canonico anglicano Ross Leslie McAuley. Quando lo nominarono, i vertici della Chiesa Anglicana sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi omosessuali. Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come “un predatore sessuale”. Il 12 marzo 2009 in Australia un ex responsabile della Church of England Boys Society è stato condannato a diciotto anni di carcere per una lunga catena di abusi sui bambini. E le condanne continuano.

Sarebbe sbagliato qualunque atteggiamento del tipo “mal comune, mezzo gaudio”, né certamente la Chiesa Cattolica intende assumerlo. Al contrario, il Papa è impegnato a denunciare – come ha scritto nella “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” – “la vergogna e il disonore” dei preti pedofili.

Ma il capo anglicano Rowan Williams – che mantiene aperto il sacerdozio e l’episcopato agli omosessuali e ha auspicato l’introduzione in Gran Bretagna della legge islamica, la shari’a, per i musulmani – dovrebbe smetterla con il patetico tentativo di usare la questione della pedofilia per frenare la massiccia emorragia di anglicani che tornano alla Chiesa di Roma disgustati dalla sua gestione, lasciare al Papa il suo lavoro e occuparsi semmai di fare pulizia in casa sua.




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Anglicani e pedofilia. Una storia di travi e pagliuzze. di Massimo Introvigne

Tratto dal sito CESNUR Centro Studi sulle Nuove Religioni l'11 aprile 2010

Quattrocento bambini molestati, un’intera zona infestata da ministri di culto pedofili che i superiori per quarant’anni si limitano a trasferire da una parrocchia all’altra, ostacolando in ogni modo le indagini della polizia.

Una commissione d’inchiesta, condanne, scuse pubbliche che secondo le vittime non possono bastare, un vescovo che si dimette. L’ennesimo episodio di pedofilia nella Chiesa Cattolica? Niente affatto: si tratta dello scandalo dei pastori pedofili nella Chiesa Anglicana dell’Australia del Nord, scoperto nel 2003. La Comunione Anglicana fin dagli anni 1980 è stata devastata da alcuni dei più clamorosi scandali di abusi di minori e di pedofilia dell’intero mondo anglosassone. Nel giorno di venerdì santo del 2002 William Persell, vescovo di Chicago della Chiesa Episcopaliana – la branca statunitense della Comunione Anglicana – dichiarava in un sermone: “Saremmo ingenui e disonesti se dicessimo che quello della pedofilia è un problema della Chiesa Cattolica e non ha nulla a che fare con noi anglicani perché abbiamo preti sposati e donne prete. Non è così”.

Per questo i commenti dell’arcivescovo di Canterbury e responsabile mondiale della Comunione Anglicana, Rowan Williams, che il 3 aprile ha scatenato un attacco senza precedenti contro la Chiesa Cattolica, unendo la sua voce all’assalto di una lobby internazionale contro Benedetto XVI, sono apparsi a molti specialisti di abusi compiuti da religiosi come un pesce d’aprile di cattivo gusto e in ritardo di due giorni. Ma come? Il capo di una comunità dove gli abusi sono iniziati addirittura nel XIX secolo e continuano ampiamente ancora oggi si permette di attaccare il Papa? Non conosce forse la pagina del Vangelo sulla pagliuzza e sulla trave?

Statisticamente, Williams – che contrappone i protestanti ai cattolici – non potrebbe avere più torto. Secondo il sociologo Philip Jenkins, uno dei maggiori studiosi mondiali della questione degli abusi pedofili, il tasso di sacerdoti condannati per abusi su minori a seconda delle aree geografiche varia dallo 0, 2 all’1, 7% del totale, mentre per i ministri protestanti va dal 2 al 3%. Un rapporto del 2002 di un’agenzia protestante americana, Christian Ministry Resources, concludeva che “i cattolici ricevono tutta l’attenzione nei media, ma il problema è maggiore nelle Chiese protestanti” dove le accuse (certo da non confondersi con le condanne) negli Stati Uniti erano arrivate al bel numero di settanta alla settimana. Nella sole congregazioni della Comunione Anglicana i siti specializzati riportano centinaia di casi.

Questo dimostra, fra l’altro, che il celibato non c’entra: la maggior parte dei pastori protestanti in genere e anglicani in specie è sposata. Nel 2002 in Australia il pastore anglicano Robert Ellmore, sposato, fu condannato per avere abusato di numerosi bambini, fra cui la sua nipotina di cinque anni. Un pastore episcopaliano di Tucson, in Arizona, Stephen P. Apthorp, nel 1992 era stato condannato per avere violentato 830 volte la figliastra, inducendola a tentare il suicidio, a partire da quando aveva dieci anni. In Australia nel 1995 la Chiesa Anglicana aveva deciso di occuparsi del problema costituendo un “Comitato della Chiesa sugli abusi sessuali”. Uno dei membri più noti del comitato era il canonico anglicano Ross Leslie McAuley. Quando lo nominarono, i vertici della Chiesa Anglicana sapevano già che era sotto inchiesta per diversi casi di abusi omosessuali. Più tardi sarebbe stato descritto dai suoi stessi superiori come “un predatore sessuale”. Il 12 marzo 2009 in Australia un ex responsabile della Church of England Boys Society è stato condannato a diciotto anni di carcere per una lunga catena di abusi sui bambini. E le condanne continuano.

Sarebbe sbagliato qualunque atteggiamento del tipo “mal comune, mezzo gaudio”, né certamente la Chiesa Cattolica intende assumerlo. Al contrario, il Papa è impegnato a denunciare – come ha scritto nella “Lettera ai cattolici dell’Irlanda” – “la vergogna e il disonore” dei preti pedofili. Ma il capo anglicano Rowan Williams – che mantiene aperto il sacerdozio e l’episcopato agli omosessuali e ha auspicato l’introduzione in Gran Bretagna della legge islamica, la shari’a, per i musulmani – dovrebbe smetterla con il patetico tentativo di usare la questione della pedofilia per frenare la massiccia emorragia di anglicani che tornano alla Chiesa di Roma disgustati dalla sua gestione, lasciare al Papa il suo lavoro e occuparsi semmai di fare pulizia in casa sua.

Anglicani canadesi chiedono la creazione di un ordinariato cattolico

Si tratta dei membri della Comunione Tradizionale Anglicana


TORONTO, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- La Chiesa Anglicana Cattolica del Canada, una delle province della Comunione Tradizionale Anglicana (Traditional Anglican Communion, TAC), ha chiesto alla Santa Sede di creare per questa realtà un ordinariato cattolico.

La richiesta appare in una lettera inviata il 12 marzo dal collegio dei suoi Vescovi al Cardinale William Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, seguendo quanto stabilito dalla Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI.

“In risposta al suo invito a contattare il suo dicastero per avviare il processo da voi delineato, chiediamo rispettosamente che la Costituzione Apostolica sia implementata in Canada”, si legge nel testo.

I tre Vescovi firmatari chiedono “di istituire un Consiglio di governo ad interim di tre sacerdoti (o Vescovi)” e di “dare a questo Consiglio il compito e l'autorità di proporre a Sua Santità una terna di nomi per la nomina dell'ordinario iniziale”.

Firmano il documento i reverendi Peter Wilkinson, OSG, Vescovo diocesano; Craig Botterill, Vescovo suffraganeo per il Canada Atlantico; Carl Reid, Vescovo suffraganeo per il Canada Centrale.

“Speriamo e preghiamo che queste proposte possano essere utili all'avvio del processo stabilito dalla risposta gentile e generosa del Santo Padre alla nostra richiesta”, concludono.

Gli anglicani canadesi della TAC portano così avanti i passi dei loro fratelli in Inghilterra, America Centrale e Stati Uniti e dei membri di Forward in Faith Australia.

La Comunione Tradizionale Anglicana è una comunione di Chiese anglicane nel Movimento Angelicano di Continuazione indipendente dalla Comunione Anglicana e dall'Arcivescovo di Canterbury.

La Comunione è stata creata nel 1991. Dal 2002 il suo superiore è monsignor John Hepworth, Arcivescovo della Chiesa cattolica anglicana dell'Australia.

Che cosa c’è dietro la seconda ondata di anglicani convertiti al cattolicesimo

Roma. La seconda ondata è cominciata.
Dopo il gruppo di fedeli tradizionalisti australiani
appartenenti alla Forward in
Faith, anche un centinaio di parrocchie
anglicane statunitensi ha deciso di emigrare
in massa nel cattolicesimo usufruendo
della costituzione apostolica “Anglicanorum
coetibus” firmata da Benedetto
XVI, il 4 novembre scorso. Si tratta di fedeli
(diversi preti sposati inclusi) appartenenti
all’Anglican Church in America
(Aca). Anche per loro valgono le regole già
accettate dagli australiani: entreranno in
strutture denominate “Ordinariati personali”
e manterranno i propri riti liturgici.
La decisone è stata presa nei giorni scorsi
durante un meeting tenutosi nella città di
Orlando (Florida). Erano presenti il reverendo
Louis W. Falk, presidente dell’Aca,
e il vicepresidente, il reverendo George
Langberg.
L’Aca fa parte della Tradional Anglican
Communion (Tac) che vent’anni fa ruppe
con la comunione anglicana per le molteplici
decisioni prese in contrasto con la
dottrina tradizionale. Come i fedeli australiani,
anche i fedeli dell’Aca non hanno digerito
la decisione di diverse comunità anglicane
di ordinare preti e vescovi sia donne
sia omosessuali. Lo strappo, insomma,
ha radici lontane e la decisione dei giorni
scorsi è la coda di un lungo processo.
La notizia è stata riportata in Gran Bretagna
dal Telegraph. E’ nel Regno Unito,
infatti, che la decisione del Papa di firmare
l’“Anglicanorum coetibus” fa molto parlare
di sé. Il mondo anglicano non sta passando
uno dei suoi momenti migliori. Al di
là delle conversioni al cattolicesimo, è in
atto un’importante e apparentemente
inarrestabile emorragia di fedeli ben superiore
a quella che sta investendo, in tutta
Europa, sia cattolici che ortodossi. La
via “liberal” che ha mandato in crisi gli
anglicani più tradizionalisti, in fondo, altro
non è che un tentativo di reagire a questa
dissoluzione numerica. Ma i risultati,
fino a oggi, sembrano controproducenti:
anche il “movimento di Oxford” (di cui
uno dei più illustri membri fu John H.
Newman) era da comprendere in questa
dinamica.
A poco più di sei mesi dal viaggio del
Papa nel Regno Unito, il mondo anglicano
è chiamato in qualche modo a riflettere
al suo interno. Benedetto XVI non ha
approvato l’“Anglicanorum coetibus” in
opposizione al mondo anglicano ma semplicemente
per rispondere a una richiesta
avanzata a Roma dai fedeli. Come il
recente simposio sull’ecumenismo promosso
dal Pontificio consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani ha dimostrato,
l’intenzione di Roma è quella di
creare una sinergia, almeno in Europa,
tra diverse chiese e comunità cristiane.
Come ha detto alla Radio Vaticana il vescovo
anglicano Tom Wright, il “sogno modernista”
che viveva la cristianità quaranta
anni fa non si è realizzato. “Oggi ci troviamo
in un mondo diverso e credo che
tutti siamo consapevoli che una maggiore
intesa tra di noi sarebbe veramente una
buona cosa”. (pr)

© Copyright Il Foglio 10 marzo 2010

Anglicani degli Stati Uniti chiederanno un ordinariato cattolico Si pensa che in 5.200 entreranno in comunione con la Chiesa

ORLANDO, martedì, 9 marzo 2010 (ZENIT.org).- I leader della Chiesa anglicana negli Stati Uniti della Comunione Anglicana Tradizionale hanno risposto all'invito di Benedetto XVI a entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

La Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, pubblicata nel novembre scorso, ha offerto ai gruppi di anglicani un modo di entrare nella Chiesa cattolica attraverso l'istituzione di ordinariati personali, un nuovo tipo di struttura canonica.

In questo modo possono conservare alcuni elementi delle loro tradizioni liturgiche e spirituali, essendo allo stesso tempo uniti sotto l'autorità del Papa.

Mercoledì scorso, la Casa dei Vescovi della Chiesa Anglicana negli Stati Uniti ha annunciato di aver avuto un incontro a Orlando "con il nostro Primate, il reverendo Christopher Phillips della parrocchia 'di uso anglicano' di Nostra Signora dell'Espiazione (San Antonio, Texas), e altri".

"In questo incontro - si spiega in un comunicato - è stata presa la decisione formale di richiedere l'applicazione delle disposizioni della Costituzione Apostolica 'Anglicanorum Coetibus' negli Stati Uniti d'America da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede".

La Anglican Church in America (Chiesa Anglicana in America, ACA), che ha circa 5.200 membri in 100 congregazioni, è diversa dalla Chiesa Episcopaliana.

Non fa parte della Comunione Anglicana che ha come Primate principale l'Arcivescovo di Canterbury.

L'ACA è stata creata nel 1991 quando alcuni membri della Chiesa cattolica anglicana (il ramo della Chiesa anglicana più vicino a quella cattolica) e della Chiesa americana episcopaliana si sono uniti formando una nuova Chiesa.

L'attuale presidente della Casa dei Vescovi dell'ACA è l'Arcivescovo Louis Falk.

La Comunione Tradizionale Anglicana, che ha circa 400.000 membri in tutto il mondo, ha come Primate l'Arcivescovo John Hepworth, della Chiesa cattolica anglicana in Australia.

I leader di questa Comunione hanno inviato una lettera alla Santa Sede nell'ottobre 2007 per chiedere la piena unità con la Chiesa cattolica.

Hanno dichiarato la propria adesione alla dottrina cattolica, ma hanno anche espresso il desiderio di conservare alcune tradizioni anglicane.

La Congregazione per la Dottrina della Fede ha risposto nel luglio 2008 impegnandosi a prendere in considerazione questa possibilità.

L'anno dopo, il 20 ottobre 2009, il Prefetto della Congregazione, il Cardinale William Levada, ha annunciato l'intenzione di Benedetto XVI di creare una forma che permettesse a questi gruppi anglicani di entrare in piena comunione con la Chiesa cattolica.

Alcuni giorni dopo, il 9 novembre, è stata pubblicata la "Anglicanorum Coetibus".

'Anglicanorum coetibus'. Il card. Levada: un tradimento dell'ecclesiologia cattolica non abbracciare questi gruppi con i doni che essi recano

"Armonizzare i suoni come in una sinfonia": il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il card. William Joseph Levada, ha utilizzato questa metafora per sottolineare, in un intervento nei giorni scorsi, l'apporto degli anglicani alla Chiesa Cattolica, alla luce della Costituzione Apostolica "Anglicanorum coetibus" di Benedetto XVI. Parlando in occasione di un incontro presso il Newman Center della Queen's University a Kingston, in Canada, il prefetto ha affermato che gli anglicani che desiderano entrare nella piena e visibile comunione con la Chiesa cattolica "forniranno un suono distinto nella comunità ecclesiale, nella maniera in cui i differenti strumenti di un'orchestra concorrono a creare una sinfonia". E ha specificato: "Quando un individuo, o ancor più, una comunità è pronta per l'unità con la Chiesa di Cristo che sussiste nella Chiesa Cattolica, costituirebbe un tradimento dei principi e degli obiettivi ecumenici cattolici il rifiuto di abbracciarli, assieme ai doni distintivi che arricchiscono la Chiesa e che aiutano il suo approccio "sinfonico" nei confronti del mondo, ovvero suonando insieme o uniti". Riferendosi poi al processo che ha portato alla pubblicazione della Costituzione Apostolica, il cardinale ha osservato che si tratta "del logico risultato" di anni di dialogo, a partire dallo storico incontro nel 1966 tra Paolo VI e l'arcivescovo di Canterbury, Michael Ramsey. In particolare, ha aggiunto che il risultato ottenuto è "uno dei frutti" del lavoro ultratrentennale dell'Anglican-Roman Catholic International Commission (Arcic) che ha prodotto una serie di documenti su vari temi di fede. Il prefetto ha quindi ribadito che "costituirebbe un tradimento dell'ecclesiologia cattolica non abbracciare questi gruppi di anglicani con i doni che essi recano" nell'ambito della missione al servizio dell'amore di Cristo e ha infine sottolineato il sentimento di speranza e l'impegno che accompagneranno gli ulteriori progressi nel cammino verso la realizzazione dell'aspirazione alla piena e visibile unione nell'unica Chiesa, portando a esempio, a tal proposito, l'istituzione di una terza commissione per il dialogo tra cattolici e anglicani, avvenuta dopo l'incontro del 21 novembre scorso tra Benedetto XVI e l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams (foto). Il card. Levada ha fatto poi riferimento agli effetti negativi che l'ordinazione di donne vescovo avrebbe nel processo di ricerca dell'unità, puntualizzando che il sacerdozio maschile "non è una mera prassi, ma è nella natura dottrinale, e non può essere una questione relegata ai margini".

L'Osservatore Romano

Anglicani: iniziato il controesodo

Dobbiamo attendere il 22 febbraio, festa della Cattedra di San Pietro, per avere l'ufficialità delle notizie, ma il buon Damian Thompson è incontenibile, e in questi giorni ci sta anticipando non poche novità riguardo l'attuazione di "Anglicanorum Coetibus", cioè il piano di Papa Benedetto per il ritorno degli anglicani in piena comunione con Roma.
Sappiamo che in Australia sia la Traditional Anglican Communion, cioè quella Chiesa anglicana indipendente che ha messo in moto il processo per giungere agli ordinariati personali, sia l'associazione Forward in Faith, cioè gli anglicani veri e propri, ma di orientamento tradizionale-cattolico, vogliono unire le forze per un unico Ordinariato e hanno già formalmente fatto le necessarie richieste.
Nel frattempo un'altra notizia grossa ha colpito la rete: il vescovo ausiliare di Newcastle in Inghilterra, Paul Richardson (63 anni) si è convertito silenziosamente il mese scorso al cattolicesimo. Senza scalpori ha lasciato la veste paonazza e i non pochi privilegi del suo status per diventare un semplice laico della diocesi londinese di Southwark. Il controesodo sta iniziando. Speriamo - dice sempre Thompson - che i vescovi di Inghilterra e Galles sia accoglienti come vuole il Papa (e come impone il vangelo) con questi fratelli cristiani di ritorno (cosa non del tutto scontata).

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Michael Nazir-Ali. Io, vescovo della Chiesa d’Inghilterra, vi spiego perché il mio più grande desiderio è l’unità con Roma

di Rodolfo Casadei

Un giovane vescovo anglicano pakistano, figlio di musulmani sciiti convertiti al cristianesimo, viene minacciato per il suo impegno sociale a fianco dei lavoratori poveri ridotti in schiavitù e perché si oppone al processo di islamizzazione integrale del paese avviato dal presidente Zia-ul-Haq. Per proteggerlo l’arcivescovo di Canterbury lo chiama in Inghilterra e gli affida l’organizzazione della Conferenza di Lambeth, lo storico sinodo della Comunione anglicana nel mondo. Notandone le grandi qualità lo trattiene in Europa. E infatti l’ecclesiastico diventa membro della Camera dei Lord, presidente della commissione bioetica nazionale, esponente della commissione per l’unità fra anglicani e cattolici (Arcic) e infine manca di pochissimo la nomina a primate d’Inghilterra.
Nel frattempo, però, il paese cristiano che lo ha accolto e dal quale erano arrivati i missionari che avevano evangelizzato la sua gente si trasforma completamente: diventa uno strano luogo dove la compagnia aerea di bandiera permette a dipendenti islamici e sikh di indossare veli e turbanti ma licenzia una donna che si ostina a portare una piccola croce al collo; dove autorità locali puniscono un’infermiera cristiana per aver proposto a un malato di pregare; dove gli orfanotrofi cattolici sono obbligati a dare i bambini in adozione alle coppie di omosessuali e dove il governo vorrebbe imporre alle Chiese di assumere personale di convinzioni religiose e morali opposte alle loro.
Vede pure la Comunione anglicana trasformarsi in uno spazio dove ognuno fa quel che vuole. Per esempio nominare vescovi gay attivi e conviventi con un compagno. Vede le città della Gran Bretagna riempirsi di quartieri musulmani dove non è più possibile evangelizzare mentre nei paesi islamici la persecuzione contro i cristiani raggiunge nuovi vertici.
Il giovane vescovo, divenuto uomo maturo, si oppone all’andazzo e si dimette dall’episcopato per rispondere alle nuove sfide dei tempi. Per poter riparare la casa di Dio. Fonda un centro di formazione e di patrocinio dei cristiani oppressi, nel mondo ma anche nel Regno Unito (l’Oxford Centre for Training, Research, Advocacy and Dialogue). Molti anglicani cominciano a considerarlo il loro leader. È la storia di Michael Nazir-Ali, vescovo pakistano più inglese della maggioranza degli inglesi e più anglicano della maggioranza degli anglicani. Uomo dall’eloquio soffice che scaglia, composto, frecce appuntite.

Dottor Nazir-Ali, la crisi dell’identità britannica è un tema all’ordine del giorno, sul quale lei non si tira mai indietro. Quali sono le sue radici e quali i frutti più velenosi?
Le radici della crisi hanno a che fare con la perdita del discorso cristiano nello spazio pubblico, nelle istituzioni formative e nelle famiglie. Non c’è più una narrazione comune in base alla quale si sviluppa l’esistenza, è diventato estremamente difficile riconoscere un senso alla vita personale, alle politiche sociali, agli avvenimenti pubblici. Oggi ci si affida ai sondaggi per prendere decisioni di contenuto morale, conta solo quello che dice la maggioranza in un dato momento. E se l’opinione pubblica oppone resistenza a una certa proposta, si ripetono campagne mediatiche finché non cede. Lo stiamo vedendo con l’introduzione dell’eutanasia e del suicidio assistito. Tutto è cominciato negli anni Settanta, con l’efficace campagna contro la famiglia tradizionale. Quella, direi, è stata l’origine di tutto il resto.

Il numero di coloro che parlano di fallimento dell’opzione multiculturalista britannica è in costante crescita. Lei è stato uno dei primi a esprimere un simile punto di vista. Cosa è andato storto nell’esperimento?

Quando nel Regno Unito sono arrivate le prime ondate migratorie di diverso background culturale e religioso, si sarebbe dovuto dire: «Siamo un paese costituito dalla tradizione giudaico-cristiana, vi diamo il benvenuto su questa base». Avremmo dovuto esercitare l’ospitalità cristiana, invece abbiamo applicato una vuota tolleranza secolarista, all’insegna del «noi viviamo le nostre vite, voi vivete le vostre». Così le comunità degli immigrati si sono sviluppate separatamente, questo ha favorito il loro ripiegamento su stesse e il sorgere di forme di estremismo. In realtà non si può dire che il multiculturalismo è fallito: semplicemente, ha dato vita a società parallele, isolate fra loro; ha reso impossibile l’integrazione, che ha bisogno di una storia comune e valori condivisi, che in Gran Bretagna sono quelli cristiani.

Venti parlamentari di diversi partiti hanno firmato una dichiarazione intitolata “70 milioni sono troppi” per chiedere al governo di frenare l’immigrazione, perché metterebbe a repentaglio «la futura armonia della nostra società». Che ne pensa?

La Gran Bretagna è un’isola, per cui certamente non può accogliere un numero infinito di abitanti. Ma è anche una nazione che ha bisogno di manodopera qualificata e di mantenere la sua vocazione commerciale. Io credo che molto più importante del numero degli immigrati è la loro qualità: chi viene qui deve avere simpatia per il fondamento giudaico-cristiano della nostra società, deve essere disponibile ad adattarsi ad esso. Certamente deve poter dare anche il suo apporto originale, ma non in un vuoto.

Molti non credono sia più possibile restaurare la tradizionale identità britannica.

Dobbiamo far capire loro che senza il fondamento cristiano i valori più importanti della convivenza sociale sono in pericolo. Prendiamo la dignità inviolabile della persona e l’uguaglianza. Su cosa si fondano? Sulla rivelazione biblica che asserisce la comune origine di tutti gli esseri umani e la loro creazione da parte di Dio. Se togliamo questo, possono facilmente ricrearsi le condizioni che in passato hanno portato alla formulazione delle dottrine razziste, giustificate su presunti fondamenti scientifici, che tante tragedie hanno causato all’Europa. Del resto qualcosa di simile si ripete oggi con la manipolazione degli embrioni, per la quale non si riconoscono limiti. Non si accettano risposte morali alla questione, si pensa che siano suffcienti quelle scientifiche.

A proposito: lei è stato per sei anni presidente del comitato etico e giuridico della Human Fertilisation and Embryology Authority, che ha molti poteri in materia. Come spiega che le normative britanniche sono le più permissive d’Europa?

Se non hai una visione fondamentale della persona umana, ma insegui solo gli sviluppi tecno-scientifici, perché non dovresti essere permissivo? Nei primi tempi la fecondazione assistita mostrava uno speciale rispetto per l’embrione, ma man mano quel rispetto si è fatto sempre più precario e parziale. Oggi si producono ibridi uomo-animale, giustificandosi col dire che vengono subito distrutti.

[... supponiamo che manchi una parte del testo. NdR]

Ma cosa accadrà nel futuro, ora che è stata aperta anche questa porta?

L’islam radicale è diventato parte del panorama britannico, specialmente nella componente giovanile della comunità musulmana.

Come è potuto accadere?
L’islam radicale è parte del panorama mondiale, a partire dai molti paesi musulmani nei quali produce una tremenda instabilità politica e sociale. Quello che succede nel Regno Unito è riflesso di quello che succede nel mondo. Negli anni Sessanta il profilo dei musulmani britannici era pietistico-devozionale. Poi sono sorte le moschee deobandi, sono entrati nel paese imam radicali senza il filtro delle autorità, i giovani sono stati sottoposti a un certo tipo di formazione che oggi prosegue attraverso internet, e così sono sorti i gruppi radicali.

Si sarebbe potuto impedire la deriva con una più attenta politica di integrazione?

Il governo non ha avuto nessuna politica di integrazione fino a pochissimo tempo fa. La parola d’ordine era multiculturalismo, che ha significato lasciare la gente a se stessa. Non si è fatto nulla per far sì che la gente imparasse a vivere insieme. Ancora oggi ci sono autorità locali che favoriscono la nascita di quartieri interamente islamici e la trasformazione di certe scuole in istituti frequentati esclusivamente da musulmani.

La Camera dei Lord, di cui lei è membro, sta esaminando l’Equality Bill, una proposta di legge contro le discrimimazioni che vorrebbe togliere alle Chiese la libertà di assumere personale in sintonia con le loro convinzioni e valori. A che punto siamo?

Abbiamo emendato la proposta, che ora è più rispettosa della libertà di coscienza e dell’integrità delle istituzioni religiose, ma il governo potrebbe ripresentarla. Ciò pone una questione più ampia, che riguarda questo genere di provvedimenti: se il governo continuasse a legiferare senza rispettare la coscienza dei credenti, potrebbe crearsi una situazione in cui questi sono costretti ad obbedire a Dio piuttosto che a Cesare; bravi cittadini finirebbero per essere criminalizzati e altre cose indesiderabili potrebbero accadere. Io credo che il governo sia libero di produrre leggi a vantaggio della comunità omosessuale, ma nello stesso tempo dovrebbe rispettare la coscienza dei credenti.

Come definirebbe lo stato di salute della Chiesa d’Inghilterra?

Ci sono molte parrocchie fiorenti, ma indubbiamente risentiamo del fatto di essere coinvolti nei problemi della Comunione anglicana. Solidissima convinzione di tutti gli anglicani è che noi non crediamo nulla che non sia creduto anche dagli altri cristiani. Ora, quello che è successo negli Usa e in Canada e in alcune diocesi inglesi non ha nessuna relazione con la tradizione, e i nostri partner ecumenici ci chiedono spiegazioni. Per poter dire che la nostra salute è buona dovremmo risolvere questo problema, ma purtroppo non disponiamo di un meccanismo che ci permetta di risolvere problemi di livello internazionale come quelli presenti.

Qualche mese fa lei ha detto che due cose distruggono l’unità cristiana: il «persistente peccato sessuale senza pentimento» e il «persistente e sistematico insegnamento erroneo». Davvero queste cose sono accadute nella Comunione anglicana?

Sì, sono accadute. Che i peccati sessuali gravi portano a una rottura della comunione non lo dico io, ma Paolo nella prima Lettera ai Corinti. E in molti passaggi del Nuovo Testamento è sottolineato che a chi disturba la retta fede delle comunità non deve essere concesso accesso alle medesime né data opportunità di diffondere le proprie dottrine. Tutto ciò non ha per scopo la punizione dei peccatori, ma la creazione delle condizioni per le quali l’unità infranta potrà essere risanata. Nella Chiesa episcopaliana degli Stati Uniti non si afferma soltanto che l’omosessualità deve essere permessa, ma che è un dono di Dio, che attraverso la sua pratica si realizza il bene di alcune persone. Siamo tutti peccatori bisognosi della misericordia di Dio. Ma qui un falso insegnamento giustifica un persistente peccato sessuale, è una cosa ben diversa.

La Comunione anglicana si spaccherà definitivamente?

È già spaccata. Molte province anglicane hanno già dichiarato di non essere più in comunione con le Chiese di Usa e Canada. Io stesso non prenderò più la comunione in molte diocesi e chiese anglicane nel mondo.

Nel futuro aderirà alla Fellowship of Confessing Anglicans, che come lei non hanno partecipato all’ultima Conferenza di Lambeth? Oppure aderirà alla Chiesa cattolica? O resterà nella Chiesa d’Inghilterra?
La Fellowship of Confessing Anglicans non è un gruppo scissionista, ma un movimento di rinnovamento dell’anglicanesimo. Sono stato membro per molti anni dell’Arcic e il mio desiderio più grande è l’unità fra le Chiese anglicane e la Chiesa di Roma. La proposta di Benedetto XVI di un ordinariato per gli anglicani che aderiscono alla Chiesa cattolica romana è uno sviluppo molto importante, perché per la prima volta viene riconosciuto che c’è un patrimonio anglicano specifico da salvaguardare e che si può restare anglicani entrando nella Chiesa cattolica. La conservazione della liturgia e della realtà del clero sposato sono due punti molto importanti. Su altri aspetti ho delle riserve: la proposta è un po’ “presbiteriana”, perché l’ordinariato proposto non prevede il riconoscimento di vescovi; poi non è chiara la base dei “criteri oggettivi” in forza dei quali viene accolto il clero sposato, sembrano aggirare la questione del valore della tradizione anglicana di avere sacerdoti sia sposati che celibi; infine non è sufficentemente tutelata l’integrità dell’educazione teologica anglicana, il clero rischia di essere integralmente latinizzato come è accaduto a certe Chiese orientali riunificate a Roma.

Le diverse realtà della Comunione anglicana

Londra, 10. Riflessioni sui maggiori problemi che attualmente impegnano la Chiesa d'Inghilterra verso il Governo e verso la società di questo Paese e una panoramica sui temi che oggi provocano profonde divisioni nella Comunione anglicana: questi i punti che hanno caratterizzato l'intervento di ieri dell'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, davanti ai religiosi riuniti a Londra per l'assemblea plenaria del sinodo della Chiesa d'Inghilterra.
Il discorso dell'arcivescovo di Canterbury era molto atteso da quanti desideravano ricevere un segnale del suo orientamento nei confronti delle correnti tradizionaliste della Chiesa d'Inghilterra che non ritengono di poter accettare la consacrazione di donne vescovo perché contraria alle Sacre Scritture e all'insegnamento della tradizione cristiana. Il primate Williams ha avvisato i suoi ascoltatori che le lotte interne sul problema delle donne vescovo e dei religiosi omosessuali possono sfociare in divisioni permanenti. "Ritengo possibile - ha sottolineato l'arcivescovo - che si crei una situazione in cui ci siano diversi livelli di relazioni tra coloro che si proclamano Anglicani. Questo è quel che non voglio e che neppure desidero, ma nutro il sospetto che senza un maggiore cambiamento dei nostri cuori possa divenire il modo inevitabile per limitare i danni che procuriamo a noi stessi".
All'inizio del suo intervento, Williams ha affrontato i problemi che l'Equality Bill, in discussione al Parlamento di Londra, può causare alla organizzazioni religiose. Per il primate, questo progetto legislativo che vorrebbe eliminare ogni discriminazione sui luoghi di lavoro rischia di passare il confine tra ciò che può essere una legittima decisione da parte del Governo e quello che invece può divenire una minaccia per la libertà dei cittadini.
Il tema dell'assistenza al suicidio, che nei mesi trascorsi ha suscitato forti contrasti, ha tuttavia unito cattolici e anglicani sul fronte comune della difesa della vita. Il tema è stato affrontato da Williams nel secondo punto del suo intervento. Il primate ha ribadito che "il diritto di una persona di decidere, nel pieno della sua coscienza, l'uso di uno strumento legislativo che possa assicurargli l'assistenza al suicidio comporta il rischio che altre persone, non nelle stesse ideali condizioni, possano essere manipolate, forzate o, semplicemente, rese depresse". Ovviamente il suicidio - ha sottolineato - non può comunque essere accettato dai fedeli. Un altro punto toccato da Williams è stato quello della "visione tridimensionale" della realtà intorno a ciascuno di noi. "Guardando qualcosa in modo tridimensionale - ha notato l'arcivescovo - ci si accorge che non è possibile osservare il tutto contemporaneamente". Partendo da questa constatazione, Williams ha spronato i membri del sinodo a guardare le diverse realtà religiose della Comunione anglicana in modo più completo, tenendo conto che esse sono influenzate e condizionate da diverse situazioni.
L'arcivescovo ha quindi ricordato le esperienze da lui vissute nel corso delle visite a vescovi e parrocchie delle 47 province della Comunione per fornire esempi di come in essa vi siano esigenze religiose in forte contrasto. Ricordando la sua visita agli episcopaliani statunitensi, il primate anglicano aveva constatato come, per questo gruppo, il problema del riconoscimento del diritto degli omosessuali a esercitare il ministero religioso fosse al centro del dibattito. Al contrario, nel corso della sua visita alle comunità anglicane della Malaysia, Williams aveva accertato che i fedeli di questo Paese, in stretto contatto con le comunità musulmane, respingono totalmente il tema dell'omosessualità ritenendolo immorale.
Recentemente, in Africa, Williams ha constatato che molte comunità anglicane di diversi Paesi del continente appoggiano pienamente legislazioni con carattere apertamente anti-omosessuale. Nell'esposizione delle sue esperienze in diversi Paesi, Williams non ha dimenticato anche di ricordare il coraggio dei pastori donna che si battono in difesa dei più emarginati. Ha citato la parrocchia di St. Ann nel South Bronx a New York dove la responsabile ha avviato corsi post-scolastici per i bambini delle famiglie più povere. Ha anche ricordato una parrocchia di New Orleans, visitata un paio di anni addietro, dove i fedeli episcopaliani hanno costruito con i loro mezzi l'edificio della chiesa per soddisfare il bisogno d'amore per Dio.
Al termine dell'intervento, Williams ha invitato i membri del sinodo e tutti i fedeli anglicani a rivolgersi in preghiera a Dio, il solo in grado di illuminare i fedeli con il suo amore e chiarire i tanti aspetti del mondo tridimensionale per mezzo della fede.
Nella giornata di oggi, i membri del sinodo si stanno occupando, tra gli altri temi, dei rapporti tra la Chiesa d'Inghilterra e l'Anglican Church in North America, costituitasi dopo che molti fedeli episcopaliani hanno dissentito dalla decisione presa lo scorso anno durante l'assemblea generale in California di nominare vescovi religiosi e religiose che hanno unioni con persone omosessuali.

(©L'Osservatore Romano - 11 febbraio 2010)

Il Papa supera il dibattito delle radici cattoliche dell'anglicanesimo

Secondo Dermot Quinn, docente della Seton Hall University


di Francisco Javier Tagle Montt

SANTIAGO DEL CILE, lunedì, 8 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Benedetto XVI "pone fine al dibattito sulle radici cattoliche e apostoliche dell'anglicanesimo" iniziato due secoli fa, conferma Dermot Quinn, docente di Storia presso la Seton Hall University degli Stati Uniti.

Il membro del direttorio del Chesterton Institute for Faith & Culture ha analizzato nell'ultimo numero della rivista "Humanitas", della Pontificia Università Cattolica del Cile (www.humanitas.cl), le implicazioni della Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus.

Il documento è stato firmato dal Pontefice il 4 novembre per istituire "Ordinariati Personali per Anglicani che entrano nella piena comunione con la Chiesa Cattolica".

Secondo l'esperto, la Costituzione Apostolica non si limita alle esigenze liturgiche, ma affronta anche la questione dell'autorità: "la sua effettiva scomparsa in una comunione e il suo effettivo esercizio in un'altra".

"Più che di questo, tratta della fonte dell'autorità, che in definitiva non è il Papa, ma Cristo stesso", segnala.

La Costituzione Apostolica ha l'obiettivo di fornire "supervisione e guida pastorale" agli anglicani che nel corso degli anni hanno cercato una comunione più stretta con il cattolicesimo.

"E' stato subito chiaro che il gesto del Santo Padre non era un'iniziativa, ma una risposta. Di recente, segnala il documento, gruppi di ex anglicani avevano chiesto 'più volte e insistentemente' di essere ricevuti nella piena comunione con Roma. Il Papa avrebbe potuto difficilmente rifiutarsi di ascoltare queste richieste", spiega Quinn.

La Comunione Anglicana Tradizionale si è separata da Canterbury nel 1991, e da allora, indica il docente, molti dei suoi 400.000 membri hanno espresso il desiderio di unirsi a Roma avendo la possibilità di conservare le proprie forme di preghiera.

"Siamo in presenza di una Comunione che manifestamente non è in comunione neanche con se stessa. E' ciò che succede quando una Chiesa contiene elementi cattolici e protestanti. E' quello che avviene quando le autorità accettano dei compromessi. E' ciò che significa non avere un Papa".

Il docente della Seton Hall University constata che "l'Anglicanorum coetibus pone fine al dibattito sulle radici cattoliche e apostoliche dell'anglicanesimo iniziato dal Movimento di Oxford quasi due secoli fa. In ultima istanza, il Santo Padre segnala chiaramente che se la cattolicità e l'apostolicità non sono romane non sono nulla".

Secondo Quinn, è un esempio di ciò che John Henry Newman definiva, nel suo famoso sermone intitolato "La seconda primavera", "una garanzia concessa a noi da Roma del suo amore che non si indebolisce".

"Chi vede questo in altro modo non ha compreso il suo vero senso. Ad ogni modo, il gesto di Benedetto XVI non è stato debitamente compreso da molti anglicani, e non lo hanno capito neanche molti cattolici", constata.

"L'Anglicanorum coetibus non è una nuova 'aggressione papale' (come hanno denunciato alcuni), ma un esercizio di compassione pastorale".

L'accademico nordamericano ricorda che, "quando è stato eletto, alcuni cattolici si lamentavano del fatto che Benedetto XVI si sarebbe accontentato di una Chiesa più piccola ma 'più pura'. Ora questi stessi cattolici si lamentano del fatto che la stia espandendo".

In questo senso, segnala che "il cattolicesimo liberale collassa in uno strano spettacolo di sacerdoti che respingono con sdegno persone che desiderano convertirsi al cattolicesimo e ridicolizzano definendolo intollerante il Papa che desidera accoglierle".

"Dopo tutto, un Papa capace di trovare uno spazio per gli ex anglicani e gli ex lefebvriani è più di tutto aperto al dialogo, aperto a nuove sistemazioni, aperto a soluzioni creative per problemi storicamente spinosi. E' questo che significa essere un Pontefice: un costruttore di ponti", dice Quinn.

In definitiva, spiega che "se è necessario vincere la battaglia, Benedetto XVI si rende conto che questo si otterrà solo con l'unità con Roma".

"La Riforma è iniziata con un tedesco. Sarebbe molto bello se potesse terminare con un altro", conclude.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

Graham Leonard fece grande la Chiesa anglicana e divent; cattolico

Nacque l’8 maggio 1921. Nacque a
Monkton Combe, nel Somerset, vicino alla
città di Bath. Era figlio di un pastore
evangelico. Studiò nella scuola cristiana e
tradizionalista del villaggio, dove si leggeva
la Bibbia alla lettera e si insegnava il
valore patriarcale della famiglia. A undici
anni scoprì in una missione della Londra
a sud del Tamigi che la religiosità che
lo commuoveva era quella delle processioni
e delle nuvole d’incenso. A Oxford
studiò botanica e conobbe la moglie. Nel
1941 si arruolò, nel 1943 si sposò. Congedato
nel 1945, portò nello studio della teologia
a Cambridge le esperienze scientifiche
di Oxford e la sensibilità per le questioni
legali che aveva acquisito lavorando
nelle corti marziali durante la guerra.
Nel 1955 incominciò la carriera ecclesiastica
come curato a Cambridge. Nel 1955
era direttore dell’educazione religiosa
della diocesi di St. Albans e canonico della
cattedrale. Nel 1958, ormai famoso conferenziere,
fu nominato segretario del
Consiglio delle scuole d’Inghilterra. Nella
nuova funzione riuscì a ottenere dal governo
finanziamenti sostanziosi per l’insegnamento
religioso. Nel 1964 era vescovo
suffraganeo di Willesden. Si fece notare
per la sua opposizione nel progetto di riunificazione
tra la chiesa anglicana e la
chiesa metodista. Nel 1969 concorse all’elezione
per la diocesi di St. Andrew in
Scozia, gli fu offerta invece una diocesi
australiana. Rinunciò. Nominato vescovo
di Truro, in Cornovaglia, si sentì così a suo
agio nella solida tradizione anglo-cattolica
della nuova diocesi che si permise di
mantenere ottimi rapporti con i metodisti.
Era consigliere dell’arcivescovo di Canterbury
per i rapporti internazionali
quando nel 1978 provocò malumore, stigmatizzando
i comportamenti affettivi della
principessa Margaret, sorella minore
della regina. La sua nomina alla diocesi
di Londra, gradita dalla maggioranza dei
fedeli, osteggiata dalle gerarchie della
chiesa, fu decisa dal primo ministro Margaret
Thatcher, che apprezzava le sue posizioni
tradizionaliste e conservatrici.
Nella concezione della chiesa di Leonard
non c’era posto per il sacerdozio delle
donne. Quando capì che la sua opposizione
era vana chiese un colloquio con il
nunzio apostolico. Il cardinale gli suggerì
di rimanere nella chiesa anglicana, per
amore di ecumenismo. Leonard non si lasciò
convincere. Fu accolto nella chiesa
cattolica nel 1994. E’ morto mercoledì 6
gennaio.

Il Foglio 9 gennaio 2010

GITA NELLA TEOCRAZIA LIBERALE. Un paese che ha il pudore di separare Dio e politica, però up to a point. E Cameron ha un consigliere teologo

di Antonio Gurrado
Oxford. “We don’t do God”, non trattiamo
Dio. Il reporter di Vanity Fair
che nel 2003 tentò di interrogare esplicitamente
Tony Blair riguardo alla
sua fede cristiana assistette all’inedita
scena dello spin doctor Alistair
Campbell che si frapponeva fisicamente
fra intervistatore e intervistato
per zittire il primo ministro, in maniera
tale da impedirgli di fornire una
qualsiasi risposta che secondo lui
avrebbe finito per danneggiare l’immagine
del Labour indipendentemente
dal contenuto. Mentre la domanda
sulla fede personale di Blair ha trovato
col tempo una risposta chiara – che
però è arrivata solo dopo il termine
del mandato – lo spettro della risposta
“I’m sorry, we don’t do God” ha continuato
ad aleggiare sulla politica inglese
causando reticenze, risposte arzigogolate
e non pochi imbarazzi da parte
di politici e commentatori posti di
fronte alle tante possibili sfaccettature
di una domanda ben precisa: l’Inghilterra
ha una politica religiosa?
La prima e più banale risposta arriva
dalla storia. Com’è noto l’Inghilterra
– ma non l’intera Gran Bretagna –
gode di una established Church, ossia
di una Chiesa istituzionale il cui governatore
supremo coincide con il
monarca ma il cui principale ruolo religioso
è ricoperto dall’Arcivescovo di
Canterbury. In nessun altra grande
nazione dell’Occidente l’istituzione
politica e l’istituzione religiosa sono
così strettamente collegate. Per quanto
ampie porzioni di territorio britannico
si siano via via distaccate dal primato
di Canterbury, l’intreccio fra Stato
e Chiesa resiste saldamente da secoli
ed è stato storicamente considerato
un fondamento della teoria politica
inglese. Nel 1736, per esempio, il
mordace vescovo di Gloucester William
Warburton pubblicava un’Alleanza
fra Chiesa e Stato allo scopo di
difendere dagli attacchi dei liberi
pensatori la test-law, ossia il criterio
di attribuzione della cittadinanza in
base alla fede religiosa del suddito.
Per quanto démodé, Warburton è
indicativo di come l’intreccio fra
Chiesa e Stato in Inghilterra non fosse
comunemente inteso quale reciproco
asservimento quanto come garanzia
dell’indipendenza di entrambi:
“Lo Stato, non prendendosi cura
delle anime, non ha possibilità di ingerire
nel campo della religione e
quindi cerca l’aiuto della Chiesa; la
Chiesa, non avendo potere coercitivo
poiché le sue cure non sono rivolte ai
corpi, ha naturale interesse a vagheggiare
protezione da parte dello Stato”.
Rispetto al 1736 sono cambiate
meno cose di quante ci si possa aspettare,
se non altro a livello istituzionale.
Il procedimento che ha portato
dall’Alleanza fra Chiesa e Stato di
Warburton al “we don’t do God” di
Alistair Campbell è stato principalmente
un mutamento psicologico nella
sensibilità collettiva dei sudditi inglesi
e ancor più nella percezione
dell’elettorato da parte della classe
politica.
L’autorevole columnist del Guardian
Polly Toynbee, interrogata dal
Foglio, conferma che la brusca risposta
di Campbell era in realtà frutto
della “lunga tradizione di politici britannici
che hanno separato recisamente
la fede privata dall’azione pubblica”.
Le due cose, spiega, non sono
interdipendenti né l’elettorato le percepisce
come tali. “Pur evitando di
prendere posizione riguardo alla propria
fede personale, ad esempio, Blair
ha favorito l’incremento del numero
delle scuole religiose, aumentate del
30 per cento nel corso del suo governo:
e si trattava di scuole che facevano
capo tanto alla Chiesa d’Inghilterra
quanto alla Chiesa Cattolica, con
una significativa percentuale di scuole
islamiche”. E’ dunque plausibile
che l’elettorato approvi una maggiore
apertura ai servizi pubblici di natura
religiosa ma al contempo sia istintivamente
ostile alla manifestazione del
credo privato? “Be’, basti pensare che
le scuole religiose applicano una selezione
degli alunni su criteri informali,
quindi molte famiglie della middle
class si sforzano di frequentare la propria
chiesa finché non riescono a ottenere
l’ammissione dei propri figli nella
scuola. Dopo di che smettono: infatti
il tasso di presenza costante dei fedeli
britannici in un luogo di culto è
in caduta libera, raggiungendo una
media del 12 per cento se si considerano
tutte le confessioni”.
E’ interessante notare come alla
stessa domanda arrivi una risposta
opposta – perfino in termini numerici
– da Andy Flannagan: “Le ultime rilevazioni
testimoniano che il 71% degli
Inglesi si definisce Cristiano, quindi
non è plausibile che una larga parte
dell’elettorato respinga automaticamente
la mera menzione della fede in
politica”. La vita pubblica di Flannagan,
personaggio affascinante, ruota
tutta intorno a questa convinzione.
Medico, cantante e laburista, Flannagan
dirige il Christian Socialist Movement
(www.csm.org.uk), un think-tank
affiliato al Labour che si propone di
costituire “una coscienza profetica
nel partito e una voce profetica nelle
chiese” traducendo in impegno politico
un mandato religioso che si fonda
sulla consapevolezza che “siamo chiamati
a seguire Dio amando i poveri,
proteggendo le vedove, i rifugiati, gli
orfani e opponendoci fieramente a
ogni tipo di ingiustizia, piccola o grande”.
La grande sfida di Flannagan
consiste nel conquistare la fiducia di
un elettorato sospettoso che “in politica
la religione possa essere strumentale
a far leva sul credo individuale”.
Se Toynbee punta il dito sul calo di
presenze nei luoghi di culto, Flannagan
sottolinea invece che le giovani
generazioni tendono a non iscriversi
più a nessun partito a causa di un deficit
motivazionale che dipende anche
dalla “capacità di distinguere chiaramente
la fede ipocrita di alcuni politici
da una fede saldamente fondata su
valori concreti”.
Parrebbe quasi che Flannagan si
proponga di controbilanciare la reticenza
di Campbell. Il CSM tratta Dio,
e come: il suo sito fiorisce di riferimenti
alla Bibbia e cita a piene mani
non solo Gesù Cristo ma anche figure
di secondo piano come Mica e Amos.
“Tuttavia quello che cerchiamo di fare”,
spiega Flannagan al Foglio, “è di
non tirare in ballo Dio a ogni occasione
possibile; vogliamo solo patrocinare
una politica che corrisponda ai valori
diffusi del Regno Unito dicendo
però chiaramente da dove derivano,
in contrasto con lo sproposito di presunti
valori contemporanei dalle origini
decisamente non chiare”. Non
deve sorprendere che un movimento
interno a un partito di sinistra proclami
di perseguire una politica sociale
fondata su principii religiosi. Polly
Toynbee, che della sinistra è spesso
giudice più che severa, ricorda che “i
socialisti cristiani hanno una notevole
tradizione in quanto il Labour è
originariamente figlio del metodismo”.
Ciò nondimeno, tranquillizza,
“si tratta di un’innocua minoranza
senza alcun peso”.
E’ dunque il caso di cercare di stabilire
dove finisca l’effettiva ostilità
dell’elettorato nei confronti di un politico
troppo caratterizzato religiosamente
e dove invece inizi il timore ingiustificato
del politico stesso. Un recente
articolo dell’Economist (“Missionary
positions”, 27/11/09) citava oltre
al CSM ben due think-tank conservatori
che testimonierebbero il crescente
influsso della sfera religiosa
nella politica inglese. Il più rinomato
è il Centre for Social Justice
(www.centreforsocialjustice.org.uk)
presieduto da Iain Duncan Smith, leader
dei Tory dal 2001 al 2003 e, come
messo in risalto dallo stesso Economist,
“fervente cattolico”. Lo scorso 20
novembre Duncan Smith ha pubblicamente
definito il CSJ non tanto un
“think-tank” quanto un “do-tank”, poiché
piuttosto che di produrre teorie
politiche si vanta di coordinare oltre
150 associazioni benefiche in uno sforzo
sociale senza precedenti (va però
specificato che il sito del CSJ riporta
altrettanto orgogliosamente il titolo di
“think-tank of the year” insignito dal
mensile Prospect). Il più recente è invece
Res Publica (www.respublica.
org.uk), che è stato inaugurato lo scorso
26 novembre e che pur dichiarandosi
tecnicamente apartitico ha già incassato
l’esplicito interesse di David
Cameron. Il suo fondatore Philip
Blond, teologo di formazione e teorico
del new conservatism, mira piuttosto
ambiziosamente a “un capitalismo
fondato sulla reciprocità e su uno
scambio libero, aperto e onesto” che
sia frutto di un complessivo ripensamento
della politica britannica – tanto
che lo slogan di Res Publica è
“cambiare i termini del dibattito”.
Un cattolico e un teologo, secondo
l’Economist, dovrebbero garantire un
chiaro afflato religioso all’impegno sociale
patrocinato dai due think-tank e
una maggiore differenziazione della
fede fra i Tory, così che, come ci conferma
Polly Toynbee, “la Chiesa d’Inghilterra
non sia più il partito Conservatore
inginocchiato a pregare”. Dovrebbero
insomma, estremizzando,
“do God”. Resta però paradossalmente
proprio fra i conservatori una maggiore
reticenza al riguardo. Philippa
Stroud, direttrice del CSJ, con estrema
gentilezza ma altrettanta fermezza
preferisce non esprimersi sull’eventuale
afflato religioso sottostante all’impegno
di Duncan Smith per una
“reazione decisa alla progressiva e inveterata
degenerazione sociale della
Gran Bretagna” né sull’eventualità
che un politico dichiaratamente cattolico
possa venire ritenuto da molti
conservatori orgogliosamente membri
della Chiesa d’Inghilterra un valido
garante del peso della fede, sia pure
differente, nell’azione politica. Leggendo
e rileggendo l’unico ma densissimo
discorso di Philip Blond, allo
stesso modo, è chiaro che la sua strenua
tensione verso “uno stato finalmente
civile, un mercato finalmente
morale e una società finalmente comunitaria”
giace su un sostrato di
pensiero religioso colto e ben ancorato
alla realtà concreta. Pare tuttavia
che il teologo abbia convogliato ogni
suo sforzo su uno slalom arditissimo
per evitare di citare Dio o qualsiasi altro
tema religioso anche una sola volta,
ascrivendo il proprio impegno per
“il bene comune” a una “radicale trasformazione”
del partito che tenga
conto non di fondamenti morali o tradizioni
religiose ma esclusivamente
della propria stessa storia politica:
“nel suo passato più nobile il conservatorismo
si è preso cura del mondo e
di chi lo abita”.
Non è da escludersi dunque che la
reticenza dei politici rispetto alla religione
vada ascritta soprattutto a un
eccesso di prudenza culturale. Parrebbe
testimoniarlo anche un recente
editoriale dell’Observer (“A subtle
champion of the faith”, il 22 novembre
scorso) che elogia la “cauta diplomazia”
dell’arcivescovo di Canterbury in
contrasto con lo stile di Benedetto
XVI, colmo invece di scelte nette che
dividono anziché unire. Proprio in
quanto esponente di una chiesa istituzionale
e come tale necessariamente
politica, argomenta l’Observer, Rowan
Williams ha il compito di essere
un’autorità morale riconoscibile da
tutta la nazione e non solo dai membri
della sua Chiesa, facendo sì che il suo
atteggiamento venga “apprezzato da
chi ha una fede differente o da chi
non appartiene a nessuna confessione”.
Il paradosso di un arcivescovo
che di fronte all’opinione pubblica deve
ergersi a garante (anche) degli atei
può essere ritenuto il correlativo oggettivo
della crescente timidezza politica
in materia di fede. È come se l’ateismo
inglese oggettivamente dilagante
– talmente dilagante da pretendere
uno spazio apposito in “Thought
for the day”, trasmissione religiosa di
BBC4 – avesse via via sottratto istituzionalità
alla Chiesa d’Inghilterra ergendosi
a interlocutore sotterraneo
delle autorità politiche.
Una controprova deriva proprio
dai contenuti della politica religiosa
inglese così come la si può evincere
dai programmi del CSJ, di Res Publica
e del CSM. Contrariamente a quanto
accade in altre nazioni – come gli
Usa o l’Italia – in cui la religione viene
citata soprattutto in menzione della
politica su nascite, famiglie e morti,
in Inghilterra l’impegno religioso
più o meno esplicito verte quasi
esclusivamente sul comportamento
verso i meno abbienti. Il CSJ si caratterizza
anzitutto come coordinamento
di associazioni benefiche; Res Publica
delinea il new conservatism sul dovere
di “prendersi cura della collettività”;
solo il CSM rivendica un “impegno
radicale per appianare ogni ingiustizia
sociale” che si esplicita tanto
nel “dettare un’agenda politica”
quanto nell’“incontrarsi con regolarità
per pregare”.
Ora, per venire incontro ai bisogni
del prossimo è necessaria la fede?
Polly Toynbee si dice certa di no e
sciorina statistiche che dimostrano
come “le associazioni di volontari siano
spesso composte soprattutto da
gente che non va in chiesa”. Lo stesso
Andy Flannagan ammette di buon
grado di conoscere molti “atei compassionevoli”
– usando forse maliziosamente
lo stesso aggettivo spesso associato
al new conservatism di David
Cameron, mai così attento alle classi
più deboli. Allora cos’è che distingue
la sua visione da qualsiasi altra solida
politica sociale? “L’assoluta certezza
che la Gran Bretagna avrebbe
una società migliore se ogni individuo
lasciasse dentro di sé un po’ più di
spazio per Dio. Senza il senso di una
grande storia, senza lo sforzo di perseguire
il bene comune, tendiamo tutti
a un individualismo i cui effetti sono
divenuti chiari nel corso degli ultimi
trent’anni. In tutto il mondo, delle
comunità si impegnano per il mutuo
sostegno sociale; ma queste idee riescono
a fiorire solo e soltanto quando
hanno per pietra di paragone la grande
storia della speranza apportata dal
Cristianesimo, l’unica benzina capace
di far percorrere – come dice il poeta
– the road less travelled, la strada meno
battuta. La degenerazione consumistica
ed egoistica è così forte che la
si può combattere solo con principi
comuni basati su valori profondi ed
eterni.” Flannagan è un professionista
e un artista che si proclama prestato
alla politica per mero altruismo,
quindi si permette termini così espliciti
perché non ha un bacino elettorale
al quale renderne conto. Nella sua
risposta brilla il valore aggiunto del
laburismo cristiano del CSM, un po’
ingenuo e un po’ visionario ma sicuramente
più entusiasmante di mezze
parole e imbarazzati silenzi: Andy
Flannagan does God.

Il Foglio 8 dic. 2009

Per la prima volta gli episcopaliani, il ramo americano della Comunione anglicana, ha eletto vescovo ausiliare di Los Angeles un vescovo omosessuale

Circa l'elezione di due vescovi ausiliari di Los Angeles

L'allarme del primate anglicano
per le scelte degli episcopaliani


Washington, 7. Per la prima volta gli episcopaliani, il ramo americano della Comunione anglicana, ha eletto vescovo ausiliare di Los Angeles un vescovo apertamente omosessuale. Il reverendo Mary Glasspool, 55 anni, che da più di vent'anni anni ha una relazione con un'altra donna, è stata eletta vescovo nel corso della tradizionale convention annuale della diocesi: ha ottenuto 153 voti tra gli esponenti del clero e 203 voti dagli esponenti laici, ottenendo così la maggioranza richiesta dei suffragi.
Insieme con Glasspool un'altra donna, Diane Jardine Bruce, 53 anni, è stata eletta vescovo ausiliare della diocesi di Los Angeles. Secondo quanto riferisce il "Los Angeles Times", è la prima volta in 114 anni che delle donne vengono elette vescovo della diocesi. La scelta di Mary Glasspool dovrà ora essere convalidata dai vescovi delle 108 diocesi episcopali del Paese.
La notizia dell'elezione della Glasspool è stata commentata con allarme dal primate della Comunione anglicana, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, il quale si è detto preoccupato per l'elezione a vescovo di una donna apertamente omosessuale. "L'elezione apre questioni molto serie, non solo per la Chiesa episcopale e il suo posto nella Comunione anglicana, ma per l'intera Comunione", ha spiegato l'arcivescovo in un intervento pubblicato sul sito in rete. Il processo di selezione del vescovo episcopaliano di Los Angeles è stato completato solo in parte, ha però ricordato Williams: "L'elezione deve essere confermata, o potrebbe essere rigettata, dai vescovi diocesani e dalle commissioni diocesane in carica". In ogni caso, ha spiegato il primate anglicano, tale decisione "avrà implicazioni molto importanti. I vescovi della Comunione hanno collettivamente riconosciuto che un periodo di cortese restrizione riguardo alle azioni che possono essere contrarie al sentire della Comunione stessa è necessario, se si vogliono mantenere i nostri legami di mutuo affetto".
La nomina di Los Angeles arriva dopo che gli episcopaliani - circa due milioni di fedeli negli Stati Uniti - nel luglio dello scorso anno hanno tolto il bando alla consacrazione di vescovi omosessuali, posto quattro anni fa. Divergenze su questo tipo di scelta si erano verificate già nel 2003, con la nomina del primo vescovo omosessuale, Gene Robinson del New Hampshire.


Osservatore romano 6 dic 2009

Gli ordinariati, le prelature e le circoscrizioni personali: qualche chiarimento

(intervista al Prof. Eduardo Baura a cura di Bruno Mastroianni)

La pubblicazione della Anglicanorum coetibus, la costituzione apostolica che permetterà ad alcune comunità anglicane di rientrare in comunione con Roma, ha generato interesse a proposito degli ordinariati personali e delle altre forme giuridiche non territoriali, come le prelature personali, con cui la Chiesa può organizzare se stessa.

Per fare un po’ di chiarezza ho posto alcune domande al Prof. Eduardo Baura, Ordinario di diritto canonico presso la pontificia Università della Santa Croce, che ha pubblicato diversi studi riguardanti le giurisdizioni ecclesiastiche personali (tra cui Legislazione sugli ordinariati castrensi per Giuffrè 1992; e Studi sulla prelatura dell’Opus Dei. A venticinque anni della Costituzione Apostolica “Ut sit”, di cui è stato curatore). Consultore dal 1997 della Congregazione per i Vescovi, ha tenuto diverse relazioni nei convegni di vescovi militari sulla natura degli ordinariati militari e nei convegni organizzati dal Pontificio Consiglio per la pastorale con i migranti, sugli aspetti giuridici della pastorale con i migranti e con la gente del mare.

Cosa sono i nuovi ordinariati personali per gli anglicani?
Gli ordinariati previsti dalla nuova Costituzione Apostolica sono delle circoscrizioni ecclesiastiche personali, cioè enti guidati da un Ordinario, delimitati, anziché territorialmente, da un criterio personale, in quanto comprendono soltanto i fedeli, che provenienti dall’anglicanesimo o aventi un qualche rapporto familiare con alcuni di essi, decidono liberamente di registrarsi nell’Ordinariato. Non sono le uniche circoscrizioni personali. Attualmente esistono le prelature personali previste dal Codice di diritto canonico, gli ordinariati militari, gli ordinariati rituali, oltre ad altre circoscrizioni delimitate da un criterio misto (territoriale e personale).

Quali sono i tratti specifici degli ordinariati personali? Che differenza c’è con gli ordinariati militari e le prelature personali?
Anzitutto, l’Ordinario non governa la sua circoscrizione con potestà propria, ma con potestà vicaria (esercitata in nome del Papa). A rigore, io direi che sarebbe stato più preciso averli chiamati “vicariati personali”. Un’altra caratteristica importante è costituita dal fatto che la giurisdizione dell’Ordinario sui fedeli non è cumulativa con quella dei Vescovi diocesani, vale a dire, sembra che i fedeli di questi ordinariati non siano (almeno a tutti gli effetti) fedeli delle diocesi ove hanno il loro domicilio. Queste due caratteristiche segnano, a mio avviso, un divario notevole con gli ordinariati militari e con le prelature personali, in cui i fedeli continuano ad appartenere alle diocesi di residenza, fermo restando che tutti questi enti hanno in comune l’essere circoscrizioni personali. Comunque, la Costituzione Apostolica assimila giuridicamente questi ordinariati alle diocesi, poiché la diocesi è il modello di tutte le circoscrizioni e, quindi, le circoscrizioni ecclesiastiche, siano territoriali che personali, si assimilano ad essa, alcune di più, altre di meno, salve sempre le differenze derivanti dalla natura delle cose o delle disposizioni particolari.

Assieme al testo della Costituzione Apostolica è stato diffuso un commento di Padre Ghirlanda che sostiene che gli ordinariati personali non sono assimilabili alle prelature personali perché di esse fanno parte solo i chierici.
E’ prassi abituale della Santa Sede quella di chiedere un commento esplicativo a un Consultore che ha lavorato nella stesura del documento. Naturalmente, questi commenti non hanno alcun valor normativo. La loro finalità è quella di agevolare la comprensione di alcuni aspetti nuovi del documento emanato. In questo caso, assieme alla spiegazione della nuova legge, v’è un’affermazione marginale al tema della Costituzione Apostolica, che merita però di essere chiarita. Nel confrontare questi nuovi ordinariati con le prelature personali, Ghirlanda sostiene che le prelature personali sarebbero composte esclusivamente da chierici, mentre i laici potrebbero solo cooperare con l’attività clericale. Si tratta di un’interpretazione personale che lo stesso autore avanzò poco dopo la promulgazione del Codice, più di venti anni fa, ma occorre avvertire che durante questo tempo l’approfondimento di questi temi ha portato molti canonisti, provenienti da diverse aree ecclesiali e accademiche, a rifiutare assolutamente questa tesi.

Qundi delle prelature personali fanno parte tanto i laici quanto i chierici, non è un aspetto secondario...
I fedeli di una prelatura personale non sono meri soggetti passivi di un’azione pastorale, in quanto fedeli a loro spetta un ruolo attivo nella Chiesa. A sostegno poi dell’affermazione che nelle prelature personali ci sono i fedeli laici si possono dare molte ragioni, ma basterebbe considerare che qualsiasi spiegazione non può non concludere che le prelature personali sono prelature e sono personali. Nell’ambito giuridico una “prelatura” significa l’ambito di giurisdizione di un Prelato, il quale non è soltanto l’ambito di potestà ecclesiastica, ma anche quello del dovere di compiere la missione pastorale che la Chiesa gli ha affidato. Si dice “personale” per contrapposizione a territoriale, vale a dire che l’ambito di giurisdizione e di missione si circoscrive secondo un criterio personale, come nel caso degli ordinariati militari, di altri ordinariati personali e della prelatura personale dell’Opus Dei. Non avrebbe senso parlare di prelatura “personale” se non ci fosse un popolo cristiano circoscritto secondo un criterio personale a cui si rivolge l’azione pastorale dei sacerdoti della prelatura; altrimenti avanzerebbe l’aggettivo “personale”.

Il diritto canonico cosa dice su questo punto?
Come è noto, l’unica prelatura personale finora eretta è la prelatura dell’opus Dei. Come stabilito dalla Costituzione Apostolica di erezione e dagli Statuti dati dalla Santa Sede la prelatura è composta da un popolo, formato da fedeli dei cinque Continenti – che continuano ad appartenere appieno alle loro rispettive diocesi –, sotto la guida del Prelato, aiutato dal suo presbiterio. Non sarebbe consono alla coerenza che è da presumere nel Legislatore (in questo caso, il Romano Pontefice) pensare che proprio la prima prelatura personale eretta è un’eccezione, specie trattandosi di un’eccezione relativa alla stessa costituzione essenziale dell’ente.

A parte gli ordinariati personali, sembra che la novità di questa Costituzione Apostolica sia quella di ammettere sacerdoti sposati.
Oltre a ciò che riguarda le caratteristiche di questi enti, la Costituzione Apostolica presenta molti punti che dovranno essere studiati sotto il profilo canonico, come, per esempio, tutti gli aspetti relazionati con l’incorporazione volontaria all’ordinariato: chi può incorporarsi, cosa bisogna comunicare alla diocesi, ed altre questioni di questo tipo. E’ comprensibile che la possibilità di ordinare sacerdoti coloro che erano pastori anglicani sposati abbia costituito il centro dell’attenzione da parte dei mezzi di comunicazione, ma penso che andrebbe relativizzata questa novità. La normativa del celibato sacerdotale nelle Chiesa latina non cambia. Ciò che è previsto nella nuova Costituzione Apostolica è solo una misura rivolta a facilitare la piena comunione di questi fedeli, che ha un carattere eccezionale e forse anche piuttosto transitorio.

Tutte queste sembrano questioni tecnico-canoniche difficili e distanti dalla realtà. Sono distinzioni così importanti?
Le forme giuridiche con cui si organizza la Chiesa servono proprio per rispettare pienamente la sua missione pastorale ed evangelizzatrice: sono la garanzia che la missione venga compiuta senza esitazioni. Le circoscrizioni ecclesiastiche personali dimostrano la grande capacità della Chiesa di adattare le sue strutture alle necessità dei tempi e alle situazioni concrete dei fedeli. Ad esempio con gli ordinariati militari la Chiesa svolge un’attività pastorale specifica in favore dell’esercito che porta i fedeli a spostarsi da una parte all’altra e ad avere una condizione di vita bisognosa di una peculiare attenzione pastorale. Così come con le prelature personali – per ora solo quella Opus Dei che ha il compito di ricordare la santità nell’ordinario a tutti i fedeli– si può venire incontro alle speciali necessità spirituali di gruppi umani sparsi in varie diocesi. Infine la Santa Sede ha eretto questi ordinariati personali pensati appositamente per le comunità anglicane fin’ora staccate da Roma che, seppure tornando in comunione, vogliono mantenere alcune loro caratteristiche specifiche. D’altronde, l’adattabilità dell’organizzazione ecclesiastica alle reali necessità pastorali dei fedeli costituisce uno dei capisaldi della dottrina dell’ultimo Concilio ecumenico.

http://brunomastroianni.blogspot.com/

Il Papa e il primate anglicano esortano alla collaborazione tra i cristiani

Benedetto XVI riceve in udienza l'Arcivescovo di Canterbury


CITTA' DEL VATICANO, domenica, 22 novembre 2009 (ZENIT.org).- Ricevendo questo sabato in udienza privata Rowan Williams, Arcivescovo di Canterbury, Benedetto XVI ha voluto sottolineare l'importanza della cooperazione tra tutti i credenti in Cristo.

Un comunicato della Sala Stampa vaticana rivela infatti che nei cordiali colloqui tra il Papa e il primate della Chiesa d'Inghilterra "ci si è soffermati sulle sfide che si presentano a tutte le comunità cristiane in questo inizio di millennio e sulla necessità di promuovere forme di collaborazione e di testimonianza comune nell'affrontarle".

Circa gli "ultimi avvenimenti che hanno interessato le relazioni tra la Chiesa Cattolica e la Comunione Anglicana", ovvero l'ammissione alla piena comunione con la Chiesa cattolica dei fedeli e dei pastori anglicani che ne facciano richiesta, in base alla Costituzione Apostolica Anglicanorum coetibus, si è richiamata "la comune volontà di continuare e di consolidare i rapporti ecumenici tra cattolici ed anglicani".

Allo stesso modo, conclude la nota vaticana, si è ricordato che nei prossimi giorni "si radunerà la Commissione incaricata di preparare la terza fase del dialogo teologico internazionale tra le parti (ARCIC)".

Gli anglicani che tornano a Roma dimostrano che la forza della chiesa sta nel non cambiare. Da E-VIII a B-XVI

di Francesco Agnoli
Tratto da Il Foglio del 12 novembre 2009

La notizia del rientro di alcuni gruppi di anglicani nell’unico ovile è di quelle storiche.

Anzitutto perché rilancia l’ecumenismo evangelico: ut unum sint. Che siano una cosa sola. E’ sembrato, a lungo, invece, che le innumerevoli frammentazioni del popolo cristiano, a seguito della Riforma, fossero qualcosa di bello e di utile.

Che il dialogo fosse fine a se stesso, senza scopo alcuno. Che la conversione a Roma, all’universalità della chiesa apostolica, non fosse più necessaria, anzi, addirittura disdicevole. Non è così: il desiderio di ogni cristiano non può che essere quello del ritorno dei fratelli separati alla unica chiesa di Cristo. In secondo luogo, questo avvenimento, dimostra ancora una volta quale è il compito di questa istituzione: non quello di “aggiornarsi”, seguendo i continui movimenti e le giravolte del mondo. Ma quello di rimanere ferma sulla Verità, che si incarna diversamente, a seconda delle persone e dei tempi storici, che è infinita nella ricchezza delle possibilità che offre, ma che è, però, immutabile nella sua sostanza. La chiesa cattolica, nella sua dottrina, è ferma lì, da duemila anni, e resiste: le innumerevoli confessioni protestanti, spinte dall’urgenza dei tempi, mutano e adattano la verità, ma alla fine si svuotano di credibilità e di fedeli. La Verità non tollera diminuzioni o amputazioni. La chiesa anglicana ha continuato a mutare, prima a seconda dei capricci dei suoi re, poi per adeguarsi alla modernità: ma non rimane di essa, oggi, che un simulacro.

Detto questo è veramente consolante vedere che cinquecento anni dopo Enrico VIII ci siano uomini di fede anglicana che ritornano alla comunione con Roma. Non deve essere facile. Penso sia, al contrario, un gesto eroico. Per capirlo occorre analizzare brevemente la storia dello scisma di Enrico. Non alla luce dell’ideologia, ma secondo i fatti, raccontati con grande perizia storica e con notevole acutezza nella recente opera di Elisabetta Sala, “L’Ira del re è morte” (Ares). Come sorge la chiesa anglicana? Nasce da un sovrano che anzitutto vuole sciogliere un matrimonio, perché la legittima sposa, Caterina d’Aragona, non gli dà l’agognato figlio maschio. Enrico VIII fonda una nuova chiesa e se ne dichiara capo, anzitutto per potersi sposare in seconde nozze con Anna Bolena, poi anche per altri motivi, personali e politici. Ma il popolo non è con lui: ama la regina spagnola, Caterina, e non stima per nulla la Bolena, contro la quale si hanno addirittura delle manifestazioni pubbliche.

Per difenderne la reputazione Enrico impone “un’apposita legge per cui divenne alto tradimento il non onorarla come regina”. Il re è abile, e soprattutto sono astuti i suoi consiglieri: l’uomo che a breve farà decapitare l’“amata” Bolena e suo fratello, che sposerà altre cinque mogli, condannandone alcune alla morte e altre all’emarginazione, fa leva sugli istinti peggiori di coloro che possono sostenerlo.

Dichiara la nascita di una chiesa nazionale, di cui lui solo è il capo, venendo incontro ai forti sentimenti nazionalistici presenti in alcune elite. Soprattutto trasferisce al re tutte le tasse ecclesiastiche e gradualmente sopprime monasteri, conventi, scuole, ospedali cattolici, incamerando quantità immense di beni che non gli appartengono.

Gli serviranno per rimpinguare le casse dello stato e per tener buoni nobili e borghesi interessati più alla propria ascesa personale che alla provenienza delle proprie ricchezze. Sebbene ciò comporti la distruzione del “90 per cento del patrimonio artistico medievale”. Accanto all’acquisto di svariati complici, Enrico instaura un vero terrore, “il meno sommario e il più legalizzato possibile”. Vengono perseguitati e uccisi numerosi religiosi; cinque certosini che non vogliono abiurare la loro fede vengono “squartati uno ad uno mentre gli altri erano costretti ad assistere”; centinaia di cattolici sono uccisi come idolatri o traditori; umanisti importanti come Wyatt, Surrey e Vives vengono rinchiusi nella Torre, uccisi o espulsi, mentre Erasmo lascia l’Inghilterra per sempre. L’ex cancelliere Tommaso Moro, che non è stato piegato alla volontà del re né dalle minacce né dalle lusinghe, viene condannato a morte, come il vescovo John Fisher, la cui testa viene “impalata ed esposta sul ponte di Londra”, prima di essere gettata nel Tamigi e sostituita da quella di Moro. Oltre al Terrore, per imporre se stesso come unico vero interprete del Vangelo, Enrico e i suoi consiglieri adottano soprattutto una efficacissima campagna mediatica, favorita dalla recente invenzione della stampa.

L’Inghilterra viene inondata di opuscoli, in cui il testo evangelico viene piegato a giustificare la politica del re. “Sermoni ufficiali vennero stampati e divulgati in ogni parrocchia e tutti i sacerdoti furono obbligati a proclamarli”. Dotti, professori universitari e vescovi sono adulati o minacciati, affinché giustifichino alla luce di passi evangelici estrapolati e manipolati, la liceità del ripudio. Sempre il Papa è presentato come un sovrano straniero, un astioso nemico dell’ Inghilterra, un “bastardo”, un “eretico”, l’Anticristo in persona. L’odio contro i cattolici, detti “papisti” e “seguaci dell’Anticristo”, verrà coltivato anche nei secoli successivi, dai sovrani inglesi, impegnati, con W. Tyndale, a diffondere l’idea che “colui che giudica il re giudica Dio”. Per questo gli anglicani che oggi tornano a Roma compiono un gesto coraggioso: ripudiano oltre quattrocento anni di propaganda, consapevoli che questo potrà portar loro una certa avversione, anche tra altri cristiani ormai assuefatti all’idea che la chiesa sia istituzione non universale, ma nazionale, non di diritto divino, ma statale.