DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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Con buona pace di Cavour, è il Papa che unisce l’Italia. Parola di Dostoevskij. Di Renato Farina

mercoledì 5 maggio 2010


La domanda è semplice. Perché la Chiesa, in particolare la Chiesa italiana (anche se i puristi direbbero “la Chiesa che è in Italia”) adesso è la più forte sostenitrice dell’unità di questo Paese, quando a suo tempo la visse come un sopruso? È impazzita? Ha cambiato la sua essenza e il suo giudizio? Lo fa per convenienza? O per che altro?

C’è una risposta che discende dall’amore per il popolo, per la sua ricchezza. Provo ad analizzare.

L’unità d’Italia fu cercata certo in nome - da parte di molti, anche da intellettuali cattolici - dell’amore per il suo destino, perché non fosse più in balia dello straniero. Ma la mossa politica e ideologica fu a partire da un disegno illuministico e massonico, tale per cui il popolo in grande maggioranza cattolico andava emancipato dal suo attaccamento a ciò che ostacolava un nuovo ordine, comandato da interessi finanziari di sottomissione della povera gente, e per strappare Dio dalla vita pubblica consegnandolo ad una sfera privata, senza peso nel costruire la società. E ostacolo a questo era il papato. Una chiesa fatta di carne, di iniziativa sociale costruita al di fuori del controllo dei poteri forti. I libri cosiddetti revisionisti ricordano come furono incarcerati vescovi e sacerdoti solo perché non agitarono il turibolo al nuovo Dio che era lo Stato. Il Papa fu fatto prigioniero in casa sua. I beni della Chiesa erano in realtà i beni del popolo. Furono confiscati e rivenduti, impoverendo in particolare il nostro Sud, da cui fu drenato il risparmio intero della Sicilia e del mezzogiorno. Il modello era quello napoleonico. Lo Stato come fonte di ogni diritto. La Chiesa invece, essendo contro il liberalismo che arricchiva i lupi, stava a favore della libertà.

Estremizzo, ovvio. Ma va detto. C’era Dio in prigione, come si faceva a stare dalla parte del suo aguzzino?

La Chiesa - e in particolare Pio XI - ha ottenuto alla fine quel che voleva: con il Concordato e soprattutto i Patti Lateranensi poté avere un minimo territorio (a lui bastava un metro quadrato) che fosse sottratto alla potestà temporale, con la facoltà di imbavagliarlo.

Il tempo passa. La storia si sviluppa. Il popolo - dopo le due grandi guerre - si è trovato dinanzi alla possibilità di dar forma democratica ai suoi ideali. Si è generata una solidarietà. Un sentimento patrio, l’idea di una comunanza basata proprio sul suo sentimento profondo cristiano. È stato questa percezione di sé a permettere la ricostruzione.

Di queste cose ho molto discusso con un grande cattolico liberale e statista: Francesco Cossiga. Mi disse una volta: «Mi interessa l’Italia. Le volte che ho detto “Viva-l’Italia-Viva-la-Repubblica!” sono state tante. E ho sempre pensato allo Stato, a questo Stato, mentre lo dicevo. Ma anche a qualche cosa di più forte e intimo. All’Italia che senza questo Stato ora non ci sarebbe, eppure è più grande dello Stato. Ha un destino spirituale unico. C’è in questa Patria nostra, nei popoli che la costituiscono, un compito universale. Papa Giovanni Paolo II non ha mai compreso questa stranezza italiana. Questa frammentazione di popoli e la Chiesa che amava così tanto l’Italia da non desiderare l’unità nazionale. Un giorno, si decise a chiedermelo. “Senta, lei mi deve spiegare: come mai la Chiesa italiana era contro l’unità nazionale?” Per un polacco era inconcepibile. Io risposi: “Santo Padre, il giorno che Antonio Rosmini verrà fatto beato sarà una cosa molto più importante della conciliazione tra la Santa Sede e lo Stato italiano, perché sarà la conciliazione tra la nazione italiana e la Chiesa italiana”. Perché Rosmini aveva in mente un’Italia che fosse insieme Stato e la Chiesa non fosse libera “in” esso. Ma libera “con” lo Stato. Così come il popolo non era da lui fatto coincidere con lo Stato. È stato fatto beato Rosmini. La Chiesa ora riconosce pienamente l’Italia, si è riconciliata anche simbolicamente con la nazione italiana». Fin qui Cossiga.

Da parte mia sto con Fëdor Dostoevskij, citato dal cardinal Giacomo Biffi. Ricordo che Joseph Ratzinger ha definito questo meraviglioso genio russo come “il più grande letterato cristiano del XIX secolo”. E non era certo papista, da slavofilo ortodosso.

In una sua pagina tratta dal Diario di uno scrittore scrive: “L’unico grande diplomatico del secolo XIX è stato Cavour e anche lui non ha pensato a tutto. Sì, egli è geniale, ha raggiunto il suo scopo, ha fatto l’unità d’Italia. Ma guardate più addentro e che cosa vedete? Per duemila anni l’Italia ha portato in sé un’idea universale capace di riunire il mondo, non una qualunque idea astratta, non la speculazione di una mente di gabinetto, ma un’idea reale, organica, frutto della vita della nazione, frutto della vita del mondo: l’idea dell’unione di tutto il mondo, da principio quella romana antica, poi la papale. I popoli cresciuti e scomparsi in questi due millenni e mezzo in Italia comprendevano che erano i portatori di un’idea universale, e quando non lo comprendevano, lo sentivano e lo presentivano. La scienza, l’arte, tutto si rivestiva e penetrava di questo significato mondiale. Ammettiamo pure che questa idea mondiale, alla fine, si era logorata, stremata ed esaurita (ma è stato proprio così?) ma che cosa ha ottenuto al suo posto? (…) è sorto un piccolo regno di second’ordine, che ha perduto qualsiasi pretesa di valore mondiale, (…) un regno soddisfatto della sua unità, che non significa assolutamente nulla, un’unità meccanica e non spirituale (cioè non l’unità mondiale di una volta) e per di più pieno di debiti e soprattutto soddisfatto di essere un regno di second’ordine. Ecco la creazione del conte di Cavour”.

Io credo che l’Italia debba ricordarsi di essere questa intensità unica al mondo. Essere piccoli rispetto a tanti numeri, ma coscienti di essere il luogo dove il particolare può diventare universale: nell’arte, nella scienza, anche nella visione politica.

Continua a irrorare ogni italiano, credente o ateo, di questo spirito universale. Qualche idiota vorrebbe strappare questo segno dall’Italia. Invece è questa presenza che può renderci unici, alla maniera intuita da Dostoevskij. Anche quando il Papa è polacco o tedesco, il Papato è italiano in essenza e per saecula saeculorum. Ed incarna e diffonde quell’idea e quella pratica di universalità, di cuore grande, di mente che non si ferma a Chiasso o a Capo Passero, ma come Ulisse che era di una piccolissima isola, però andava al largo, era mosso da qualcosa di impalpabile per cui gli batteva il petto: così noi. Ulisse voleva tornare a casa, ma non resisteva al desiderio più forte della volontà di prendere vento, e andare, andare come dei pazzi, come Cristoforo Colombo, come Amerigo Vespucci. Come Dante negli inferi e in cielo. Pensando allo Stato, a questo Stato, che oggi ha bisogno dell’unità, dentro una forma federale, ma conservando insieme unità e slancio universale. Per questo sentiamo l’appello del cardinale Angelo Bagnasco all’unità d’Italia come la cosa più bella sentita di questi tempi sul nostro Paese e sul suo futuro.



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I "valori non negoziabili" sono sempre in gioco - intervista a Renato Farina

Com'era prevedibile, alcuni passaggi più stringenti all'attualità politica, nella prolusione enunciata dal Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Card.Angelo Bagnasco, all'apertura dei lavori del Consiglio Episcopale Pemanente, stanno facendo discutere politici e commentatori.
Che cos'è per un politico, specie se cattolico, il richiamo sull'importanza dei "valori non negoziabili"? E come, questi ultimi, devono essere punti imprescindibili per la scelta del voto?
Lo abbiamo chiesto all'on. Renato Farina, deputato PdL.



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CHIESA E PEDOFILIA: Inquisizione all’incontrario. Di Renato Farina

Chiusa La caccia alle streghe passiamo a quella contro i cler-gyman?


Qualunque idea si abbia sul "diritto" di porre fine all'esistenza, propria a altrui, in caso di malattie terminali o gravemente invalidanti, una cosa dovrebbe essere chiara: e cioè che questa pratica, di fatto, esiste. C'è una legge che la vieta: ma il divieto non serve a impedirla, come spesso accade con le normative irragionevoli e velleitarie. Serve dunque a criminalizzarla e a rnantenerla clandestina.

Fa impressione in queste set-timane, trovare i1 Papa sulle prime pagine dei giornali americani ma anche italiani, per gli abusi sessuali del clero sul minori, piuttosto che per la sua proposta di mediare per la pace in Terra Santa. Com'è cam-biato il mondo. Nei giorni scorsi dieci milioni di italiani hanno visto il film su Giovanni XXIII. Si mo-strava papa Roncalli che, nel 1961, al tempo della crisi di Cuba, impedì la guerra atomica. Due lettere alle persone giuste un riferimento tremendo a Dio, e tutto si sistemò. Questa ricostruzione è certo un e-sagerazione, ma il mondo riconob-be la forza di quel gesto. Ora, in-vece il pianeta sembra scardinato dal suo asse, il Papa indica la strada per uscirne, si propone vecchio e stanco come mediatore. E dicono: pensa a dar la caccia ai preti pe-dofili, consegnali allo Stato. Come se lui avesse gli indirizzi, o dovesse procedere, tanto per non sbagliare, a una decimazione.

I radicali, che tante volte am-miro, stavolta assediano il Papa. L’eurodeputato Maurizio Turco sostiene: "Ci pare dovuto the il Vaticano obblighi chiunque venga a conoscenza di reati a denunciarli alla giustizia". Continua: "A mag-gior ragione se sono commessi da persone sottoposte al diritto canonico". Il Papa do-vrebbe "obbligare" chi? E come? Mandando le guardie svizzere a torturare i sospettati? I garantisti radicali lo sono con tutti meno che con i preti? Che ignoranza. Al diritto canonico sono sottoposti tutti i battezzati, e non ci sone mezzi coercitivi. Persino Marco Pannella, persino il presidente dell’ordine dei geometri possono chiedere, se battezzati, di essere giudicati da un Tribunale eccle-siastico. In nessun caso questo sostituisce il dovere di denunciare alla polizia delitti e delinquenti. Bastano i dieci comandamenti e il Vangelo: da a Cesare quel che è di Cesare non dare falsa testimo-nianza. E sono testi canonici, si informino i radicali e il mio amico Daniele Capezzone (so che ha studiato dai preti, li denunci se sa). E quanto all’ammonimento, ce stato pure quello. II Papa non si è affatto limitato a condannare le macchie sulle animucce. Ha detta che l'abuso sessuale “è un peccato orrendo agli occhi di Dio". Ha scomunicato: "La gente deve sapere che nel sacerdozio non c'è posto per chi potrebbe fare del ale ai giovani". Non ha murato questa pratica odiosa nelle sacre mura, e ha spiegato che non è solo un peccato per Dio, ma è crimine per la società. Più chiaro di cosi ...

Il fatto è che in questo nostro Paese di ipocriti il Papa è l’unico che, per usare una frase del citatissimo Giovanni XXIII non è uno specialista "nel battere il pu-gno sul petto degli altri". Che pena sentire i radicali chiedere al capo di una religione di costringere i discepoli quasi fossero schiavi. Il Vaticano obblighi. Pannella che ne dice? Gli piace questo linguag-gio?

Qui vorremmo dire qualcosa sui preti. L’opinione pubblica, per via del bombardamento di notizie, è passata dall’idea che il Papa voglia scomunicare e togliere la possibilità di esercitare il mini-stero sacerdotale ai pedofili a quella che si debba tutti insieme sospettare dei preti costringendoli a svelare i loro delitti. Ehi, i preti sono persone come gli altri. Qualcuno è meglio, qualcuno è peggio. Sono uomini. I coman-damenti valgono per loro come per tutti. Credo ci sia l'identica percentuale di pedofili nelle Ca-noniche e nelle curie come tra i geometri e i radicali. Soltanto che il Papa a quanta pare è il solo a puntare il dito contro i suoi urlando.. Ci piacerebbe una denun-cia altrettanto forte del presidente dell'ordine dei medici e di quelle degli ingegneri, e magari persino dei radicali.

Povero Papa. Sembra un secolo fa quando, spostandosi in Polonia e minacciando poi per lettera a Breznev, il suo ritorno impedì l’in-vasione sovietica (1981). Ora, ogni giorno con il suo volta di pietra, gonfio di malanni e di pena, chie-de la pace per la Terra Santa. Ed invece i giornali e le tivù di tutto il mondo dedicano la prima pagina ai suoi interventi sul preti pedofili. In fondo però anche Cristo urlò invano sulla croce: intorno non gli diede retta nessuno, solo un ladrone e un centurione che gli tirò una lancia. Però sulla questione dei preti pedofili bisogna mettere un punto. E finiamola.

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PEDOFILIA NEL CLERO, I RADICALI SI SPIEGANO



Carissimo Renato Farina, cari amici di ''Libero'', innanzitutto grazie per questa opportunità che ci è offerta di chiarire il nostro pensiero sulla questione detta della ''pedofilia”.

Primo.
In base ai dati ufficiali forniti dal Censis, su 100 violenze ai danni dei minori, 90 avvengono in famiglia, 8 sono praticate da parte delle cosiddette “figure di
riferimento” (insegnanti, religiosi, educatori, …), e solo 2 sono opera di estranei, di persone sconosciute.
Quindi, proprio chi ha a cuore la sorte del più piccoli farebbe bene a rendersi conto che la violenza sessuale nei confronti dei minori si sviluppa all'interno (e non contro o fuori) gli istituti sociali tradizionali (la famiglia, la parrocchia, la scuola, e così via, mentre la crociata mediatica e giudiziaria in corso da anni non si occupa che del 2% del problema.
Restano invece del tutto intatti e intangibili tabù quali l'incesto o la sessualità dei religiosi, così come, più in generale, nessuno (nemmeno dopo i fatti di Novi Ligure: famiglia cattolicissima madre, cattolicissima figlia cattolicissima) sembra desideroso di interrogarsi sullo stato della famiglia cattolica e ''normale'' italiana.

Secondo.
La crociata in corso da qualche anno e la legge ''antipedofilia'' che ne è stata il frutto hanno portato per un verso alla criminalizzazione dei provider e dello strumento Internet (della serie: proibiamo i marciapiedi perché ci camminano le prostitute....), e per altro verso ad una straordinaria crescita di valore del materiale pornografico a sfondo pedofilo (videocassette, cd rom, ecc.ecc.).
E' il consueto meramente repressivo, che non fa che alimentare il mercato criminale che intenderebbe colpire.

Terzo.
Premesso che i fatti di oggetto delle cronache di questi anni non sono episodi di ''pedofilia'', ma di pura violenza e criminalità, e come tali devono essere considerati e perseguiti, voglio aggiungere che, in termini liberali, è del tutto inaccettabile la criminalizzazione di un orientamento sessuale in quanto tale, di un modo di “essere”, di uno “stato”.
Ogni orientamento sessuale, ogni preferenza, ogni scelta possono e debbono invece essere perseguiti se e quando si traducono in comportamenti violenti e dannosi per altre persone, minori o maggiori che siano.
Non si tratta di difendere il “diritto” di qualcuno a intrattenere relazioni sessuali con bambini in tenera età; si tratta di affermare il diritto –senza virgolette- di tutti e di ciascuno a non essere condannati –e nemmeno giudicati- sulla base della riprovazione morale che altri possono provare nei confronti delle loro preferenze sessuali.
Criminalizzare i “pedofili” in quanto tali, al contrario, non serve a “tutelare i minori”, ma solo a creare un clima incivile, né umano né –vorrei dire- cristiano.

Quarto.
Per ciò che riguarda i casi di violenze che avrebbero visto come protagonisti alcuni religiosi (e su questo –consenticelo, caro Renato- la tua sintesi delle nostre posizioni ed iniziative è quanto meno lacunosa), per un verso abbiamo detto e ripetuto che non può esserci impunità solo in queste circostanze (essendo chiaro che, anche stavolta, come sempre da decenni, ci faremo carico di difendere le garanzie degli imputati dai linciatori di professione. A proposito, che fine ha fatto Don Fortunato Di Noto?), e, per altro verso, abbiamo posto alla Chiesa –e a ciascun fedele- il problema della libertà, della responsabilità, dell’amore, e quindi anche della sessualità, dei religiosi (la vicenda Milingo insegna).

Tutto qui: e non crediamo che dire questo significhi incorrere in un reato d’opinione. Grazie ancora per questa libera ospitalità.

Maurizio Turco, Presidente degli eurodeputati radicali
Daniele Capezzone, Segretario Radicali Italiani


Risposta di Libero

Gentili amici, il discorso non vuole finire qui. Dunque mi permetto di essere telegrafico e mi perdonerete la lacunosità. Anzitutto sappiate che queste pagine saranno sempre aperte a chi ragiona in modo civile. A del resto ne avete avuto già prova.

Nel merito. Mi colpisce come considerazioni in linea di principio indiscutibili (ad esempio il terzo punto: non si può condannare nessuno per una tendenza) si puntellino con osservazioni da sociologia deterministica ed infondo illiberale.

Uno può benissimo essere anticlericale. Ma che cosa centra Novi Ligure con il fatto che la famiglia era “cattolicissima”? Cari amici che ne sapete: avete l’elenco delle famiglie cattolicissime, e magari di quelle cattoliche appena un pochino? Vi sembra una tendenza pericolosa da condannare in anticipo? Del genere: se uno è pedofilo nessuno lo condanni, ma se è cattolico state in guardia che può ammazzarvi tutti?

Mi sembra molto poco liberale e assai marxista far risalire il male all’origine sociale e all’appartenenza religiosa. Esiste il mistero della libertà per cui si fa il male oppure no. Se Erika era atea o buddista allora potevamo stare tranquilli? La questiome della sessualità del clero non penso necessiti di mobilitazioni politiche, in fondo sono problemi loro. E se fanno reati allora li si punisca, questo sì. E se hanno certe tendenze è bene non abbiano a che fare con i bambini.
O no?

re. fa.

Egitto, strage di cristiani. E nessuno protesta. Di Renato Farina

Tratto da Il Giornale dell'8 gennaio 2010

Come nulla fosse, senza che ci sia qualcuno in Occidente, Oriente, Nord, Sud, Onu, Unesco, pronto a minacciare sanzioni, raid militari, convocazione di ambasciatori; come se fosse ordinaria amministrazione si è consumato un eccidio di cristiani in Egitto. Per non sbagliare, mica ci andasse di mezzo qualche povero innocente musulmano, i terroristi benedetti dalla polizia hanno aspettato che i nemici si radunassero contenti e vestiti a festa per la Santa Messa della notte di Natale. E la strage andrà avanti, non subito, tra qualche settimana. Intanto i gendarmi locali fingeranno qualche arresto, ma si lascerà sempre pendere sulla testa dei battezzati la mannaia del repulisti islamico. Persino ammantato dal sapore di giustizia.

La notizia spicciola dice: otto cristiani copti nell’Alto Egitto, più un modesto e isolato metronotte musulmano (traditore!) che era stata ingaggiato per difendere i fedeli, sono stati assassinati da un commando di tre uomini armati di kalashnikov fuori dalla porta della chiesa di San Giovanni (a Nagaa Hamadi, nella provincia di Qena, a 64 chilometri da Luxor), alle ore 23 della ricorrenza della nascita di Gesù, che i copti e gli ortodossi celebrano il 7 gennaio. Tra le navate l’incenso profumava i canti, risuonavano felici gli alleluia, ed ecco le raffiche, l’urlo di dolore, quello di trionfo: «Allah è grande!».

C’erano state pesantissime minacce. Il vescovo copto Kirillos aveva trasmesso alla polizia un messaggio chiaro dai fanatici: «Non vi faremo celebrare le feste». Inerzia, passività. Allo stesso modo le autorità non fecero nulla quando una sommossa anticristiana si scatenò a fine novembre. Le forze dell’ordine non se la sognano di intervenire, sono musulmani come i killer, c’è una certa comprensione, preferiscono giustificarli. Il ministero dell’Interno al Cairo ha diffuso la sua versione: non c’entra il terrorismo, ma si tratta di una vendetta connessa «allo stupro di una ragazzina dodicenne a opera di un cristiano». Il fatto sarebbe accaduto nel novembre scorso, e già la folla, sulla base di questa notizia fasulla, aveva dato l’assalto ai cristiani, i quali non sono stati per nulla difesi: come sempre.

Ricordiamo che le persecuzioni dei discepoli del Nazareno sin dai tempi dell’Impero Romano prendevano avvio da calunnie di presunte orge con bambini, stupri e perversioni, sacrifici umani. Ci cascò anche Tacito. Ci cascheranno tanti altri. Ma noi no, per favore. Criminali ce n’è dappertutto, anche tra i cristiani d’Egitto, ovvio. Ma l’accusa è inverosimile. Da quelle parti sono le ragazze cristiane a essere rapite e costrette a convertirsi all’Islam. Le denunce di questi ratti a scopo di conversione forzosa si susseguono da anni, e sono inascoltati. Se i copti dovessero vendicare con una strage di islamici lo stupro di una loro ragazzina, non ci sarebbero più musulmani all’ombra delle Piramidi. Non credete alla storia dei rapimenti delle ragazze copte, sistematicamente impuniti? Se credete vi passo il saggio: «La scomparsa, la conversione forzata e i matrimoni forzati delle donne cristiane copte in Egitto» del professor Michele Clark, docente di Traffico di esseri umani alla George Washington University.

Il presidente Hosni Mubarak non ha ostilità personale contro i copti. Ma deve lasciare un po’ di redini libere ai Fratelli musulmani, i quali oggi sono la vera maggioranza tra gli islamici, e bisogna pure che si sfoghino ammazzando a man salva qualche cristianuccio. Il tutto fa parte del tentativo di ridurre all’impotenza e all'insignificanza questa gloriosa minoranza egizia che adora la Santa Trinità. Cercano di costringerli all’emigrazione, come capita oggi in Irak. Molti partono, ma i più resistono. È gente tosta. Pur essendo questa stirpe religiosa più antica di quella islamica, essi dovettero sopportare di essere considerati al tempo della conquista araba cittadini di serie B. Eppure non hanno scelto la strada facile dell’omologazione al Corano. E tuttora sono perseguitati e insieme orgogliosi della loro fede.

I copti d’Egitto sono come minimo il dieci per cento della popolazione, circa sette milioni e mezzo. Le autorità ne abbassano il numero per dar loro meno peso, e dicono siano la metà per giustificare il fatto che non contano un fico secco. Hanno un Papa molto coraggioso, si chiama così il loro Vescovo del Cairo: è Shenuda III ed è il 117° patriarca dalla predicazione di san Marco. Fu sbattuto in galera da Nasser nel 1981, nella solita indifferenza dell’Occidente che applaudiva il raìs poiché era anti israeliano. Dopo che i cristiani furono oggetto di assalti da parte dei fanatici islamici in cerca di scalpi, lui protestò coi suoi fedeli, e la polizia aggredì loro invece degli aggressori, vecchia storia. A quel tempo i Fratelli musulmani uccisero 17 cristiani e ne ferirono 112. In prigione finì il Papa copto...

Ci piacerebbe vedere in questi giorni giungere alle nostre parrocchie invece dei saluti e degli auguri dei musulmani egizi letti dai preti durante le solenni celebrazioni, qualche condanna per queste uccisioni, e per l’oppressione insistita, la costrizione all’esilio. Figuriamoci. Gli islamici egiziani delle nostre moschee emarginano i loro connazionali copti. Ma nessuno dice niente su questo, neanche i cristiani. Prima di dare la cittadinanza a questi musulmani egiziani dovrebbero mostrare di condividere davvero l’uguaglianza che negano a casa loro e pure a casa nostra.

Non permettiamo più siano assassinati tranquillamente questi poveri nostri fratelli egiziani. La comunità pare sia fiorita sui luoghi dove la Sacra famiglia fuggì in Egitto per salvarsi da Erode.

Le dobbiamo qualcosa.

Dall’auto esce uno spot contro l’aborto. Improvvisamente la pubblicità dice la verità, ma una verità così potente... Di Renato Farina

di Renato Farina
Tratto da Il Giornale del 6 gennaio 2010

Improvvisamente la pubblicità dice la verità, ma una verità così potente che va contenuta nei limiti dell'accettabile. Ma non ci riesce, esplode lo stesso, e io la trovo bellissima. C'entra con la festa dei bambini quale è da sempre l'Epifania, che vuol dire «manifestazione» della verità di un bambino dinanzi al mondo.

La Ford ha lanciato la campagna degli ecoincentivi per il 2010 per chi acquisti una sua vettura il cui punto forte è uno spot dove i protagonisti sono tre animali. Sono un orso, un elefante e un delfino. Ovvio il nesso: proteggi la natura usando auto pulite e l'ambiente diventa più accogliente non solo per l'animale uomo, ma per qualunque specie creata. Fin qui niente di particolarmente nuovo. La réclame va però più in là. Sono cuccioli. Ma cuccioli non ancora nati. Essi nuotano beati nelle acque materne. Sono già formati, si riconosce la piccola proboscide, il musetto. Sono azzurri come le cose belle dei nostri sogni, però sono reali anche se per vedere questi mammiferi ancora immersi nel liquido amniotico ci saranno volute telecamere grandi come una capocchia di spillo infilate sotto la pelliccia dell'orsa, dell'elefantessa e della delfina. Dunque il messaggio di protezione della natura, ma anche l'impulso a spendere denari, a mettere in moto l'economia è affidato a creature che devono nascere, che vogliono nascere, che è bello nascano. Creature che non vanno rigettate, non vanno sputate come rifiuti in un mondo schifoso, ma bisogna rispettare loro e il loro destino.

Vogliamo dirlo: è la prima pubblicità contro l'aborto che si sia vista. Mostra come l'aborto sia non solo contro gli esserini che non nascono, ma anche contro le madri che vorrebbero il loro bene, contro il desiderio di vita, di moltiplicazione e protezione che è in noi. Insomma contro la natura e l'ambiente.

Ho detto aborto. I creativi della pubblicità Ford però si sono accontentati della metafora, della analogia: i mammiferi, ma non quel tipo particolare di mammifero di nome uomo. Infatti se i tre protagonisti dello spot fossero stati tre bambini, magari di colori diversi, esso avrebbe diviso. Tutti infatti sono d'accordo che gli animali non vanno fatti abortire, ci sono campagne giustissime contro chi strappa gli agnellini persiani - i karakul - dal ventre di mamma pecora per farne pellicce di astrakan. Cito: «In un video diffuso da Human Society e girato nel 2000 in una fattoria in Uzbekistan (con 10. 000 capi) si vede la pecora gravida tenuta a terra, le viene tagliata la gola e squartato il ventre per estrarre il feto». Orrore, non si fa. Né uccidere la madre e neanche il cucciolo. Anche il cucciolo d'uomo direi. È contro natura, contro gli ecoincentivi che sono dentro di noi. C'erano i verdi tedeschi - almeno una loro corrente - che negli anni '80 si dissero d'accordo con Ratzinger nella contrarietà all'aborto perché contro natura.

Ogni tanto bisogna ricordare che questa tragedia continua. E che non va bene. La nostra legge, la 194, si chiama «Per la tutela della maternità», poi legalizza l'aborto. Si era detto, quando nel 2008 Giuliano Ferrara presentò la lista No all'aborto, che il Parlamento avrebbe fatto di tutto per spingere verso il sostegno della vita nascente e di chi ne era artefice (la donna). Invece l'aborto fa progressi inesorabili grazie alla Ru486, che rende pericolosa per la donna, ma facile e solitaria la distruzione di un certo tipo di mammifero, che andrebbe tutelato. Il cucciolo d'uomo.

Mi rendo conto che sarò criticato per questa espressione presa di peso da Kipling. Si dirà: bisogna dire feti, che sembrano un po' meno bambini e molto meno persone. Ma io stavo citando la pubblicità della Ford, che nel sito Internet ufficiale viene descritta così: «La campagna di lancio, che punta sullo slogan "Perché l'ambiente conta davvero", si intitola "Baby Animals" e ritrae tre cuccioli (un delfino, un orso e un elefante, nelle foto) che riposano nel grembo materno». Li chiamano «animali bambini» e «cuccioli nel grembo materno», non dicono «feti». Mi viene in mente che bisognerebbe imparare a trattare e chiamare il mammifero umano con la stessa delicatezza che la Ford ci insegna verso delfini, orsetti ed elefantini non ancora nati.

Il Papa perdona la Maiolo. Renato Farina

Ha atteso che il clamore sull’episodio si placasse poi a San Silvestro ha inviato il suo segretario dalla Maiolo: padre Georg le ha portato gli auguri del Pontefice e le ha regalato un rosario. Il Vaticano conferma lo scoop del "Giornale"
L’ultimo dell’anno c’è stato un messaggio del Papa, fuori dei testi ufficiali, riservato, personale, ma in fondo diretto a ciascuno di noi. Invece che una frase, un fatto. Monsignor Georg Gänswein, segretario particolare del Pontefice, si è recato a Subiaco il giorno di San Silvestro, mandato dal suo principale. Lì, in una struttura protetta per persone con disturbi mentali, sta Susanna Maiolo, la ragazza svizzera di 25 anni che la notte di Natale in San Pietro ha saltato d’un balzo le transenne e si è appesa a Benedetto XVI trascinandolo a terra. (E con il Papa ha fatto cadere anche il cardinale Roger Etchegaray, per il quale a 87 anni è stata una faccenda grave: rottura del femore).
Padre Georg è andato da Susanna, che è già stata a lungo in un manicomio elvetico, e si è accertato del suo stato d’animo, ha detto che il Santo padre credeva nella sua buona intenzione e comunque la perdonava, e lo diceva anche a nome del cardinale basco-francese ferito. Con tanti auguri e il dono di un rosario. Non si sanno le risposte della ragazza. È tornato e ha riferito.
Abbiamo appreso tutto questo da una persona molto prossima al Pontefice, confidando nella riservatezza del restante prossimo: impossibile. Lo so e lo dico. Giravano molte critiche tra parroci e fedeli per il silenzio del Papa. Non una parola su che cosa abbia pensato, sulle sue emozioni, se abbia perdonato o no. È vero: l’episodio è stato in sé marginale rispetto ai misteri liturgici delle feste, ma è finito sulle prime pagine e nei titoli d’apertura di quotidiani e tg in tutto il mondo. Il giudizio ha obbedito al pregiudizio: trattasi di un Pastore tedesco, gelido, superficialmente sorridente e in realtà legato alla dottrina più che all’umanità. Anche tra gli autorevoli commentatori l’uomo Joseph Ratzinger passa per un Papa incapace di grandi gesti risonanti sul palcoscenico del mondo. Dunque in fondo, nell’epoca dove conta l’immagine e la forza dei gesti, rispetto alla profondità dei pensieri e dell’annuncio, ecco Benedetto XVI consegnato all’incomprensione e alla solitudine.
Viene involontario il paragone con Giovanni Paolo II: egli dominava il gran teatro del mondo, faceva forza al destino, spezzava il fato, come un gigante, e lo era davvero. Anche se non c’è paragone possibile rispetto all’attentato di cui è stato vittima Wojtyla, Ratzinger ha vissuto tutto in tono minore, non ha rivendicato la protezione della Madonna, né ha ringraziato Dio ai microfoni per lo scampato pericolo (a quell’età cadere, con i pesanti paramenti pontificali, può essere un fatto molto serio). Così non si è recato di persona come fece il Grande Polacco ad ascoltare chi cercò di ucciderlo. Le telecamere hanno consentito persino di leggere le parole: Agca non chiese perdono, ma solo di che cosa fosse questa Fatima cui il Papa attribuiva il miracolo del proiettile deviato.
Ratzinger ha un altro destino, se preferite un diverso disegno della Provvidenza. Non ha avuto (Deo gratias!) il pessimo dono di un killer turco musulmano, ma una svizzerotta senza lampi mistici. Riceve minacce atroci dai siti islamisti, in cambio i mass media occidentali liberal lo trattano da reazionario. E ora da insensibile.
Invece si scopre che la sua vita è quella di un semplice umile cristiano, che non si mette al centro di niente, neanche quando lo mettono in prima pagina. Ed è capace di perdono, amicizia, speranza anche se gli attribuiscono solo odio per «la dittatura del relativismo» quasi che la sua visione del mondo si riducesse a questa sua amara critica. Come siamo ciechi: questo Papa minimo è grande nell’amore e nell’umiltà. A proposito di amicizia e di auguri per l’anno nuovo, ecco una frase che nessuno ha citato anche se detta da Benedetto XVI dinanzi al mondo: «Vi auguro che l’amicizia di Nostro Signore Gesù Cristo vi accompagni ogni giorno di questo anno che sta per iniziare. Possa questa amicizia di Cristo essere nostra luce e guida, aiutandoci ad essere uomini di pace, della sua pace. Buon anno a tutti voi!».

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Il vero Natale? Si trova solo in galera. È il baluardo della resistenza al neopaganesimo. di Renato Farina

Tratto da Il Giornale del 21 dicembre 2009

Regina Coeli è il carcere più famoso d’Italia. Oggi è il punto di resistenza cristiana al politicamente corretto che vorrebbe disinfettare dal sacro e soprattutto dal cattolicesimo ogni spazio pubblico e specialmente statale. All’ingresso, nella rotonda da cui si dipartono i raggi, c’è una statua della Madonna. Del resto Regina Coeli già a causa del nome è una sfida alla moda multiculturale. Perché evocare la Regina del Cielo, che notoriamente è la Madonna, quando in carcere ci sono un sacco di musulmani per cui in cielo non c’è nessuna regina, al massimo ci sono le uri a uso e consumo dei martiri?

Ci sono delle sezioni elevate a monumento nazionale: sono entrate nel nostro immaginario coi film anni ’50, con le porte di legno spesso, le ringhiere, il cortile per l’ora d’aria. Ma c’è qualcosa di ancora più monumentale e storico, anche se fresco come le cose dei bambini insegnate loro dai vecchi: il presepio. Dietro le sbarre c’è una gemmazione di gesubambini, capanne e asinelli.

In questo momento il carcere di Regina Coeli è divenuto forse l’angolo del nostro Paese dove c’è la più forte resistenza cristiana al neopaganesimo. Soprattutto quello travestito da politicamente corretto. Strano ma vero. Con tutti i problemi e la vita grama delle galere, e il caso Cucchi, e le tragedie di quando manca la libertà però qui il Natale è Natale, nel senso che nasce Gesù. Non si concepisce tra queste mura Natale senza Gesù, fisico, carnale, roseo, amatissimo forse perché è stato carcerato anche lui. Ricordate le polemiche sulla scuola di Cremona e la festa delle luci privata di Gesù Bambino? Non è un caso isolato, ci sono tanti asili comunali dove si rappresenta la fiaba del funghetto e dell’extraterrestre pur di non parlare di Betlemme. Nelle scuole statali, in nome del multiculturalismo e del rispetto per l’Islam o per chi professa ateismo o quel che voglia, si elimina spesso la nascita del Salvatore come causa della festa. Si fa la festa della luce, ma senza che la luce illumini il volto del Bambinello. Una luce senza senso. Qui no. Sono mille i detenuti, la gran parte - più del 90 per cento - in attesa di giudizio. Più della metà sono stranieri, prevalgono i romeni. Ma sovrabbondano - sono alcune centinaia - i carcerati coi nomi arabi di musulmani. Eppure nessuno si sogna di togliere le immagini sacre (come in tutte le prigioni sovrabbondano Padre Pio, il Gesù misericordioso, la Madonna di Medjugorje, Papa Wojtyla e Madre Teresa di Calcutta) e men che meno i crocefissi. Di questi tempi però le carceri, e soprattutto Regina Coeli, sono il posto dei presepi, dove Gesù che nasce rallegra tutti, anche gli islamici. Nessuna protesta, nessun dubbio. Anche i romeni ortodossi, che non concepiscono ufficialmente il presepe, che è cosa tipicamente cattolica, costruiscono la scena ambientandola sotto architetture d’oro invece che nella povertà.

I presepi grandi sono dieci. Alcuni sono capolavori. Quello alla rotonda è del tipo napoletano. Lo hanno allestito alcuni partenopei, lo scheletro e le meravigliose statuine erano state donate alla famosa suor Paola, che le ha passate ai detenuti. Un agente che si intende di elettricità dà una mano. C'è una roccia, la capanna è in alto. Come la libertà, desiderata, a portata di mano, in salita però. Padre Vittorio, il cappellano, racconta che a Regina Coeli si preparano dal 1981, sezione per sezione e c’è una gara. Il direttore Mariani e il comandante Meschini guardano ammirati questa produzione artistica. Forniscono statuine, muschio e sabbia. Ma spesso le statuine le fabbricano, con strumenti ammessi qui dentro, i prigionieri. E c’è un amore tremendo nel volto di Gesù ricavato nel legno dolce con il tagliaunghie. Omar, senegalese di Dakar, nell’ottava sezione dice: «Mi piace il presepe, mette allegria». Un romeno è riuscito a farsi dare la carta igienica e un po’ di maccheroni. Li cuoce e stracuoce, poi modella la poltiglia, e ne escono statuine modellate con dita ruvide e delicate. Nelle celle poi ci sono i presepi individuali, conchiglie peruviane con chicchi che formano la Sacra Famiglia. C’è sempre molta acqua, a cascata, a lago, vera, dipinta. Si capisce che l’acqua è il simbolo della libertà, e Gesù guarda chi li guarda. Trascrivo i nomi degli artisti: Vincenzo, Fabio, Antonio. A Regina Coeli noi custodiamo i detenuti; i detenuti custodiscono quel che resta dei segni cristiani. Cosa cantava l’angelo a Betlemme? «Pace in terra agli uomini di buona volontà».

Se la prof è suora il velo non piace più. R. Farina. Una suora in cattedra fa paura Potrebbe creare passione


Vogliono mandare al confino le suore, estrometterle dalla vita pubblica, chiuderle in monastero. Sta accadendo a Roma in questi giorni, scuola elementare Jean Piaget, via Suvereto. Un gruppo di zelanti genitrici, guidate da una «cassintegrata dell'Alitalia» ha chiesto la testa di una maestra colpevole di essere suora. Costei è un tipo minuto. Non ha fatto propaganda di Gesù, quando mai. Insegna italiano, ha il curriculum giusto, i titoli di studio, sta in graduatoria. Ma per il fatto di essere suora, secondo la cassintegrata dell'Alitalia (un nome, un programma), non può essere una dipendente dello Stato laico. Deve sparire.
Scrive Fabrizio Caccia sul Corriere della Sera: «Un gruppo di mamme ieri mattina ha incontrato la preside, Maria Matilde Filippini. Il motivo? La nuova maestra d'italiano della II C, da venerdì scorso, è una suora. Suor Annalisa Falasco, padovana, 61 anni, della congregazione di Maria Consolatrice, è stata mandata dal provveditorato di Roma a sostituire l'insegnante di ruolo, che ha appena vinto una borsa di studio e se ne è andata altrove. Dice ora Patrizia Angari, trentasei anni, cassintegrata Alitalia, a nome pure delle altre mamme: «La nostra è una scuola pubblica, una scuola statale, perciò se serve faremo ricorso al Tar. Qui non è in discussione la persona, la suora sarà pure bravissima ma io contesto l'istituzione che rappresenta. Cioè la Chiesa. Voglio vedere cosa dirà la maestra a mio figlio quando Valerio le chiederà come è nato l'universo. Sono atea e credo che la scuola pubblica debba essere quantomeno laica. O no?».
Che Paese stiamo diventando? Dov'è che si era vista una scena così? La madre lavoratrice che organizza un comitato di mamme democratiche e smaschera il traditore che corrompe i fanciulli? Va be', c'è stato il caso di Socrate, ma non esageriamo. Più vicino a noi: Unione Sovietica, ventesimo secolo. Arcipelago Gulag di Solgenitsin racconta vicende di questo genere. Sbugiardare il finto compagno, rivelare che è un prete, consegnarlo alla vergogna popolare. Sulla Pravda apparivano le lettere delle mungitrici di renne, da noi le più rappresentative sono le hostess Alitalia, ad alcune delle quali i privilegi devono aver dato alla testa. Anche da cassintegrate è più alto il loro mensile di quello complessivo di un esercito di suorine che puliscono il sedere a bambini e a vecchi.
C'è bisogno di spiegare perché tutto questo è razzismo, convinto per di più di essere progressista? I razzisti sono quelli che dividono gli esseri umani in due categorie: le persone degne di godere dei diritti umani, e quelle meno, molto meno. Qui si nega a una persona il diritto di meritarsi un posto di lavoro sulla base dell'appartenenza a una religione. Se ci fosse una magistratura seria interverrebbe aprendo un fascicolo sulla vicenda intestandolo alla Legge Mancino, là dove si punisce «... con la reclusione sino a tre anni chi (...) incita a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» (art. 1).
Una bella idea di laicità esprime la mamma citata. È in linea di navigazione con una deriva tutta occidentale. L'Europa si vuole annullare, si odia. Detesta le sue origini. In nome dell'illuminismo giacobino fa fuori l'illuminismo ragionevole, e con esso si uccide, lasciando spazio a una tranquilla invasione islamica.

Il principio di uguaglianza è per la cultura dominante come una pialla: implica omogeneizzarsi alla religione di Stato, che a quanto pare esige la riduzione della fede a fatto privato, con una ridicola confusione tra laicità e miscredenza violenta.
La cosa più incredibile non è che ci sia in giro qualcuno con le idee strane, ma che raduni intorno a sé gente normale pronta a darle ragione. E in Italia siamo ancora fortunati, perché questi casi appaiono isolati. Ma ci sono inchieste condotte specie nel Nord Europa dove si rivela che essere cristiani è un vero handicap sociale. Si chiama cristianofobia questa malattia europea, si è espressa nella sentenza contro i crocifissi sulle pareti delle scuole, e in Italia ha questi epigoni. Il risultato? È molto più difficile trovare comprensione se sei una suora che se sei un imam. O un propagandista dello yoga . Fare il presepio è intolleranza, invece introdurre, ad esempio, il buddismo è ritenuto molto laico, in perfetta armonia con la laicità della scuola. La preside Filippini, che è donna di buon senso, dichiara: «L'insegnante che c'era prima della suora impartiva ai bambini dei corsi di benessere yoga: li faceva sdraiare in cerchio, disegnava dei mandala e recitavano insieme dei mantra... ». Om, Om, Om. Quello andava benissimo alla signora dell'Alitalia. Invece nominare Gesù a Natale è un delitto.
Noi suggeriremmo alla suora, se non è troppo tardi, di dichiararsi sì suora, ma anche lesbica, o almeno suora incinta, e farsi fare un anatema dal vescovo, come nei film alla moda di Almodóvar. Diventerebbe un'eroina. Forse le perdonerebbero persino se facesse dire le preghiere ai bambini.

r.farina giornale.it



Una suora in cattedra fa paura Potrebbe creare passione

La Fede non può essere 'vista'? Protesta a Roma


di Marina Corradi


Tratto da Avvenire dell'11 dicembre 2009

È arriva­ta la nuova maestra.

È abilitata all’ insegnamen­to, ha alle spalle anni in cattedra, secondo le graduatorie il posto tocca a lei. Ma quando entra in aula, in una elementare statale di Roma, delle madri corrono dalla preside. A protestare, indignate. Perché quella maestra, è una suora.

Visibilmente una suora: porta perfino la veste nera sopra al velo bianco.

Troppo, davvero, per quelle mamme 'laiche e democratiche', che ora minacciano ricorso al Tar.

Chi ha paura di una suora?

Quella di Roma è una donna di 61 anni, i capelli grigi, l’aria, a dire il vero, mite. Ex allieva del cardinale Martini, neanche porta sulla veste quel crocefisso attorno al quale oggi tanto animatamente si discute.

Sorride tranquilla: «Tanto ce l’ho qui dentro, nel mio cuore». E dunque la storia di Roma nemmeno è una questione di segni esibiti o rifiutati. «Cosa risponderà», trema invece una madre, «se mio figlio chiedesse come è nato l’universo?» Già. Non le verrà mica in mente, alla sorella, di accennare, accanto alla corretta idea evoluzionista, l’assurda ipotesi di un Creatore?

(Dove si vede come certo laicismo radicale sia in realtà un credo integralista, spaventato all’idea del confronto con l’altro).

E non importa se la legge italiana non preveda – e ci mancherebbe altro – la esclusione dei religiosi dall’insegnamento, in un’inimmaginabile discriminazione fra cittadini e sotto- cittadini.

Tuttavia in qualcuno permane un meccanismo automatico, quasi pavloviano, per cui quell’abito è intollerabile.

L’abito che sta a indicare, netta, ben visibile, l’appartenenza cristiana.

Altrettanto cristiani però sono, nelle loro vesti borghesi, migliaia di maestri e professori nelle nostre scuole. Qual è il punto di attrito, allora?

Forse l’abito di una suora come segno indiscreto e visibile della propria fede.

Che è ammessa finché sia faccenda pudica, privata, mantenuta estranea alla vita quotidiana. Finché stia in chiesa e non si immischi di cose concrete come la politica, o l’educazione.

Come farebbe, altrimenti, un maestro che manifestamente creda in un Dio a presentare agli alunni l’umano scibile con la dovuta neutralità, con la necessaria prudente equidistanza da ogni visione del mondo? Come farebbe a insegnare che nulla è oggettivamente vero, ma tutto invece opinabile, secondo l’imperativo del relativismo in cui oggi, coscientemente o no, si crescono i figli?

Una suora in cattedra, questo no. Il rigurgito di una sorta di razzismo laico. No, nemmeno se non porta il crocefisso sul petto: tanto ce l’ha nel cuore, dice.

Peggio, direbbero quelle madri, se fossero più acute.

Perché un crocefisso di legno potrebbe anche essere lì, e non rappresentare niente.

Potrebbe restare sul muro di un’aula a impolverarsi, innocuo sotto a sguardi abituati. Ma se davvero uno ce l’ha, come dice la suora di Roma, nel cuore, allora ha un’attenzione all’altro che meraviglia, col tempo, anche i bambini di una chiassosa classe elementare. Perché quella veste e quella croce si testimoniano nella passione all’altro. Perfino al ragazzo dell’ultimo banco, apparentemente il peggiore. E quanta ce ne vorrebbe, di questa passione, in certe nostre aule di ragazzi lasciati soli, di figli bulli per noia.

Perchè Gheddafi può offendere Gesù?

Arrivato a Roma, che resta in fondo la capitale della cristianità, Gheddafi non ha staccato il crocifisso dal muro. A quello ci pensa l'Europa. Lui ha preteso di identificare chi vi è stato inchiodato. Dicendo: «Non è Gesù, non è mai stato Gesù». «Era un sosia, uno che gli assomigliava», ha predicato con solennità. Per citare l'agenzia Ansa si sarebbe espresso così: «Voi credete che Gesù è stato crocifisso ma non lo è stato, lo ha preso Dio in cielo. Hanno crocefisso uno che assomigliava a lui». Ma non solo: «Gli ebrei hanno cercato di ammazzare Gesù perché lui voleva rimettere sulla via giusta la religione di Mosè».

Insomma: Gesù è un profeta dell'Islam, e sarebbe una specie di vigliacco che scappa in braccio a Dio per non farsi mettere a morte dagli ebrei, lasciando che sia un altro a soffrire per lui. La nostra idea, forse la nostra speranza, è che ieri a dire queste bestialità beduine non sia stato il vero Colonnello ma un suo sosia. Una pratica molto nota tra i capi musulmani. Saddam Hussein ne aveva una dozzina, è stato scritto un bellissimo libro sul tema da Martin Amis. Probabile ne abbia anche Gheddafi, ma la prossima volta li scelga più intelligenti, e anche più rispettosi delle persone e del luogo dove va a pontificare.

La storia, per le persone cui fosse sfuggita, è questa: il capo del popolo libico, a Roma per il vertice della Fao, ha fatto rastrellare duecento ragazze alte e belle, vestite in modo castigato. Ha donato a ciascuna una banconota, poi ha cercato di convertirle. Da noi, nei Paesi occidentali, non è vietato: c'è libertà religiosa e anche di proselitismo. Ma da noi c'è anche il diritto di critica. E per il momento abbiamo anche il diritto alla difesa della Bibbia e in essa del Vangelo.

Stiamo un attimo sul punto. Quella della crocefissione di un Sosia, non è una trovata del leader libico, è una affermazione che sta scritta nel Corano. Il quale fa di Gesù un Profeta, ma nega l'essenziale su di lui, lo mangia e lo digerisce per il comodo di Maometto, che voleva sostituire la Rivelazione cristiana con la sua. Legittimo, da noi c'è libertà di religione. Ma il fatto che il rappresentate di un popolo convochi, con 50 euro di mancia al netto delle tasse, cento ragazze italiane per indottrinarle, senza diritto di replica, è qualcosa che se fosse stato fatto - a parti rovesciate - in Arabia o in Libia, il predicatore non sarebbe vivo. Se ad esempio, alla Mecca (che corrisponde più o meno a Roma per l'Islam) Berlusconi andasse a sostenere che Maometto sposando una bambina di nove anni ha violato l'infanzia, sarebbe stato decapitato come minimo, più probabilmente lapidato.

Noi ci ricordiamo bene quando, con il pretesto della maglietta con la vignetta su Maometto indossata dal ministro Calderoli, per poco non si dichiarò guerra all'Italia e fu assaltato il nostro consolato a Bengasi. E quella maglietta era assai delicata rispetto alla negazione ostentata, nella Roma di Pietro, della verità storica sulla passione e sul Calvario. Una specie di insensato negazionismo. Finché resta nei confini delle moschee ed è esposto da semplici imam, offende la nostra comunità e la nostra tradizione, ma ci sta, amaramente ci sta: è il prezzo della tolleranza e della libertà. Ma un capo di Stato non può abusare della sua intangibilità di ospite nonché di detentore del gas e del petrolio. Esistono dei doveri di civiltà, anche fra i beduini in visita, e conviene che qualcuno li ricordi al leader Gheddafi.

Il nostro governo fa bene a cercare buoni rapporti con la Libia. La Libia deve fare anch'essa un passettino per averli buoni con noi. Il primo modo è di rispettarci, o almeno di fingere di farlo, sarebbe già qualcosa.

Sintetizzo le ragioni per cui stare in pace con la Libia e il suo leader.

1) La questione di un'amicizia forte tra Paesi mediterranei, a partire da Tripoli, ci rende interlocutori seri per la pace in Medio Oriente.

2) L'importanza di una cooperazione italo-libica nella lotta al terrorismo e per lenire ferite coloniali è ovvia ed ha aspetti di alta moralità.

3) La necessità di contenere l'immigrazione clandestina dalle coste della Tripolitania e di avere certezze nell'approvvigionamento energetico è prioritaria e indiscutibile.

4) Il criterio universale della tolleranza impone di accettare la diversità nella concezione della democrazia e della religione di un leader come Gheddafi;

5) Questi buoni rapporti rendono più efficaci le nostre pressioni per l'affermazione in Libia dei diritti umani. Ma non ci sono prezzi, il senso della decenza non è in vendita. Non si può far passare per stravaganza l'offesa cosciente di Gheddafi. Egli colpisce il sentimento profondo del nostro popolo, quel Cristo in croce a cui è affezionata anche la gente che non crede sia Dio.

Ma a cui dà fastidio sentirsi dire a casa propria che quel Gesù esposto sulla Croce il Venerdì Santo e che sta sul petto delle nostre mamme e nonne è un trucco. Chieda scusa Gheddafi, se vuole gli siamo amici. Non si fa terrorismo religioso. È un delitto.

P.S. A proposito di dialogo e di presunte offese. Qualcuno ha giudicato le dichiarazioni di Daniela Santanchè su Maometto pedofilo inopportune perché si scontrerebbero con comportamenti altrettanto inaccettabili di personaggi biblici. Perfetta ignoranza. La vita di Maometto e il Corano sono Parola di Dio immutabile, esempio perenne, consacrazione di Verità e di Etica, non suscettibili di critica. Invece la Bibbia per i cristiani (e gli ebrei) è ispirata da Dio, è il racconto di come Dio interviene nella storia, scritto da una mano umana. La Parola è Cristo stesso. Invece il Corano e il suo racconto è un ordine. E lì c'è la differenza grande. Al di là dei comportamenti egualmente deprecabili di tanti cristiani e di tanti musulmani, la differenza sta nel manico. L'Islam è stato fondato e ha per paradigma un uomo che ha versato il sangue degli altri. Gesù Cristo ha versato il suo per gli altri. Che Gheddafi venga a negare questo, e per di più a Roma, e per giunta abusando della nostra ospitalità e sputando addosso a ragazze inermi le sue bufale islamiche, è grave. Speriamo sia stato un Sosia.

r.farina ilgiornale

Prima della libertà e del mercato fu la Bellezza a trionfare. di Renato Farina

Ciò che spinse gli uomini ad abbatterlo fu il desiderio di infinito che quell'ostacolo gli negava

Non capiamo nulla di quanto accadde dall’altra parte del Muro, se ragioniamo in base ai parametri consumismo-anticonsumismo. Dall’altra parte, a Berlino Est, a Mosca, c’era il materialismo ma non c’era la materia da consumare. Pance vuote, tranne che per la nomenclatura. L’ateismo aveva cercato di piallare dal cuore qualsiasi cosa che fosse desiderio di infinito, ma aveva strizzato anche gli stomachi. Logico che l’Occidente fosse visto come il luogo della libertà spirituale e materiale. La bellezza di costruire. E poi certo c’era la goduria di merci, di supermercati, di banane e vino, e ballare la sera senza rompiscatole della polizia. Per cui Marcello Veneziani, intervenuto ieri su queste pagine con la magia del suo stile, ha ragione ma solo per quanto riguarda noi. Siamo noi ad avere perduto il senso dei beni materiali, allora e oggi.

Cito un episodio per me decisivo per capire, raccontato da Olga Martynenko.

Negli anni Settanta Georgij Vladimov, un grandissimo scrittore della schiatta di Solzenicyn e Grossman, incontrò Heinrich Böll nei suoi anni di forzato esilio. Allora in Occidente c’era una gran paura dei carri armati dell’Est. Ma Böll era magnanimo: «Le pietre dell’Europa sono sacre, non si può versare altro sangue su di esse, e se dovessero venire i soldati russi armati di mitra ce ne staremmo seduti a bere in santa pace la nostra birra». «Lei ha dimenticato - gli chiese Vladimov - la scritta dei chioschi di birra a Mosca: “Birra terminata”?».

Noi siamo così: imbelli. Per loro la birra o è con la libertà, oppure si perdono tutt’e due. Invece da Ovest si è sempre preteso di fare la lezione anche agli eroi. Per loro la libertà non ha mai potuto essere separata dall’idea di bellezza, oltre che di birra e preghiera. Per questo noi stiamo annichilendoci. Non perché anzitutto abbiamo rinunciato alla morale (anche). Ma perché facciamo a meno della bellezza, oppure non la leghiamo più allo splendore della verità, ma al piacevole, al rifiuto di qualsiasi cosa che sappia di dolore e sacrificio (cioè l’amore).

E allora ricordiamocelo. Il 9 novembre del 1989 cadde il Muro di Berlino. Non è che cadde e basta. Fu proprio squassato, tirato giù, blocco di cemento per blocco di cemento, da uomini che avevano bisogno di questa opera fisica e simbolica per poter respirare a pieni polmoni. Respirare, sentire l’aria fredda entrare nella gola come un soffio liberatore. E il primo gesto non fu spargere sangue, come le rivoluzioni fanno sempre, ma la musica. La lotta per la libertà è sempre accompagnata dalla musica. La musica è l’espressione più pura - insieme con la donna - della bellezza. Bellezza, libertà, musica, donna si somigliano, sono quasi sinonimi. Mstislav Rostropovich, il grande meraviglioso violoncellista amico di Solgenitsin, improvvisò un concerto. Andò sotto ciò che restava del muro e inondò di armonie l’aria di Berlino, il mondo intero. Solo la musica, solo la bellezza poteva spiegare, penetrare, proporre l’essenza di quanto accadeva. Gli uomini e i popoli hanno dentro di sé una scintilla che i tiranni si illudono di aver spento, o di tenere a bada uccidendo o imprigionando nei lager. Ma quando tutti paiono stanchi, esauriti, ecco che la tirannide diventa insopportabile, ci si accorge che esistere da uomini esige di poter vivere secondo le dimensioni piene della libertà e della verità, senza aver paura che di notte qualche gendarme incappottato bussi all’uscio urlando: “Polizia!”. Ed ecco si abbattono i muri, e si canta.

Certo. La storia non è finita. La democrazia e la libertà sono come bicchieri in cui gli uomini versano il loro vino. Vino buono o cattivo, a volte veleno. È il rischio della libertà. E il violoncello di Rostropovich e quella musica che ci è entrata in testa, nel cuore, più nostra di noi stessi, saranno sempre delicati come bambini. Per questo il 9 novembre è festa. È la festa di un bambino. Ha vinto, almeno quel giorno, la bellezza.

Il cristianesimo di Don Gnocchi




venerdì 23 ottobre 2009

Sarà bello poter pregare il Beato Carlo Gnocchi, come tanti hanno già fatto per tutti questi anni, dal 1956 in poi, sapendolo santo. Consola sapere che la Chiesa, esperta in umanità, ha visto e approva, dopo che Dio concedendo il miracolo ha detto di sì. Interessante anche il tipo di miracolo. Un elettricista brianzolo che lavorava da volontario a un centro per disabili a Inverigo ed è rimasto folgorato, impossibile sopravvivere. Ma la folgore non lo ha ucciso avendo egli invocato istantaneamente don Gnocchi.

Prima dell’incarnazione di Dio in Gesù non si poteva vedere Dio senza morire, ora invece lo si può guardare, contemplare nel volto dei santi. Il cristianesimo di don Gnocchi è questo: una folgore che invece di uccidere dona la vita, dentro la vita, dentro il dolore, il marcio della condizione umana, dentro le cose normali. La folgore di una umanità diversa.

Per chi non abbia tempo di leggere le biografie a lui dedicate, ecco un riassunto. Carlo nasce nel 1902 a San Colombano al Lambro, nella Bassa. Il padre muore quando ha cinque anni di silicosi, era operaio marmista. La mamma si trasferisce a Milano, i suoi fratelli sono uccisi dalla tbc. A questo punto Carlo si fa brianzolo, a Montesiro incontra un sacerdote che lo affascina, va in seminario, è prete a 23 anni. Quindi l’oratorio, l’educazione dei ragazzi. Infine è alpino.

Se i suoi studenti, amici e fratelli vanno in guerra lui è lì con loro, non obietta, parte, odiando la guerra, ma lì. Va nei Balcani, poi in Russia. Tra i soldati, uno di loro, però testimone di una Presenza straordinaria. La purezza della castità, contento di essere prete, senza astrarsi, senza fuggire dalla sporcizia e dal sangue. Anche in battaglia. La famosa battaglia di Nikolaevka.

Nel suo libro “Cristo con gli alpini” scrisse: «In quei giorni fatali posso dire di aver visto finalmente l'uomo. L'uomo nudo; completamente spogliato, per la violenza degli eventi troppo più grandi di lui, da ogni ritegno e convenzione, in totale balìa degli istinti più elementari emersi dalle profondità dell'essere». Amare questi uomini come Cristo, amico senza giudicarli, senza escluderli perché preda degli “istinti più elementari”, nessuno scandalo, perché l’uomo nel dolore e nella malattia è salvato.

Ritorna. Ha ricevuto le confidenze dei morti, le lettere. Gira per l’Italia a portare alle famiglie notizie tragiche di persone che ha visto morire. Si prende cura degli orfani. Poi si dà da fare per i bambini mutilati dalla guerra e ancora falcidiati dalle bombe abbandonate. Mette su istituti (la “Pro Juventute”), si fa tutto a tutti, specie con i bambini perché consegnino le loro sofferenze a Gesù.

Prende sul serio i bambini, non li considera bambole di pezza parlanti. Sa che anch’essi cercano il senso della vita, e persino il loro dolore assurdo trova senso sul costato del Crocifisso (e Risorto). Le opere si moltiplicano. Il riconoscimento dei politici non manca; ancor oggi Giulio Andreotti, che ebbe da De Gasperi l’incarico di sostenerlo nelle varie iniziative, dice di lui: «Non gli si dirà mai grazie abbastanza». Don Carlo si consuma. Ha il volto bianco come la neve.


A proposito di neve. A me resta impressa questa frase: «Com'è bello giocare con la neve quando è pulita e bianca. Anche Gesù gioca volentieri con le anime dei bimbi quando sono bianche e pulite; ma se diventano sporche a Gesù non piacciono più…». Cosa colpisce? Egli sa che esiste la libertà, gli uomini possono dire sì o no, anche quando sono bambini. La drammaticità dell’esistenza umana inizia presto. E per questo c’è bisogno di adulti che rischino tutto per i loro ragazzi, i quali si affidino a loro volta al maestro, dentro un’affezione che corrisponde al bisogno del cuore.

Egli, magro, consumato, felice, morì a 54 anni dicendo: «Grazie di tutto». Lo diceva a Dio, lo diceva agli amici, ai bambini, agli alpini, a noi. Nelle varie polemiche che si sono susseguite in questi anni (ma durano da secoli) a proposito della risposta cristiana al mistero del dolore innocente, la risposta di don Gnocchi all’enigma è bianca come la neve e rossa come il sangue di Cristo. E si scusi l’immagine un po’ ardita, ma in fondo Gnocchi era ardito e ardente. Egli sapeva che quel dolore dei bambini, perché non fosse buttato via, andava versato nella mano del Signore, ma nel far questo ha fatto di tutto per lenirlo, per combatterlo. Se uno vuol bene dice: “donna non piangere!”, come Gesù alla vedova di Naim.

Negli ospedali di don Gnocchi, nelle sue case, non si lesinavano denari per acquistare le migliori tecnologie per estirpare il dolore, per consentire di camminare meglio ai mutilati. È stato il primo a donare le sue cornee per consentire a due ciechi di vedere, anticipando la legge con il suo gesto profetico. Altro che oscurantismo cattolico o dolorismo sadico. Tutto per Cristo e per gli uomini. Perché i bambini si immedesimino in Lui, e anche gli adulti siano pienamente uomini come Lui. Disse: «Cristo vero Dio e vero uomo, è l'esemplare e la forma perfetta cui deve mirare e tendere ogni uomo che voglia possedere una personalità veramente umana».

Aveva visto l’orrore in guerra, l’istinto belluino, quello di vivere anteposto a tutto, nel gelo russo. Eppure don Carlo anche lì riuscì a essere - e la sua testimonianza vale tuttora - “seminatore di speranza”, secondo la definizione per lui coniata da Giovanni Paolo II. Il destino è buono. L’uomo è capace di male, ma è più forte la grazia.

Diceva: «L’ultima parola spetta sempre al bene». E si rivolgeva sempre, nel buio e nella melma, alla «Madre tenerissima, mediatrice di Grazia». Per questo è bello che sia stato fatto Beato, e la sua faccia lunga e lieta appaia sul grande stendardo domenica in Piazza Duomo a Milano, sotto la Madonnina d’oro.



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Tolgono i figli agli obesi ma i gay possono adottarli

di Renato Farina

Tratto da Il Giornale del 23 ottobre 2009

È accaduto un caso grave di obesofobia, cioè di persecuzione degli obesi, in Scozia, a Dundee.

Hanno portato via prima i figli grandicelli e poi un neonato a una coppia di sposi grassi, i quali sono portati ad avere bambini che sono fatti come loro: rotondi. Un caso chiaro di razzismo medicalmente corretto.

I fatti. La mamma è di Dundee, ha 40 anni. Lunedì, settimo figlio nato per parto cesareo. I ladri di bambini, chiamati in questo caso servizi sociali, sono stati inviati dal Comune (City Council). Il motivo: lei pesa 140 chili e passa, il marito 110, i sei precedenti figli sono tutti sul quintale. Di questi sei, tre sono già stati allontanati dalla coppia, e tre lo saranno presto.

I giornali britannici la chiamano la «fat family»: la famiglia grassa. Io la chiamerei una ex famiglia devastata da pirati della burocrazia. Si tratta di un atto da bucanieri con il timbro della legge.

Nessuno qui vuole consigliare alla gente di portarsi addosso rotoli di lardo, né che si debbano gonfiare i bambini di intrugli. L’alimentazione corretta è importante, e così via. Ma questo zelo per il corpo perfetto, per il rapporto ideale tra altezza e peso stabilito per legge è esso sì un vizio, altro che l’obesità fisica. È una obesità morale. Preferisco l’intemperanza nel gustare il cioccolato, che l’incontinenza nell’inondare dei propri comandamenti igienici il mondo. Basta così, per favore. Se i diritti umani si misurano a peso, i grassoni dovrebbero averne di più, e allora li si rispetti.

Sembra un articolo leggero, vero? Un po’ spiritoso. I ciccioni del resto fanno ridere. Ma il riso è di certo più umiliante e talvolta più violento dello sguardo digrignante. Bisognerebbe proporre e approvare davvero una legge contro l’obesofobia, se non facesse ridere. Qualcosa però va fatta presto. Ormai siamo alla persecuzione contro le persone considerate troppo grasse sulla base di parametri infallibili non più salutistici ma morali. Perché la salute, l’immagine e l’igiene si sono trasformate in divinità bisognose di sacrifici umani. E i grassi vengono trattati come esseri umani deficienti, incapaci di controllare pulsioni elementari. Può essere. Non si capisce perché non resistere alle tentazioni sia un problema sociale solo se c’è in ballo una pastasciutta. Se una donna desidera una ragazza e se la prende, si grida: viva i sentimenti. Se poi adottano un bimbo, ecco il giurista: è un diritto. La sfortuna della coppia di ciccioni è che non sono dello stesso sesso, altrimenti sarebbero stati difesi da Canale 5 e dal Comitato diritti umani. Se fossi il loro avvocato consiglierei alla madre di definirsi transgender, e di prendersi il nome d’arte di Goduxia.

Va così. Il libero orientamento della propria vita verso il cibo, abbondante e succoso, è definito una malattia irredimibile, trasmissibile per contagio e per frequentazione. Se uno osa ormai avere un dubbio sulla linearità morale o naturale dell’omosessualità è passibile di denuncia. In questi campi dell’«orientamento sessuale» il Papa non conta niente, è trattato come un reazionario torturatore. La nuova suprema cattedra etica è l’Organizzazione mondiale della sanità con sede in Svizzera. Essa ha proclamato i suoi dogmi e nessuno li discute. Anche se la citata religione dal camice bianco non ha ancora trovato un rimedio al raffreddore e alla calvizie, sulle profondità della psiche umana sa tutto, povera illusa, ma guai a chi non le crede. Così ha decretato sia giusto sanzionare come malattia anche mentale l’obesità e invece ritiene assolutamente congruo alla natura umana essere gay, bisex, transgender eccetera. Qui non ne discuto, guai, ho già abbastanza grane. Ma bisogna finirla con la persecuzione un tanto al chilo.

Essa è tipica anche degli ambienti trasgressivi. Alcuni anni fa mi capitò di leggere il romanzo dello scrittore giovane del momento, dissacratore, avanguardista, anarchico. Bisex quanto al sesso, come no? Ed ecco che definì il padre del protagonista «sovrappeso». Avrei capito: ciccione, barile di strutto, palla di lardo, eccetera. Ma «sovrappeso» è un ossequio all’idea di peso perfetto. Questi bricconi del sesso hanno la testa piena di tabelle fornite dall’associazione dei dietologi e dai giuristi inglesi. Rivoluzionari un par di balle.

La tortura dei grassi è la tipica maniera con cui gli Epuloni dei Paesi prosperi puniscono i poveri e li fanno sentire inferiori. Da che cosa si capisce un Paese ricco da un Paese povero? Nel Paese ricco (Svizzera, Italia, America, Gran Bretagna) di solito i ricchi sono magri e i poveri grassi (costa molto essere magri). Nei Paesi poveri è il contrario. Per di più nei Paesi ricchi si cerca di far pesare ai grassi (poveri) il fatto che in tante parti del mondo i bambini sono scheletrici. È un altro modo di offendere i poveri, di trattarli come reprobi. È l’obesofobia silenziosa. Ma un giorno i grassi si ribelleranno e si siederanno sopra di voi.

Tutti i buoni motivi per frenare sulla Ru486. Di Renato Farina

Oggi l’Agenzia italiana del Farmaco si riunisce per dare il via libera all’aborto chimico. Ma come si fa a sostenere che non è un metodo dannoso se oltre a togliere la vita a un piccolo essere umano spesso uccide anche la madre?


di Renato Farina
Tratto da Il Giornale del 19 ottobre 2009

La gente è stanca di sentir parlare d’aborto. Comprensibile. Ma forse sono più stanchi i bambini di essere abortiti, ma anche le donne di vedersi porgere una pistola per farli fuori senza troppi problemi. Parlo della pillola Ru486. Per cui invito, comunque la si pensi, a rinunciare per un momento al sentimento di noia, e di mettere gli occhi su quanto accadrà oggi, proprio oggi. Infatti questo lunedì mattina è in raduno il Consiglio di Amministrazione Aifa (Agenzia italiana del farmaco), l’ente di diritto pubblico che questa estate in un batter di ciglia ha stabilito «conformemente al resto d’Europa» di autorizzarne l’uso, ritenendola in linea con la legge 194.

Nei giorni scorsi Il Giornale ha correttamente (noi non siamo oscurantisti) riferito di uno «studio che dimostra» come questo forcipe chimico, avente il potere di liquefare quegli esserini che a suo tempo fummo tutti noi, non noccia. In sintesi: la 194 autorizza - a certe condizioni - l’aborto. E qui le condizioni sarebbero rispettate, anzi eliminerebbe tanti problemi e spese d’ospedale.

Mi ha molto colpito il titolo. Esso riferisce tra virgolette questo giudizio: «Pillola abortiva non dannosa» (Il Giornale, 17 ottobre, pagina 22). Io ero abituato a pensare alle medicine come aiuto a guarire le malattie, e non credo che concepire e aspettare un bambino sia una malattia. Qui però c’è proprio una bugia. Come si fa a sostenere senza arrossire che non è «dannosa». Di certo la pillola almeno a qualcuno (non a qualcosa) fa male, parecchio male, fino a estirparne la vita. E si capisce che sto parlando di embrioni, feti, bambini non nati, fate voi.

Non è questo il punto, oggi, però. E a me non pare affatto che quello studio che vorrebbe beatificare questa Ru486 sia innocente. Anzi. Noto questo: la frase del titolo (Pillola abortiva non dannosa) è usata dalla rivista scientifica. Scientifica senz’altro, ma non proprio super partes: con grande professionalità Enza Cusmai, autrice del servizio, nota che è edita dalla casa farmaceutica che produce la molecola abortiva, il mifepristone. Mi rendo conto: quando uno come me usa una parola del genere si toglie da solo il diritto di parola. Ma qui, senza entrare troppo nella tecnica, noto come molti studi scientifici (qui non li cito, ma sono pronto a elencarli) dimostrino l’esistenza di molti punti oscuri.

Le morti dopo somministrazione di mifepristone sono purtroppo per la maggior parte ancora inspiegate. Dal dossier della ditta risultano 12 morti dopo Ru486 per un uso non abortivo, e 17 dopo uso abortivo.

Il fatto che il farmaco non sia stato usato per aborto, non permette di escluderne la pericolosità, come vorrebbe la rivista, ma semmai farebbe pensare il contrario, e cioè che questo farmaco ha delle implicazioni pericolose proprio per le sue caratteristiche, indipendentemente dal fine, abortivo o meno. Per esempio: una delle morti - citate dall’articolo - è quella di un maschio, che ha assunto la Ru486 per curarsi la depressione. L’uomo è morto inspiegabilmente per «disordine cardiaco», nessuna autopsia è stata eseguita, nessuno ha saputo spiegarne il decesso. Come si può escludere che sia stato il farmaco, se non si indaga?

Per le donne morte mentre prendevano la pillola, l’azienda farmaceutica sostiene che il danno fatale è dovuto a un uso non appropriato, in unione a un altro farmaco - misoprostolo - che pronuncio per l’ultima volta. Peccato che proprio quell’uso non appropriato sia quello consigliato nel manuale «Safe abortion» dell’Organizzazione mondiale della Sanità. Ma anche in Emilia Romagna si agisce secondo modalità diverse da quelle autorizzate negli Usa. Insomma: come si vede, c’è molta confusione sotto i camici, e non si capisce perché indorare così una pillola che comunque sia ammazza, i bambini sempre, le madri qualche volta.

Esempio, fra le donne morte durante la somministrazione della Ru486, la prima, nel 2001, è stata una canadese morta d’infezione durante una sperimentazione ufficiale, in ospedale, quindi sotto stretto controllo medico, sperimentazione che fu interrotta subito dopo il decesso, e per questo in Canada la Ru486 non è stata più introdotta.

Le massime autorità americane tipo la nostra Aifa (Fda e Cdc) hanno organizzato un convegno internazionale ad Atlanta, nel maggio del 2006, per affrontare l’argomento, che è stato giudicato della massima gravità. Nell’occasione l’ipotesi formulata e pubblicata su riviste scientifiche è che la Ru486 interferisce con il sistema immunitario e consente alle infezioni di avanzare. Un’ipotesi mai confermata né smentita, ma tuttora sotto esame. Insomma inspiegabile.

Ma c’è anche qualche morte che si spiega: quella di una ragazzina di 16 anni in Svezia, per esempio, trovata dissanguata sotto la doccia, a casa, perché aveva sottovalutato una pesante emorragia in corso, dopo aver abortito ed essere tornata a casa, senza ricovero ordinario. In Italia la legge 194 prescrive il ricovero. In certe regioni però si pensa di aggirare l’ostacolo chiamando ricovero il Day Hospital, un passaggio di qualche ora in clinica e via.

Tutti questi sono buoni motivi perché l’Aifa provi a capire un po’ meglio. Proprio perché non siamo oscurantisti. Interessante notare come il Partito democratico invece lo sia: i tre candidati alla segreteria del Pd (Franceschini, Bersani e Marino) all’unanimità hanno esposto la loro contrarietà a esaminare meglio l’introduzione di questa pratica. Perché l’Aifa deve obbedire a costoro?

Si risponde. La 194 è legge dello Stato. Giusto. Introduce l’aborto, ma lascia aperta la strada, sin nel suo titolo, alla tutela della maternità. Rafforzando questa parte della legge, gli aborti sono diminuiti di parecchio in Italia negli ultimi anni. La Ru486 trasformerebbe l’aborto in sistema di contraccezione, aumentandone il numero; per di più contiene una minaccia oscura per le donne. Questi sono i fatti che - senza pretendere di essere il Vangelo - chiedo di prendere in considerazione. Aifa fermati, non obbedire alla fretta. Né al Pd, né alle case farmaceutiche.