DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi

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I preti custodi e testimoni dell'annuncio evangelico. L'esigenza vitale di custodire la peculiarità della rinascita del cristiano legata al battesimo

Il segretario generale della Cei Mariano Crociata

I preti custodi e testimoni
dell'annuncio evangelico

.: Leggi l'omelia :.

Roma, 13. Franchezza nell'annuncio evangelico e limpidezza di vita. Queste le qualità necessarie e spesso maggiormente apprezzate nei sacerdoti. Lo ha ricordato il vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che ieri presso l'Almo collegio Capranica ha presieduto la messa per l'ammissione agli ordini sacri di un candidato al sacerdozio. "Credenti e non credenti - ha detto - hanno diritto di attendersi da noi una parola che abbia sempre il sapore del Vangelo. La franchezza richiesta oggi non è a rischio di limitazione della nostra libertà, almeno non qui da noi e principalmente, ma a rischio della nostra autenticità e della nostra credibilità. E non mi riferisco solo alla necessaria coerenza di vita, ma anche alla coerenza delle nostre parole con la verità che ci è stata affidata". In sostanza, i sacerdoti sono chiamati a essere i "custodi della parresia", ovvero i "curatori del primato e della genuinità dell'annuncio".
Per Crociata "la tentazione che ci mette alla prova tende a rimuovere e a spostare sempre oltre il nostro confronto con la Parola di Dio, poiché ci sono tante parole, anche molto utili e sensate, che trovano facilmente posto sulle nostre labbra; solo che esse non hanno bisogno di noi per essere dette, poiché trovano molti già pronti e competenti per dirle. A noi è chiesto il coraggio e la fiducia di portare la luce di Cristo nella storia". Anche perché - ha proseguito il presule - "in un tempo di avanzato quanto disordinato risveglio religioso, in cui i "rinati" (born again) sono una categoria ben nota nella classificazione della sociologia religiosa riguardante sette e nuovi movimenti religiosi, abbiamo l'esigenza vitale di custodire la peculiarità della rinascita del cristiano, costitutivamente legata all'evento del battesimo, e consegnata al denso significato del binomio acqua e Spirito, con la sua connaturale risonanza pasquale". Di conseguenza - ha sottolineato Crociata - "se va contrastata la cedevolezza verso un superficiale emozionalismo riscontrabile in tanti fenomeni religiosi nuovi, non può nemmeno essere assecondata una tendenza al ritualismo impersonale che può condurre perfino a una sorta di automatismo salvifico".


(©L'Osservatore Romano - 14 aprile 2010)


"PASQUA DEI ROMANI"
Ammissione agli Ordini Sacri
presieduta da

S.E. Mons. Mariano Crociata
Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana

.: Leggi l'omelia :.


(Mons. Crociata, il rettore e il neo-ammesso Paolo Stacchiotti con i suoi familiari)



Per cancellare il nome di battesimo gli inglesi ricorrono agli egizi

di Gianfranco Amato
Tratto da Il Sussidiario.net il 9 aprile 2010

«Christian name and surname». È questa la frase di rito che vi rivolgono i poliziotti britannici quando chiedono le generalità per identificarvi. Letteralmente, la frase significa “nome e cognome”.

L’espressione “Christian name” equivale in inglese, grosso modo, al nostro “nome di battesimo”, ovvero l’appellativo che designa individualmente una persona all’interno di un nucleo familiare.

L’aggettivo “Christian” non è che un lontano ricordo del sacramento battesimale cristiano. È rimasto nell’uso corrente della lingua e da sempre è entrato a far parte del linguaggio burocratico, senza che ciò implichi un preciso riferimento religioso. Eppure, anche questa espressione è caduta sotto la spietata mannaia del politically correct.

I primi a muoversi sono stati i solerti dirigenti del corpo di polizia del Kent, i quali hanno stabilito che, d’ora in poi, i propri agenti, non potranno procedere all’individuazione di qualcuno chiedendogli il “Christian name”. Motivo? Evitare il rischio di offendere persone di altre fedi religiose.

In una corposa guida di 62 pagine, intitolata Faith and Culture Resource’ Guide, la direzione della polizia del Kent, tra le varie direttive, ha impartito anche quella relativa alla richiesta di generalità, prevedendo, appunto, il divieto di utilizzare l’espressione “Christian name” e la sua sostituzione con il più neutro “personal name”.

Un agente che da più di quindici anni lavora in quel corpo di polizia ha definito l’iniziativa «semplicemente ridicola». L’agente - che ha preferito, ovviamente, ricorrere all’anonimato - ha precisato che «l’espressione “Christian name and surname” fa da sempre parte dell’uso corrente della lingua inglese e non solo del gergo burocratico». «Quella espressione» ha aggiunto lo stesso agente «è un elemento del nostro bagaglio professionale ed è patrimonio del linguaggio comune, al punto che se oggi un poliziotto chiedesse a qualcuno il proprio “personal name and family name”, al posto del classico “Christian name and surname”, rischierebbe di ingenerare nei cittadini perplessità e confusione».

Contro l’innovazione semantica disposta dalla polizia del Kent è scesa in campo persino la Plain English Campaign, l’organizzazione che da più di vent’anni si batte per la tutela della lingua inglese e per l’utilizzo, anche nella comunicazione burocratica, di espressioni semplici, chiare ed efficaci, che siano più vicine possibili al linguaggio corrente utilizzato dai normali cittadini.

Marie Clair, esponente di Plain English Campaign, si è detta stupita del divieto di utilizzo del “Christian name”, chiedendosi chi potesse mai ritenersi offeso da quell’espressione. «Io non comprendo davvero» ha precisato la Clair «come funzionari di un ufficio pubblico distrettuale, abbiano potuto assumere l’iniziativa di redigere queste linee guida, senza che si fosse mai registrata alcuna protesta o reclamo da parte di chicchessia circa l’asserito tenore offensivo, in quel contesto, del termine “cristiano”». «Davvero qui la political correctness», ha aggiunto l’esponente di Plain English Campaign, «ha superato i limiti del buon senso e anche dell’assurdo. «Perché mai», si è chiesta Marie Clair, «non dovremmo utilizzare quel “familiar language” che tutte le persone sono in grado di comprendere?».

Il fatto è che anche quest’ultimo episodio - certamente non drammatico ma significativo - si inserisce in quella sistematica operazione culturale con la quale oggi, in Gran Bretagna, si vuole infliggere al cristianesimo una sorta di damnatio memoriae. Anche quando - come nel caso del “Christian name” - il riferimento alla religione non ha più alcun connotato concreto.

Con la meticolosa precisione degli antichi scalpellini egizi, gli scribi del polically correct stanno rimuovendo ogni traccia del cristianesimo dalla società britannica, esattamente come nell’antico Egitto si cancellavano le immagini, i nomi, i cartigli e i geroglifici di personaggi e religioni che si intendevano ripudiare. E si è pure ingaggiata una corsa allo zelo in questa battaglia culturale, in cui le potenziali proteste dei credenti in altre fedi vengono addirittura anticipate. In questa crociata contro i cristiani, infatti, la gara dei burocrati è tra chi di loro si dimostri più musulmano dei musulmani, più sikh dei sikh, più ebreo degli ebrei.

L’errore che si sta commettendo nel Regno Unito - e non solo lì purtroppo - è quello di non comprendere che una società che recide il nesso con la propria storia, la propria cultura, la propria tradizione, è come un albero a cui vengono tagliate le radici.

Una società si riduce a un’entità senza carne né sangue se non si riconosce nell’alveo di una tradizione. Nulla, infatti, come ricordava il cardinale Angelo Scola, è più astratto dell’immagine di un individuo che edifichi, ogni volta da capo, la propria interpretazione culturale, nata con lui e con lui destinata a morire.

In questo senso meritano di essere ricordate le parole di Don Luigi Giussani: «La tradizione è come l’ipotesi di lavoro con cui la natura ci mette nel grande cantiere della vita e della storia». «Solo usando questa ipotesi di lavoro», continuava il fondatore di CL, «noi possiamo incominciare, non ad annaspare, ma ad intervenire con delle ragioni, con dei progetti, con delle immagini critiche sull’ambiente, e perciò su quel fattore estremamente interessante dell’ambiente che siamo noi stessi».

Gli inglesi dovrebbero imparare questa lezione e comprendere che se cancellano la loro tradizione, cancellano se stessi.

Il Papa: Ciò che avviene nel Battesimo è l’inizio di un percorso che abbraccia tutta la vita e ci rende capaci di eternità

Omelia di Benedetto XVI per la Veglia di Pasqua


ROMA, domenica, 4 aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'omelia pronunciata da Benedetto XVI nel presiedere questo sabato, nella Basilica Vaticana, la solenne Veglia nella Notte Santa di Pasqua.





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Cari fratelli e sorelle,

un’antica leggenda giudaica tratta dal libro apocrifo "La vita di Adamo ed Eva" racconta che Adamo, nella sua ultima malattia, avrebbe mandato il figlio Set insieme con Eva nella regione del Paradiso a prendere l’olio della misericordia, per essere unto con questo e così guarito. Dopo tutto il pregare e il piangere dei due in cerca dell’albero della vita, appare l’Arcangelo Michele per dire loro che non avrebbero ottenuto l’olio dell’albero della misericordia e che Adamo sarebbe dovuto morire. In seguito, lettori cristiani hanno aggiunto a questa comunicazione dell’Arcangelo una parola di consolazione. L’Arcangelo avrebbe detto che dopo 5.500 anni sarebbe venuto l’amorevole Re Cristo, il Figlio di Dio, e avrebbe unto con l’olio della sua misericordia tutti coloro che avrebbero creduto in Lui. "L’olio della misericordia di eternità in eternità sarà dato a quanti dovranno rinascere dall’acqua e dallo Spirito Santo. Allora il Figlio di Dio ricco d’amore, Cristo, discenderà nelle profondità della terra e condurrà tuo padre nel Paradiso, presso l’albero della misericordia". In questa leggenda diventa visibile tutta l’afflizione dell’uomo di fronte al destino di malattia, dolore e morte che ci è stato imposto. Si rende evidente la resistenza che l’uomo oppone alla morte: da qualche parte – hanno ripetutamente pensato gli uomini – dovrebbe pur esserci l’erba medicinale contro la morte. Prima o poi dovrebbe essere possibile trovare il farmaco non soltanto contro questa o quella malattia, ma contro la vera fatalità – contro la morte. Dovrebbe, insomma, esistere la medicina dell’immortalità. Anche oggi gli uomini sono alla ricerca di tale sostanza curativa. Pure la scienza medica attuale cerca, anche se non proprio di escludere la morte, di eliminare tuttavia il maggior numero possibile delle sue cause, di rimandarla sempre di più; di procurare una vita sempre migliore e più lunga. Ma riflettiamo ancora un momento: come sarebbe veramente, se si riuscisse, magari non ad escludere totalmente la morte, ma a rimandarla indefinitamente, a raggiungere un’età di parecchie centinaia di anni? Sarebbe questa una cosa buona? L’umanità invecchierebbe in misura straordinaria, per la gioventù non ci sarebbe più posto. Si spegnerebbe la capacità dell’innovazione e una vita interminabile sarebbe non un paradiso, ma piuttosto una condanna. La vera erba medicinale contro la morte dovrebbe essere diversa. Non dovrebbe portare semplicemente un prolungamento indefinito di questa vita attuale. Dovrebbe trasformare la nostra vita dal di dentro. Dovrebbe creare in noi una vita nuova, veramente capace di eternità: dovrebbe trasformarci in modo tale da non finire con la morte, ma da iniziare solo con essa in pienezza. Ciò che è nuovo ed emozionante del messaggio cristiano, del Vangelo di Gesù Cristo, era ed è tuttora questo, che ci viene detto: sì, quest’erba medicinale contro la morte, questo vero farmaco dell’immortalità esiste. È stato trovato. È accessibile. Nel Battesimo questa medicina ci viene donata. Una vita nuova inizia in noi, una vita nuova che matura nella fede e non viene cancellata dalla morte della vecchia vita, ma che solo allora viene portata pienamente alla luce.

A questo alcuni, forse molti risponderanno: il messaggio, certo, lo sento, però mi manca la fede. E anche chi vuole credere chiederà: ma è davvero così? Come dobbiamo immaginarcelo? Come si svolge questa trasformazione della vecchia vita, così che si formi in essa la vita nuova che non conosce la morte? Ancora una volta un antico scritto giudaico può aiutarci ad avere un’idea di quel processo misterioso che inizia in noi col Battesimo. Lì si racconta come il progenitore Enoch venne rapito fino al trono di Dio. Ma egli si spaventò di fronte alle gloriose potestà angeliche e, nella sua debolezza umana, non poté contemplare il Volto di Dio. "Allora Dio disse a Michele – così prosegue il libro di Enoch –: ‘Prendi Enoch e togligli le vesti terrene. Ungilo con olio soave e rivestilo con abiti di gloria!’ E Michele mi tolse le mie vesti, mi unse di olio soave, e quest’olio era più di una luce radiosa… Il suo splendore era simile ai raggi del sole. Quando mi guardai, ecco che ero come uno degli esseri gloriosi" (Ph. Rech, Inbild des Kosmos, II 524).

Precisamente questo – l’essere rivestiti col nuovo abito di Dio – avviene nel Battesimo; così ci dice la fede cristiana. Certo, questo cambio delle vesti è un percorso che dura tutta la vita. Ciò che avviene nel Battesimo è l’inizio di un processo che abbraccia tutta la nostra vita – ci rende capaci di eternità, così che nell’abito di luce di Gesù Cristo possiamo apparire al cospetto di Dio e vivere con Lui per sempre.

Nel rito del Battesimo ci sono due elementi in cui questo evento si esprime e diventa visibile anche come esigenza per la nostra ulteriore vita. C’è anzitutto il rito delle rinunce e delle promesse. Nella Chiesa antica, il battezzando si volgeva verso occidente, simbolo delle tenebre, del tramonto del sole, della morte e quindi del dominio del peccato. Il battezzando si volgeva in quella direzione e pronunciava un triplice "no": al diavolo, alle sue pompe e al peccato. Con la strana parola "pompe", cioè lo sfarzo del diavolo, si indicava lo splendore dell’antico culto degli dèi e dell’antico teatro, in cui si provava gusto vedendo persone vive sbranate da bestie feroci. Così questo era il rifiuto di un tipo di cultura che incatenava l’uomo all’adorazione del potere, al mondo della cupidigia, alla menzogna, alla crudeltà. Era un atto di liberazione dall’imposizione di una forma di vita, che si offriva come piacere e, tuttavia, spingeva verso la distruzione di ciò che nell’uomo sono le sue qualità migliori. Questa rinuncia – con un procedimento meno drammatico – costituisce anche oggi una parte essenziale del Battesimo. In esso leviamo le "vesti vecchie" con le quali non si può stare davanti a Dio. Detto meglio: cominciamo a deporle. Questa rinuncia è, infatti, una promessa in cui diamo la mano a Cristo, affinché Egli ci guidi e ci rivesta. Quali siano le "vesti" che deponiamo, quale sia la promessa che pronunciamo, si rende evidente quando leggiamo, nel quinto capitolo della Lettera ai Galati, che cosa Paolo chiami "opere della carne" – termine che significa precisamente le vesti vecchie da deporre. Paolo le designa così: "fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere" (Gal 5,19ss). Sono queste le vesti che deponiamo; sono vesti della morte.

Poi il battezzando nella Chiesa antica si volgeva verso oriente – simbolo della luce, simbolo del nuovo sole della storia, nuovo sole che sorge, simbolo di Cristo. Il battezzando determina la nuova direzione della sua vita: la fede nel Dio trinitario al quale egli si consegna. Così Dio stesso ci veste dell’abito di luce, dell’abito della vita. Paolo chiama queste nuove "vesti" "frutto dello Spirito" e le descrive con le seguenti parole: "amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé" (Gal 5,22).

Nella Chiesa antica, il battezzando veniva poi veramente spogliato delle sue vesti. Egli scendeva nel fonte battesimale e veniva immerso tre volte – un simbolo della morte che esprime tutta la radicalità di tale spogliazione e di tale cambio di veste. Questa vita, che comunque è votata alla morte, il battezzando la consegna alla morte, insieme con Cristo, e da Lui si lascia trascinare e tirare su nella vita nuova che lo trasforma per l’eternità. Poi, risalendo dalle acque battesimali, i neofiti venivano rivestiti con la veste bianca, la veste di luce di Dio, e ricevevano la candela accesa come segno della nuova vita nella luce che Dio stesso aveva accesa in essi. Lo sapevano: avevano ottenuto il farmaco dell’immortalità, che ora, nel momento di ricevere la santa Comunione, prendeva pienamente forma. In essa riceviamo il Corpo del Signore risorto e veniamo, noi stessi, attirati in questo Corpo, così che siamo già custoditi in Colui che ha vinto la morte e ci porta attraverso la morte.

Nel corso dei secoli, i simboli sono diventati più scarsi, ma l’avvenimento essenziale del Battesimo è tuttavia rimasto lo stesso. Esso non è solo un lavacro, ancor meno un’accoglienza un po’ complicata in una nuova associazione. È morte e risurrezione, rinascita alla nuova vita.

Sì, l’erba medicinale contro la morte esiste. Cristo è l’albero della vita reso nuovamente accessibile. Se ci atteniamo a Lui, allora siamo nella vita. Per questo canteremo in questa notte della risurrezione, con tutto il cuore, l’alleluia, il canto della gioia che non ha bisogno di parole. Per questo Paolo può dire ai Filippesi: "Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti!" (Fil 4,4). La gioia non la si può comandare. La si può solo donare. Il Signore risorto ci dona la gioia: la vera vita. Noi siamo ormai per sempre custoditi nell’amore di Colui al quale è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra (cfr Mt 28,18). Così chiediamo, certi di essere esauditi, con la preghiera sulle offerte che la Chiesa eleva in questa notte: Accogli, Signore, le preghiere del tuo popolo insieme con le offerte sacrificali, perché ciò che con i misteri pasquali ha avuto inizio ci giovi, per opera tua, come medicina per l’eternità. Amen.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Battisteri. L’ottagono della bellezza

Romanici o gotici, nella forma evocano l’ottavo giorno, cioè la salvezza (ma a Pisa,circolare, rappresenta l’eterno). A Firenze custodisce il genio della città, a Parma c’è il simbolismo più denso, a Ravenna il passaggio dall’arte classica a quella cristiana

Di Antonio Paolucci

Sette sono i giorni della settimana. Di sette giorni ha avuto bisogno Dio onnipotente per creare il mondo. Poi ci sarà per tutti lOctava dies, il giorno senza tramonto dell'Eternità. Il battistero medioevale è ottagono perché con il sacramento del battesimo si entra nell'ottavo giorno, nel tempo infinito che è stato promesso a ogni credente. A volte l'edificio è a pianta circolare (come a Pisa) perché anche il cerchio è simbolo di perfezione e di eternità. Dio è un cerchio che ha la circonferenza ovunque e il centro in ogni luogo, dicevano gli antichi teologi.
Fermiamoci di fronte al battistero fiorentino di San Giovanni, perfetto ottagono di marmo bianco e verde. Le sue origini affondano nel mito. Era il tempio di Marte Ultore, antico come la città romana. Poi la giovane Chiesa fiorentina lo consacrò e lo dedicò al santo protettore Giovanni. Così raccontano le antiche cronache. Noi sappiamo che è una costruzione interamente romanica che ha preso forma compiuta mille anni fa, fra XI e XIII secolo. Da allora il battistero dei fiorentini è diventato Umbilicus urbis, immemoriale santuario del genio della città, emblema dei valori religiosi e politici, degli ideali e delle utopie che Firenze ha espresso nei secoli. Il valore identitario-patriottico si è sovrapposto a quello evangelico. Non lo ha oscurato tuttavia perché il battistero di Firenze conserva ancora oggi intatto e perfettamente comprensibile il suo formidabile significato catechetico. Un tempo si entrava per la porta di bronzo raffigurante la vita di Cristo che Lorenzo Ghiberti realizzò fra il 1401 e il 1425. «Chi per me passerà sarà salvo» dice l'Evangelista (Gv. 10, 9) e il credente sapeva che quella porta è figura di Cristo «ianua salutis», varco di salvezza. Una volta entrati nell'ottagono sacro si è nel sacramento del battesimo e dunque nell'universo «sub gratia» e nel tempo del Giudizio. Ed ecco i mosaici duecenteschi della volta a raccontarci, nell'ipnotico splendore dell'oro, la Maiestas Domini e il Giudizio. Gli angeli presentano i simboli della Passione come prove testimoniali del processo. Cristo, fulgido implacabile autocrate, accoglie i giusti con la mano destra, con la sinistra precipita nell'Inferno i malvagi.
Ai pari della cattedrale, il battistero è un libro scolpito e dipinto, sintesi di dottrina teologica, di catechesi, di massime sapienziali, di cultura laica; Biblia pauperum e Speculum mundi allo stesso tempo. Quando Benedetto Antelami fra il 1196 e il 1216 alzò nel cuore di Parma il suo ottagono foderato di marmi bianchi e rosa, volle che la squadra dei suoi lapicidi raccontasse tutto, ma proprio tutto: i mesi, le stagioni, i segni zodiacali, re David e il centauro, la regina di Saba ed Ercole, la storia sacra e il mito. Nel portale ovest (detto del «Giudizio Finale») la severità del tribunale divino è mitigata dai rilievi scolpiti che rampicano sui pilastri laterali. Gli uni raccontano la parabola della vigna (anche gli operai dell'ultima ora avranno piena mercede) gli altri descrivono le sette opere di Misericordia. Come dire che Dio accoglie in qualsiasi momento il peccatore pentito e che l'amore per il prossimo è la chiave del Paradiso. Nel portale sud lo scultore antelamico ha dato immagine a una iconografia di origine probabilmente buddista, molto popolare nel medioevo. È la storia di Barlaam e di Josaphat. Il rilievo rappresenta un giovane che arrampicato su un albero sta gustando un favo di miele e non si accorge, lo sventurato, che due roditori e un drago stanno consumando il tronco alla base. Intanto, a simboleggiare lo scorrere del tempo, le figure allegoriche del Sole e della Luna attraversano il firmamento sui loro carri celesti. Il tutto è trasparente metafora della vita che il Male insidia e che, nel veloce precipitare dei giorni, può finire all'improvviso, proprio quando ci sembra più dolce. Se poi entriamo dentro il battistero di Parma, rimaniamo sconcertati dalla vastità della decorazione ad affresco. Vera e propria Summa theo logica realizzata da maestri di cultura occidentale e da botteghe bizantine fra Duecento e Trecento. C'è l'Antico e c'è il Nuovo Testamento, ci sono i patriarchi e i profeti, i dottori e gli apostoli, gli evangelisti e i re d'Israele, c'è la vita di san Giovanni e quella di Gesù. C'è, infine, a dominare l'immenso teatro sacro, la Deesis: Cristo in trono affiancato dalla Vergine regina del Cielo e dal Battista.
Fra tutti gli antichi battisteri italiani quello che mi affascina di più è il battistero della cattedrale di Ravenna, detto anche «neoniano» perché fu il vescovo Neone a costruirlo intorno o poco dopo la metà del V secolo. Questo edificio ottagono rivestito di mosaici e di stucchi al suo interno, mi affascina perché rappresenta il momento storico nel quale la cultura classica tardo antica, diventa idioma cristiano. Qui non ci sono scene apocalittiche. Al centro della volta è raffigurato il «Battesimo di Gesù nel Giordano». Intorno al battesimo si dispongono in circolo i dodici apostoli ritagliati contro il fondo azzurro cupo e divisi l'uno dall'altro da un cespo dorato di acanto. Indossano mantelli d'oro, portano fra te mani la corona simbolo della gloria celeste e si muovono vivacemente, festosamente quasi, del tutto consapevoli della loro individualità umana. Le stoffe coprono forme reali, espresse con sicuro rilievo plastico, l'ombra si addensa nelle pieghe dei panneggi, i volti diversi l'uno dall'altro sono definiti nei loro precisi caratteri fisionomici e psicologici. Immediatamente al di sotto della ruota degli apostoli, si dispiega una figurazione circolare che per il suo aspetto dichiaratamente mistico ed esoterico, ha reso possibili le più diverse interpretazioni. Gli elementi ricorrenti che si ripetono per tutto il giro della decorazione sono l'altare con il libro aperto e il trono vuoto sovrastato dalla Croce, l'uno e l'altro inseriti in un motivo architettonico di transenne ed esedre. L'idea che si vuole esprimere è probabilmente quella della san tità dei Vangeli (il libro aperto) e della presenza invisibile del Salvatore (il trono vuoto segnato dalla Croce). Oppure - è l'interpretazione che mi piace di più perché ci riporta al concetto iniziale del battistero figura dell'Eternità - i seggi vuoti sono immagine della città ultraterrena, della Gerusalemme celeste che presenta i troni preparati per gli eletti fin dall'inizio dei tempi.

Il Papa: La Quaresima è come un lungo "ritiro", un "agonismo" spirituale per celebrare la Pasqua pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo

Discorso introduttivo alla preghiera dell'Angelus


ROMA, domenica, 21 febbraio 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso che Benedetto XVI ha pronunciato questa domenica in occasione della preghiera mariana dell'Angelus, recitata insieme ai fedeli e ai pellegrini presenti in piazza San Pietro.




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Cari fratelli e sorelle!

Mercoledì scorso, con il rito penitenziale delle Ceneri, abbiamo iniziato la Quaresima, tempo di rinnovamento spirituale che prepara alla celebrazione annuale della Pasqua. Ma che cosa significa entrare nell’itinerario quaresimale? Ce lo illustra il Vangelo di questa prima domenica, con il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto. Narra l’Evangelista san Luca che Gesù, dopo aver ricevuto il battesimo di Giovanni, "pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito Santo nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo" (Lc 4,1-2). È evidente l’insistenza sul fatto che le tentazioni non furono un incidente di percorso, ma la conseguenza della scelta di Gesù di seguire la missione affidatagli dal Padre, di vivere fino in fondo la sua realtà di Figlio amato, che confida totalmente in Lui. Cristo è venuto nel mondo per liberarci dal peccato e dal fascino ambiguo di progettare la nostra vita a prescindere da Dio. Egli l’ha fatto non con proclami altisonanti, ma lottando in prima persona contro il Tentatore, fino alla Croce. Questo esempio vale per tutti: il mondo si migliora incominciando da se stessi, cambiando, con la grazia di Dio, ciò che non va nella propria vita.

Delle tre tentazioni cui Satana sottopone Gesù, la prima prende origine dalla fame, cioè dal bisogno materiale: "Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane". Ma Gesù risponde con la Sacra Scrittura: "Non di solo pane vivrà l’uomo" (Lc 4,3-4; cfr Dt 8,3). Poi, il diavolo mostra a Gesù tutti i regni della terra e dice: tutto sarà tuo se, prostrandoti, mi adorerai. È l’inganno del potere, e Gesù smaschera questo tentativo e lo respinge: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto" (cfr Lc 4,5-8; Dt 6,13). Non adorazione del potere, ma solo di Dio, della verità e dell’amore. Infine, il Tentatore propone a Gesù di compiere un miracolo spettacolare: gettarsi dalle alte mura del Tempio e farsi salvare dagli angeli, così che tutti avrebbero creduto in Lui. Ma Gesù risponde che Dio non va mai messo alla prova (cfr Dt 6,16). Non possiamo "fare un esperimento" nel quale Dio deve rispondere e mostrarsi Dio: dobbiamo credere in Lui! Non dobbiamo fare di Dio "materiale" del "nostro esperimento"! Riferendosi sempre alla Sacra Scrittura, Gesù antepone ai criteri umani l’unico criterio autentico: l’obbedienza, la conformità con la volontà di Dio, che è il fondamento del nostro essere. Anche questo è un insegnamento fondamentale per noi: se portiamo nella mente e nel cuore la Parola di Dio, se questa entra nella nostra vita, se abbiamo fiducia in Dio, possiamo respingere ogni genere di inganno del Tentatore. Inoltre, da tutto il racconto emerge chiaramente l’immagine di Cristo come nuovo Adamo, Figlio di Dio umile e obbediente al Padre, a differenza di Adamo ed Eva, che nel giardino dell’Eden avevano ceduto alle seduzioni dello spirito del male di essere immortali, senza Dio.

La Quaresima è come un lungo "ritiro", durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere. Un tempo, possiamo dire", di "agonismo" spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza. In questo modo potremo giungere a celebrare la Pasqua in verità, pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo. Ci aiuti la Vergine Maria affinché, guidati dallo Spirito Santo, viviamo con gioia e con frutto questo tempo di grazia. Interceda in particolare per me e i miei collaboratori della Curia Romana, che questa sera inizieremo gli Esercizi Spirituali.

[Il Papa ha poi salutato i pellegrini in diverse lingue. In Italiano ha detto:]

Saluto infine con affetto i pellegrini di lingua italiana, in particolare i ragazzi di Seregno e di Lecco, venuti per la loro professione di fede, e i fedeli di Cento di Ferrara e di diverse città della Sicilia. Un pensiero speciale rivolgo alle Figlie di San Camillo, che si apprestano a celebrare il centenario della morte della loro Fondatrice, la beata Giuseppina Vannini. A tutti auguro una serena domenica e un buon cammino quaresimale.

[© Copyright 2010 - Libreria Editrice Vaticana]

Il Papa: Anche ai nostri giorni la fede, ricevuta nel battesimo, è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare

Omelia della Messa nella Festa del Battesimo del Signore. 10 gennaio 2010


Cari fratelli e sorelle!Nella festa del Battesimo del Signore, anche quest’anno ho la gioia di amministrare il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati, che i genitori presentano alla Chiesa. Siate i benvenuti, cari papà e mamme di questi piccoli, e voi padrini e madrine, amici e parenti, che fate loro corona. Rendiamo grazie a Dio, che oggi chiama queste sette bambine e questi sette bambini a diventare suoi figli in Cristo. Li circondiamo con la preghiera e con l’affetto e li accogliamo con gioia nella Comunità cristiana, che da oggi diventa anche la loro famiglia. Con la festa del Battesimo di Gesù continua il ciclo delle manifestazioni del Signore, che è iniziato a Natale con la nascita a Betlemme del Verbo incarnato, contemplato da Maria, Giuseppe e i pastori nell’umiltà del presepe, e che ha avuto una tappa importante nell’Epifania, quando il Messia, attraverso i Magi, si è manifestato a tutte le genti. Oggi Gesù si rivela, sulle rive del Giordano, a Giovanni e al popolo d'Israele. È la prima occasione in cui egli, da uomo maturo, entra nella scena pubblica, dopo aver lasciato Nazaret. Lo troviamo presso il Battista, da cui si reca un gran numero di gente, in una scena inconsueta. Nel brano evangelico, poc’anzi proclamato, san Luca osserva anzitutto che il popolo “era in attesa” (3,15). Egli sottolinea, così, l’attesa di Israele, coglie, in quelle persone che avevano lasciato le loro case e gli impegni abituali, il profondo desiderio di un mondo diverso e di parole nuove, che sembrano trovare risposta proprio nelle parole severe, impegnative, ma colme di speranza del Precursore. Il suo è un battesimo di penitenza, un segno che invita alla conversione, a cambiare vita, perché si avvicina Colui che “battezzerà in Spirito santo e fuoco” (3,16). Infatti, non si può aspirare ad un mondo nuovo rimanendo immersi nell’egoismo e nelle abitudini legate al peccato. Anche Gesù abbandona la casa e le consuete occupazioni per raggiungere il Giordano. Arriva in mezzo alla folla che sta ascoltando il Battista e si mette in fila come tutti, in attesa di essere battezzato. Giovanni, non appena lo vede avvicinarsi, intuisce che in quell’Uomo c’è qualcosa di unico, che è il misterioso Altro che attendeva e verso il quale era orientata tutta la sua vita. Comprende di trovarsi di fronte a Qualcuno di più grande di lui e di non essere degno neppure di sciogliergli i lacci dei sandali.Presso il Giordano, Gesù si manifesta con una straordinaria umiltà, che richiama la povertà e la semplicità del Bambino deposto nella mangiatoia, e anticipa i sentimenti con i quali, al termine dei suoi giorni terreni, giungerà a lavare i piedi dei discepoli e subirà l’umiliazione terribile della croce. Il Figlio di Dio, Colui che è senza peccato, si pone tra i peccatori, mostra la vicinanza di Dio al cammino di conversione dell’uomo. Gesù prende sulle sue spalle il peso della colpa dell’intera umanità, inizia la sua missione mettendosi al posto dei peccatori, nella prospettiva della croce.Mentre, raccolto in preghiera, dopo il battesimo, esce dall’acqua, si aprono i cieli. È il momento atteso da schiere di profeti. “Se tu squarciassi i cieli e scendessi!”, aveva invocato Isaia (63,19). In questo momento, sembra suggerire san Luca, tale preghiera viene esaudita. Infatti, “Il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo” (3,21-22); si udirono parole mai ascoltate prima: “Tu sei il Figlio mio, l’amato, in te ho posto il mio compiacimento” (v. 22). Gesù salendo dalle acque, come afferma san Gregorio Nazianzeno, “vede scindersi e aprirsi i cieli, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza” (Discorso 39 per il Battesimo del Signore, PG 36). Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo scendono tra gli uomini e ci rivelano il loro amore che salva. Se sono gli angeli a recare ai pastori l'annuncio della nascita del Salvatore, e la stella ai Magi venuti dall’Oriente, ora è la voce stessa del Padre che indica agli uomini la presenza nel mondo del suo Figlio e che invita a guardare alla risurrezione, alla vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte. Il lieto annuncio del Vangelo è l'eco di questa voce che scende dall’alto. A ragione, perciò, Paolo, come abbiamo ascoltato nella seconda lettura, scrive a Tito: “Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini” (2,11). Il Vangelo, infatti, è per noi grazia che dà gioia e senso alla vita. Essa, prosegue l’Apostolo, “ci insegna a rinnegare l'empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà” (v. 12); ci conduce, cioè, ad una vita più felice, più bella, più solidale, ad una vita secondo Dio. Possiamo dire che anche per questi bambini oggi si aprono i cieli. Essi riceveranno in dono la grazia del Battesimo e lo Spirito Santo abiterà in loro come in un tempio, trasformando in profondità il loro cuore. Da questo momento, la voce del Padre chiamerà anche loro ad essere suoi figli in Cristo e, nella sua famiglia che è la Chiesa, donerà a ciascuno il dono sublime della fede. Tale dono, ora che non hanno la possibilità di intendere pienamente, sarà deposto nel loro cuore come un seme pieno di vita, che attende di svilupparsi e portare frutto. Oggi vengono battezzati nella fede della Chiesa, professata dai genitori, dai padrini e dalle madrine e dai cristiani presenti, che poi li condurranno per mano nella sequela di Cristo. Il rito del Battesimo richiama con insistenza il tema della fede già all’inizio, quando il Celebrante ricorda ai genitori che chiedendo il battesimo per i propri figli, essi assumono l’impegno ad “educarli nella fede”. Questo compito è richiamato in modo ancora più forte a genitori e padrini nella terza parte della celebrazione, che inizia con le parole loro rivolte: “A voi il compito di educarli nella fede perché la vita divina che ricevono in dono sia preservata dal peccato e cresca di giorno in giorno. Se dunque, in forza della vostra fede, siete pronti ad assumervi questo impegno… fate la vostra professione in Cristo Gesù. E’ la fede della Chiesa nella quale i vostri figli vengono battezzati”. Le parole del rito suggeriscono che, in qualche modo, la professione di fede e la rinuncia al peccato di genitori, padrini e madrine rappresentano la premessa necessaria perché la Chiesa conferisca il Battesimo ai loro bambini.Immediatamente prima dell’infusione dell’acqua sul capo del neonato vi è, poi, un ulteriore richiamo alla fede. Il celebrante rivolge un’ultima domanda: “Volete che il vostro bambino riceva il Battesimo nella fede della Chiesa, che tutti insieme abbiamo professato?”. E solo dopo la loro risposta affermativa viene amministrato il Sacramento. Anche nei riti esplicativi - unzione con il crisma, consegna della veste bianca e del cero accesso, gesto dell’”effeta” - la fede rappresenta il tema centrale. “Abbiate cura - dice la formula che accompagna la consegna del cero – che i vostri bambini… vivano sempre come figli della luce; e perseverando nella fede, vadano incontro al Signore che viene”; “Il Signore Gesù – afferma ancora il Celebrante nel rito dell’”effeta” – ti conceda di ascoltare presto la sua parola, e di professare la tua fede, a lode e gloria di Dio Padre”. Tutto poi è coronato dalla benedizione finale che ricorda ancora ai genitori il loro impegno di essere per i figli “i primi testimoni della fede”.Cari amici, oggi per questi bambini è un grande giorno. Con il Battesimo, essi, divenuti partecipi della morte e risurrezione del Cristo, iniziano con lui l’avventura gioiosa ed esaltante del discepolo. La liturgia la presenta come un’esperienza di luce. Infatti, consegnando a ciascuno la candela accesa al cero pasquale, la Chiesa afferma: “Ricevete la luce di Cristo!”. È del Battesimo illuminare con la luce di Cristo, aprire gli occhi al suo splendore e introdurre al mistero di Dio attraverso il lume divino della fede. In questa luce i bambini che stanno per essere battezzati dovranno camminare per tutta la vita, aiutati dalle parole e dall’esempio dei genitori, dei padrini e delle madrine. Questi dovranno impegnarsi ad alimentare con le parole e la testimonianza della loro vita le fiaccole della fede dei bambini, perché possa risplendere in questo nostro mondo, che brancola spesso nelle tenebre del dubbio, e recare la luce del Vangelo che è vita e speranza. Solo così, da adulti potranno pronunciare con piena consapevolezza la formula collocata al termine della professione di fede presente nel rito: “Questa è la nostra fede. Questa è la fede della Chiesa. E noi ci gloriamo di professarla in Cristo Gesù nostro Signore”. Anche ai nostri giorni la fede è un dono da riscoprire, da coltivare e da testimoniare. Con questa celebrazione del Battesimo, il Signore conceda a ciascuno di noi di vivere la bellezza e la gioia dell’essere cristiani, perché possiamo introdurre i bambini battezzati alla pienezza dell’adesione a Cristo. Affidiamo questi piccoli alla materna intercessione della Vergine Maria. Chiediamo a Lei che, rivestiti della veste bianca, segno della loro nuova dignità di figli di Dio, siano per tutta la loro vita fedeli discepoli di Cristo e coraggiosi testimoni del Vangelo. Amen.

Il Papa: Generato dal Battesimo a vita nuova, anche il cristiano inizia il suo cammino di crescita nella fede per poter invocare Dio come Abbà, Padre

Angelus del 10 gennaio 2010


Questa mattina, durante la santa Messa celebrata nella Cappella Sistina, ho amministrato il sacramento del Battesimo ad alcuni neonati. Tale consuetudine è legata alla festa del Battesimo del Signore, con la quale si conclude il tempo liturgico del Natale. Il Battesimo suggerisce molto bene il senso globale delle Festività natalizie, nelle quali il tema del diventare figli di Dio grazie alla venuta del Figlio unigenito nella nostra umanità costituisce un elemento dominante. Egli si è fatto uomo perché noi possiamo diventare figli di Dio. Dio è nato perché noi possiamo rinascere. Questi concetti ritornano continuamente nei testi liturgici natalizi e costituiscono un entusiasmante motivo di riflessione e di speranza. Pensiamo a ciò che scrive san Paolo ai Galati: “Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” di Dio (Gal 4,4-5); o ancora san Giovanni nel Prologo del suo Vangelo: “A quanti l’hanno accolto / ha dato potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Questo stupendo mistero che è la nostra “seconda nascita” – la rinascita di un essere umano dall’“alto”, da Dio (cfr Gv 3,1-8) – si realizza e si riassume nel segno sacramentale del Battesimo.Con tale sacramento l’uomo diventa realmente figlio, figlio di Dio. Da allora, il fine della sua esistenza consiste nel raggiungere in modo libero e consapevole ciò che fin dall’inizio era ed è la destinazione dell'uomo. “Diventa ciò che sei” – rappresenta il principio educativo di base della persona umana redenta dalla grazia. Tale principio ha molte analogie con la crescita umana, dove il rapporto dei genitori con i figli passa, attraverso distacchi e crisi, dalla dipendenza totale alla consapevolezza di essere figli, alla riconoscenza per il dono della vita ricevuta e alla maturità e alla capacità di donare la vita. Generato dal Battesimo a vita nuova, anche il cristiano inizia il suo cammino di crescita nella fede che lo porterà ad invocare consapevolmente Dio come “Abbà – Padre”, a rivolgersi a Lui con gratitudine e a vivere la gioia di essere suo figlio. Dal Battesimo deriva anche un modello di società: quella dei fratelli. La fraternità non si può stabilire mediante un’ideologia, tanto meno per decreto di un qualsiasi potere costituito. Ci si riconosce fratelli a partire dall’umile ma profonda consapevolezza del proprio essere figli dell’unico Padre celeste. Come cristiani, grazie allo Spirito Santo ricevuto nel Battesimo, abbiamo in sorte il dono e l’impegno di vivere da figli di Dio e da fratelli, per essere come “lievito” di un’umanità nuova, solidale e ricca di pace e di speranza. In questo ci aiuta la consapevolezza di avere, oltre che un Padre nei cieli, anche una madre, la Chiesa, di cui la Vergine Maria è il perenne modello. A lei affidiamo i bambini neo-battezzati e le loro famiglie, e chiediamo per tutti la gioia di rinascere ogni giorno “dall’alto”, dall’amore di Dio, che ci rende suoi figli e fratelli tra noi.


Dopo Angelus


Due fatti hanno attirato, in modo particolare, la mia attenzione in questi ultimi giorni: il caso della condizione dei migranti, che cercano una vita migliore in Paesi che hanno bisogno, per diversi motivi, della loro presenza, e le situazioni conflittuali, in varie parti del mondo, in cui i cristiani sono oggetto di attacchi, anche violenti.Bisogna ripartire dal cuore del problema! Bisogna ripartire dal significato della persona! Un immigrato è un essere umano, differente per provenienza, cultura, e tradizioni, ma è una persona da rispettare e con diritti e doveri, in particolare, nell’ambito del lavoro, dove è più facile la tentazione dello sfruttamento, ma anche nell’ambito delle condizioni concrete di vita. La violenza non deve essere mai per nessuno la via per risolvere le difficoltà. Il problema è anzitutto umano! Invito, a guardare il volto dell’altro e a scoprire che egli ha un’anima, una storia e una vita è una persona e che Dio lo ama come ama me.Vorrei fare simili considerazioni per ciò che riguarda l’uomo nella sua diversità religiosa. La violenza verso i cristiani in alcuni Paesi ha suscitato lo sdegno di molti, anche perché si è manifestata nei giorni più sacri della tradizione cristiana. Occorre che le Istituzioni sia politiche, sia religiose non vengano meno – lo ribadisco – alle proprie responsabilità. Non può esserci violenza nel nome di Dio, né si può pensare di onorarlo offendendo la dignità e la libertà dei propri simili. Chers frères et sœurs de langue française, soyez les bienvenus pour la prière de l’Angélus. Ce matin, rendons grâce à Dieu pour notre Baptême. Écoutons nous aussi le Père nous redire « Tu es mon Fils bien-aimé ; en toi j’ai mis tout mon amour». L’Esprit de Dieu fait route avec nous, et il remplit notre vie de lumière et de sainteté. En prenant conscience de la splendeur de notre Baptême, soyons les serviteurs et les témoins de cette Bonne Nouvelle pour notre monde ! Que la Vierge Marie, nous aide à demeurer toujours fidèles à notre Baptême ! Bon dimanche et bonne semaine à tous !I greet all English-speaking visitors taking part in this Angelus prayer. Today, on the Feast of the Baptism of the Lord, the Church invites us to contemplate Jesus as the Messiah, the beloved Son of the Father, who gives us a share in the divine life through the gift of the Holy Spirit in the waters of Baptism. May all of us be renewed in the grace of our own Baptism and strengthened in faithful witness to the Gospel and its promises! Upon you and your families I invoke the Lord’s blessings of joy and peace.Gerne grüße ich alle deutschsprachigen Gläubigen beim heutigen Angelusgebet, besonders die Schüler aus Bad Tölz und die Pilger aus Eisenstadt. Bei der Taufe im Jordan stellt sich Jesus Christus in eine Reihe mit uns Menschen. Er ist der geliebte Sohn des Vaters und zugleich einer von uns. Durch unsere eigene Taufe werden auch wir in Christus geliebte Kinder Gottes. Wir haben Anteil erhalten am Heiligen Geist. In der Kraft dieses Geistes wollen wir leben und die Welt gestalten, wie es Gott gefällt. Der Herr geleite euch alle Tage dieses neuen Jahres mit seiner Gnade. Saludo cordialmente a los peregrinos de lengua española que participan en esta oración mariana, así como a quienes se unen a ella a través de la radio y la televisión. En la fiesta del Bautismo del Señor, invito a todos a renovar con alegría y convicción las promesas realizadas al recibir este Sacramento, para ser ante el mundo discípulos y misioneros de Cristo, llevando la luz de su Evangelio a todos los ámbitos de la sociedad, con la palabra y el propio ejemplo. Que en esta hermosa misión sintáis el consuelo y la compañía de María Santísima, a cuyas maternas manos encomendamos a todos los hijos de la Iglesia. Feliz Domingo.Pozdrawiam serdecznie wszystkich Polaków. Dzisiaj wspominamy chrzest Jezusa w Jordanie. Przyjmując go, Syn Boży poddał się woli Ojca, podjął publicznie zbawczą misję, uprzedził swoją śmierć i zmartwychwstanie. Wspominając swój własny chrzest pamiętajmy, że jest on fundamentem naszej więzi z Bogiem. Na nim wznośmy dom naszego życia, naszego powołania. [Saluto cordialmente tutti i Polacchi. Oggi ricordiamo il Battesimo di Gesù al Giordano. Ricevendolo, il Figlio di Dio si sottomise alla volontà del Padre, assunse pubblicamente la missione salvifica, anticipò la propria morte e risurrezione. Tornando col pensiero al nostro battesimo, ricordiamo che esso è il fondamento del nostro legame con Dio. Costruiamo su di esso l’edificio della nostra vita e della nostra vocazione.]Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana. Cari fratelli e sorelle, vi auguro di conservare viva nello spirito la luce delle feste del Natale, perché vi guidi questa luce nel cammino di ogni giorno. Buona domenica!

Il Papa: Il Battesimo è la fonte della vita. Da esso sgorga lo Spirito Santo che ci guida a vivere la vita secondo verità.

E scopriamo che non soltanto l’ambiente naturale, ma anche quello sociale - l’habitat che ci creiamo noi stessi - ha le sue cicatrici; ferite che stanno ad indicare che qualcosa non è a posto. Anche qui nelle nostre vite personali e nelle nostre comunità possiamo incontrare ostilità a volte pericolose; un veleno che minaccia di corrodere ciò che è buono, riplasmare ciò che siamo e distorcere lo scopo per il quale siamo stati creati. Gli esempi abbondano, come voi ben sapete. Fra i più in evidenza vi sono l’abuso di alcool e di droghe, l’esaltazione della violenza e il degrado sessuale, presentati spesso dalla televisione e da internet come divertimento. Mi domando come potrebbe uno che fosse posto faccia a faccia con persone che soffrono realmente violenza e sfruttamento sessuale spiegare che queste tragedie, riprodotte in forma virtuale, sono da considerare semplicemente come "divertimento".

Vi è anche qualcosa di sinistro che sgorga dal fatto che libertà e tolleranza sono così spesso separate dalla verità. Questo è alimentato dall’idea, oggi ampiamente diffusa, che non vi sia una verità assoluta a guidare le nostre vite. Il relativismo, dando valore in pratica indiscriminatamente a tutto, ha reso l’"esperienza" importante più di tutto. In realtà, le esperienze, staccate da ogni considerazione di ciò che è buono o vero, possono condurre non ad una genuina libertà, bensì ad una confusione morale o intellettuale, ad un indebolimento dei principi, alla perdita dell’autostima e persino alla disperazione.

Cari amici, la vita non è governata dalla sorte, non è casuale. La vostra personale esistenza è stata voluta da Dio, benedetta da lui e ad essa è stato dato uno scopo (cfr Gn 1,28)! La vita non è un semplice succedersi di fatti e di esperienze, per quanto utili molti di tali eventi possano essere. È una ricerca del vero, del bene e del bello. Proprio per tale fine compiamo le nostre scelte, esercitiamo la nostra libertà e in questo, cioè nella verità, nel bene e nel bello, troviamo felicità e gioia. Non lasciatevi ingannare da quanti vedono in voi semplicemente dei consumatori in un mercato di possibilità indifferenziate, dove la scelta in se stessa diviene il bene, la novità si contrabbanda come bellezza, l’esperienza soggettiva soppianta la verità.

Cristo offre di più! Anzi, offre tutto! Solo lui, che è la Verità, può essere la Via e pertanto anche la Vita. Così la "via" che gli Apostoli recarono sino ai confini della terra è la vita in Cristo. È la vita della Chiesa. E l’ingresso in questa vita, nella via cristiana, è il Battesimo.

Questa sera desidero pertanto ricordare brevemente qualcosa della nostra comprensione del Battesimo, prima di considerare domani lo Spirito Santo. Nel giorno del Battesimo Dio vi ha introdotto nella sua santità (cfr 2 Pt 1,4). Siete stati adottati quali figli e figlie del Padre e siete stati incorporati in Cristo. Siete divenuti abitazione del suo Spirito (cfr 1 Cor 6,19). Il Battesimo non è un compimento né una ricompensa: è una grazia, è opera di Dio. Perciò, verso la fine del rito del Battesimo, il sacerdote si è rivolto ai vostri genitori e ai partecipanti, e chiamandovi per nome ha detto: "Sei diventato nuova creatura" (Rito del Battesimo, 99).

Cari amici, a casa, a scuola, all’università, nei luoghi di lavoro e di svago, ricordatevi che siete creature nuove. Non state soltanto di fronte al Creatore pieni di stupore, rallegrandovi per le sue opere, ma tenete presente che il fondamento sicuro dell’umana solidarietà sta nell’origine comune di ogni persona, il vertice del disegno creativo di Dio per il mondo. Come cristiani, voi siete in questo mondo sapendo che Dio ha un volto umano – Gesù Cristo – la "via" che soddisfa ogni anelito umano, e la "vita" della quale siamo chiamati a dare testimonianza, camminando sempre nella sua luce (cfr ibid., 100).

Il compito di testimone non è facile. Vi sono molti, oggi, i quali pretendono che Dio debba essere lasciato "in panchina" e che la religione e la fede, per quanto accettabili sul piano individuale, debbano essere o escluse dalla vita pubblica o utilizzate solo per perseguire limitati scopi pragmatici. Questa visione secolarizzata tenta di spiegare la vita umana e di plasmare la società con pochi riferimenti o con nessun riferimento al Creatore. Si presenta come una forza neutrale, imparziale e rispettosa di ciascuno. In realtà, come ogni ideologia, il secolarismo impone una visione globale. Se Dio è irrilevante nella vita pubblica, allora la società potrà essere plasmata secondo un’immagine priva di Dio, e il dibattito e la politica riguardanti il bene comune saranno condotti più alla luce delle conseguenze che dei principi radicati nella verità.

Tuttavia l’esperienza mostra che il discostarsi dal disegno di Dio creatore provoca un disordine che ha inevitabili ripercussioni sul resto del creato (cfr Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1990, 5). Quando Dio viene eclissato, la nostra capacità di riconoscere l’ordine naturale, lo scopo e il "bene" comincia a svanire. Ciò che ostentatamente è stato promosso come umana ingegnosità si è ben presto manifestato come follia, avidità e sfruttamento egoistico. E così ci siamo resi sempre più conto del bisogno di umiltà di fronte alla delicata complessità del mondo di Dio.

Cari amici, la creazione di Dio è unica ed è buona. Le preoccupazioni per la non violenza, lo sviluppo sostenibile, la giustizia e la pace, la cura del nostro ambiente sono di vitale importanza per l’umanità. Tutto ciò non può però essere compreso a prescindere da una profonda riflessione sull’innata dignità di ogni vita umana dal concepimento fino alla morte naturale, una dignità che è conferita da Dio stesso e perciò inviolabile. Il nostro mondo si è stancato dell’avidità, dello sfruttamento e della divisione, del tedio di falsi idoli e di risposte parziali, e della pena di false promesse. Il nostro cuore e la nostra mente anelano ad una visione della vita dove regni l’amore, dove i doni siano condivisi, dove si edifichi l’unità, dove la libertà trovi il proprio significato nella verità, e dove l’identità sia trovata in una comunione rispettosa. Questa è opera dello Spirito Santo! Questa è la speranza offerta dal Vangelo di Gesù Cristo! È per rendere testimonianza a questa realtà che siete stati ricreati nel Battesimo e rafforzati mediante i doni dello Spirito nella Cresima.

Il Papa: La luce della fede in Cristo, dono che si riceve nel Battesimo, e che va riscoperta costantemente per essere trasmessa agli altri.

DISCORSO DEL PAPA IN VISITA ALLA PARROCCHIA SANT'ANTONINO DI CONCESIO


Dove il futuro Paolo VI venne battezzato nel 1897


CONCESIO, domenica, 8 novembre 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo il discorso pronunciato da Benedetto XVI questa domenica pomeriggio visitando a Concesio la chiesa parrocchiale di Sant'Antonino, nella quale Giovanni Battista Montini venne battezzato il 30 settembre 1897.

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Cari fratelli e sorelle!

Con questo incontro si chiude la Visita pastorale a Brescia, terra natale del mio venerato Predecessore Paolo VI. Ed è per me un vero piacere concluderla proprio qui, a Concesio, dove egli nacque ed iniziò la sua lunga e ricca vicenda umana e spirituale. Ancor più significativo - anzi emozionante - è sostare in questa vostra chiesa che è stata anche la sua chiesa. Qui, il 30 settembre 1897, egli ricevette il Battesimo e chi sa quante volte vi è tornato a pregare; qui, probabilmente, ha meglio compreso la voce del divino Maestro che lo ha chiamato a seguirlo e lo ha condotto, attraverso varie tappe, sino ad essere suo Vicario in terra. Qui risuonano ancora le ispirate parole che, diventato Cardinale, Giovanni Battista Montini pronunciò cinquant'anni fa, il 16 agosto 1959, quando tornò a questo suo fonte battesimale. "Qui sono diventato cristiano - egli disse - ; sono diventato figlio di Dio, ho avuto il dono della fede" (G.B. Montini, Discorsi e Scritti Milanesi, II, p. 3010). Ricordandolo mi piace salutare con affetto tutti voi suoi compaesani, il vostro Parroco e il Sindaco insieme al Pastore della diocesi, Mons. Luciano Monari, e a quanti hanno voluto essere presenti a questo breve eppure intenso momento di intimità spirituale.

"Qui sono diventato cristiano... ho avuto il dono della fede". Cari amici, permettete che colga questa occasione per richiamare, partendo proprio dall'affermazione di Papa Montini e riferendomi ad altri suoi interventi, l'importanza del Battesimo nella vita di ogni cristiano. Il Battesimo - egli afferma - può dirsi "il primo e fondamentale rapporto vitale e soprannaturale fra la Pasqua del Signore e la Pasqua nostra" (Insegnamenti IV, [1966], 742), è il Sacramento mediante il quale avviene "la trasfusione del mistero della morte e risurrezione di Cristo nei suoi seguaci" (Insegnamenti XIV, [1976], 407), è il Sacramento che inizia al rapporto di comunione con Cristo. "Per mezzo del Battesimo - come dice San Paolo - siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti..., così anche noi possiamo camminare in una vita nuova" (Rm 6,4). Paolo VI amava sottolineare la dimensione cristocentrica del Battesimo, con cui ci siamo rivestiti di Cristo, con cui entriamo in comunione vitale con Lui e a Lui apparteniamo.

In tempi di grandi mutamenti all'interno della Chiesa e nel mondo, quante volte Paolo VI ha insistito su questa necessità di restare saldi nella comunione vitale con Cristo! Solo così infatti si diventa membri della sua famiglia che è la Chiesa. Il Battesimo - egli annotava - è la "porta attraverso la quale gli uomini entrano nella Chiesa" (Insegnamenti XII, [1974], 422), è il Sacramento con cui si diventa "fratelli di Cristo e membra di quella umanità, destinata a far parte del suo Corpo mistico e universale, che si chiama la Chiesa" (Insegnamenti XIII, [1975], 308). L'uomo rigenerato dal Battesimo, Dio lo rende partecipe della sua stessa vita, e "il battezzato può efficacemente tendere a Dio-Trinità, suo fine ultimo, a cui è ordinato, allo scopo di avere parte alla sua vita e al suo amore infinito" (Insegnamenti XI, [1973], 850).

Cari fratelli e sorelle, vorrei tornare idealmente alla visita a questa vostra chiesa parrocchiale che l'allora Arcivescovo di Milano fece 50 anni or sono. Ricordando il suo Battesimo, si interrogava su come aveva custodito e vissuto questo grande dono del Signore, e, pur riconoscendo di non averlo né compreso abbastanza, né abbastanza assecondato, confessava: "Vi voglio dire che la fede che ho ricevuto in questa chiesa col sacramento del Santo Battesimo è stata per me la luce della vita... la lampada della mia vita" (Op. cit., pp. 3010.3011). Facendo eco alle sue parole, ci potremmo domandare: "Come vivo io il mio Battesimo? Come faccio esperienza del cammino di vita nuova di cui parla san Paolo?". Nel mondo in cui viviamo - per usare ancora un'espressione dell'Arcivescovo Montini - spesso c'è "una nube che ci toglie la contentezza di vedere con serenità il cielo divino... c'è la tentazione di credere che la fede sia un vincolo, una catena da cui bisogna sciogliersi, che sia una cosa antica se non sorpassata, che non serve" (ibid., p. 3012), per cui l'uomo pensa che basti "la vita economica e sociale per dare una risposta a tutte le aspirazioni del cuore umano" (ibid.). A questo riguardo, quanto mai eloquente è invece l'espressione di sant'Agostino, il quale scrive nelle Confessioni che il nostro cuore non ha pace finché non riposa in Dio (cfr I,1). Solo se trova la luce che lo illumina e gli dà pienezza di significato l'essere umano è veramente felice. Questa luce è la fede in Cristo, dono che si riceve nel Battesimo, e che va riscoperta costantemente per essere trasmessa agli altri.

Cari fratelli e sorelle, non dimentichiamo il dono immenso ricevuto il giorno in cui siamo stati battezzati! In quel momento Cristo ci ha legati per sempre a sé, ma, da parte nostra, continuiamo a restare uniti a Lui attraverso scelte coerenti con il Vangelo? Non è facile essere cristiani! Ci vuole coraggio e tenacia per non conformarsi alla mentalità del mondo, per non lasciarsi sedurre dai richiami talvolta potenti dell'edonismo e del consumismo, per affrontare, se necessario, anche incomprensioni e talora persino vere persecuzioni. Vivere il Battesimo comporta restare saldamente uniti alla Chiesa, pure quando vediamo nel suo volto qualche ombra e qualche macchia. È lei che ci ha rigenerati alla vita divina e ci accompagna in tutto il nostro cammino: amiamola, amiamola come nostra vera madre! Amiamola e serviamola con un amore fedele, che si traduca in gesti concreti all'interno delle nostre comunità, non cedendo alla tentazione dell'individualismo e del pregiudizio, e superando ogni rivalità e divisione. Così saremo veri discepoli di Cristo! Ci aiuti dal Cielo Maria, Madre di Cristo e della Chiesa, che il Servo di Dio Paolo VI ha amato e onorato con grande devozione. Vi sono ancora grato per la vostra accoglienza, cari fratelli e sorelle, e, mentre vi assicuro il mio ricordo nella preghiera, a tutti imparto di cuore una speciale benedizione.

[© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana]

Card. Scherer: molti cattolici sono stati battezzati, ma non evangelizzati.

“La formazione del cristiano adulto nella fede è la nostra missione e il nostro compito, e quello della Chiesa: chi è già discepolo di Cristo aiuta gli altri a essere discepoli a loro volta”




“L'evangelizzazione 'generica' non è sufficiente”, avverte


di Alexandre Ribeiro

SAN PAOLO, giovedì, 29 ottobre 2009 (ZENIT.org).- “Al giorno d'oggi constatiamo purtroppo che la maggioranza dei cattolici è stata battezzata, ma non evangelizzata”, sostiene il Cardinale Odilo Scherer, Arcivescovo di San Paolo (Brasile).

A suo avviso, “battezzare e poi lasciare il cristiano a un'evangelizzazione 'generica' è insufficiente”.

“E' come seminare un campo e poi abbandonarlo a se stesso; non permette di aspettarsi molti frutti; è anche come piantare un giardino e non curarlo: ci si possono aspettare fiori belli e abbondanti?”, si chiede in un articolo pubblicato sul numero di questa settimana della rivista arcidiocesana “O São Paulo”.

Il Cardinale Scherer ha ricordato che il Battesimo “è una grazia di Dio, e la fede un dono dello Spirito Santo”. “Bisogna imparare a vivere la fede cristiana e questo rappresenta un processo continuo, che si estende a tutte le tappe della vita. Ha bisogno di imparare ad essere cristiano il bambino come la persona adulta o l'anziano”.

“Oggi più che di evangelizzare catecumeni abbiamo bisogno di iniziare a evangelizzare la maggior parte di coloro che sono già battezzati”, riconosce il porporato.

L'iniziazione alla vita cristiana “inizia con l'annuncio kerigmatico, mediante il quale la persona è condotta all'incontro con Gesù Cristo e posta davanti al nucleo centrale della fede cristiana: Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, è il nostro Salvatore. Morto in croce per amor nostro, è risuscitato dai morti e siede alla destra di Dio Padre, da dove sarà nostro giudice”.

“Attraverso di lui otteniamo la redenzione e il perdono dei peccati. Per ogni essere umano in questo mondo, Egli è la via, la verità e la vita. Il kerigma, annunciato e testimoniato con fede, suscita la fede in quanti lo ricevono, per azione dello Spirito Santo”, scrive monsignor Scherer.

In seguito bisogna seguire l'iniziazione alla vita cristiana, “imparando a relazionarsi con Dio nella preghiera cristiana, a conoscere le verità della fede cristiana professate nel Credo e spiegate dalla Chiesa nel Catechismo”.

Allo stesso modo, bisogna imparare “ad ascoltare e ad accogliere la Parola di Dio, con la comunità di fede, la Chiesa. L'iniziazione alla vita cristiana non può smettere di porre il fedele davanti alle implicazioni morali che derivano dalla sequela di Gesù e dall'appartenenza alla Chiesa”.

Secondo il Cardinale Scherer, questa iniziazione “porta anche il fedele a 'imparare' l'atteggiamento proprio della vita cristiana, la mistica cristiana”.

“In questo modo, il cristiano è per tutta la vita 'alla scuola del Vangelo' e impara a essere fedele a Gesù, seguendolo nel suo cammino; anche alla fine della vita, davanti alla morte, perché c'è anche un atteggiamento cristiano di ammalarsi e di morire...”.

In tutto ciò, segnala il porporato, “è bene tener presente che non si tratta di un apprendimento meramente intellettuale, anche se questo aspetto fa comunque parte del processo, perché la fede ha anche bisogno di essere conosciuta con l'intelligenza. Più che altro, si tratta di un apprendimento esistenziale”.

Il vivere cristiano, prosegue, “si esprime in una relazione filiale e familiare con Dio, nostro Padre. L'iniziazione alla vita cristiana sarà positiva se aiuterà i fedeli a vivere come figli e figlie di Dio”.

Un altro “bel modo di comprendere la vita cristiana” è “l'amicizia” con Cristo, visto che la vita cristiana “è espressione di un rapporto familiare e intimo con Dio e con Gesù Cristo, mediante il dono dello Spirito Santo di Dio”.

“La formazione del cristiano adulto nella fede è la nostra missione e il nostro compito, e quello della Chiesa: chi è già discepolo di Cristo aiuta gli altri a essere discepoli a loro volta”, ha concluso.

[Traduzione dal portoghese di Roberta Sciamplicotti]



Aprender a ser católico

Nos dias 16 a 18 de outubro, foi realizada em Itaici a “Assembléia das Igrejas” do Regional Sul 1 da CNBB, com a participação dos bispos e representantes das organizações eclesiais e pastorais das dioceses do Estado de São Paulo. O tema tratado foi de grande atualidade e importância: a evangelização querigmática e da iniciação à vida cristã.

Bem sabemos que, batizar apenas e, depois, deixar o cristão por conta de uma evangelização “genérica” é insuficiente. E como semear um campo e, depois, abandoná-lo a si mesmo; não dá para esperar muito fruto; é também como plantar um jardim e não zelar por ele: dá para esperar flor bonita e abundante? Hoje constatamos, infelizmente, que a grande maioria dos católicos foi apenas batizada, mas não evangelizada.

O batismo é uma graça de Deus e a fé, um dom do Espírito Santo; mas a vivência da fé cristã, precisa ser aprendida e supõe um processo contínuo, ao longo de todas as etapas da vida; tanto a criança precisa aprender a ser cristã, como a pessoa adulta, ou idosa. Graças a Deus, hoje vamos recuperando uma prática comum nos primeiros séculos da vida da Igreja, quando existia o catecumenato, antes do batismo, e uma iniciação à vida cristã, depois dele. Pelo menos, já começamos a falar nisso e a tomar consciência de que este é o caminho certo. A CNBB já tratou do tema na sua Assembléia Geral, em abril passado; nosso Regional Sul 1 fez o mesmo, há dez dias. Foi também o tema da 3ª. Semana Brasileira de Catequese, no começo de outubro. Em nossa Arquidiocese, o assunto também vai suscitando reflexão. Queira Deus que progrida!

Hoje, mais do que evangelizar catecúmenos, precisamos começar a evangelizar a maioria dos já batizados. A iniciação à vida cristã começa com o anúncio querigmático, mediante o qual a pessoa é levada ao encontro com Jesus Cristo e colocada diante do núcleo central da fé cristã: Jesus Cristo, Filho de Deus feito homem, é nosso Salvador. Morto na cruz por nosso amor, ressuscitou dos mortos e foi elevado à direita de Deus Pai, onde será nosso juiz. Por seu intermédio obtemos a redenção e o perdão dos pecados. Para todo ser humano neste mundo, Ele é o caminho, a verdade e a vida. O querigma, anunciado e testemunhado com fé, suscita a fé naqueles que o recebem, pela ação do Espírito Santo.

Depois precisa seguir a iniciação à vida cristã, aprendendo a se relacionar com Deus, na oração cristã; a conhecer as verdades da fé cristã professadas no “Creio” e explicadas pela Igreja, no Catecismo; aprender também a ouvir e acolher a Palavra de Deus, com a comunidade de fé, a Igreja; e a iniciação à vida cristã não pode deixar de colocar o fiel diante das implicações morais decorrentes do seguimento de Jesus e da pertença à Igreja. Esta iniciação também leva o fiel a “aprender” o jeito próprio da vivência cristã, a mística cristã. Assim, durante a vida inteira, o cristão está “na escola do Evangelho” e vai aprendendo a ser fiel a Jesus, seguindo-o no caminho dele; mesmo no extremo da vida, diante da morte, pois também há um jeito cristão de ficar doente e de morrer...

Em tudo isso, é bom ter presente que não se trata de um aprendizado meramente intelectual, embora esse aspecto também faça parte do processo, pois a fé também precisa ser conhecida com a inteligência. Mais que isso, porém, é um aprender existencial. A vivência cristã se expressa numa relação filial e familiar com Deus, nosso Pai; a iniciação à vida cristã será boa, se ajudar os fiéis a viverem como bons filhos e filhas de Deus. Outra bela maneira de compreender a vida cristã é a “amizade” com Cristo. Ele mesmo foi quem disse: “vós sois meus amigos” (Jo 15, 12-15). E a Conferência de Aparecida nos recordou que o cristão é um discípulo missionário de Jesus Cristo. Tudo isso nos diz que a vida cristã não consiste numa relação mágica com um “Sagrado” abstrato, mas é expressão de um relacionamento familiar e íntimo com Deus e com Jesus Cristo, mediante o dom do Espírito Santo de Deus.

A formação do cristão adulto na fé é missão e trabalho nosso, e da Igreja: quem já é discípulo de Cristo, ajuda outros a serem discípulos também. Acima de tudo, porém, é obra da graça de Deus; o Espírito de Cristo é que forma a mente e o coração dos filhos e filhas de Deus. Mas não dispensa nossa parte e a ação da Igreja.

Card. D. Odilo P. Scherer

Arcebispo de São Paulo

Publicado do Jornal O São Paulo do dia 27 de setembro de 2009