DISCERNERE

Uno sguardo profetico sugli eventi



LA BUONA NOTIZIA

LA BUONA NOTIZIA. Il Vangelo del giorno ed il commento







LA BUONA NOTIZIA. Il Vangelo del giorno ed il commento





Lunedì Santo

Il Vangelo di oggi ci pone una domanda fondamentale. In questi giorni santi potrebbe suonare fuori luogo, ci stiamo preparando alla Pasqua, camminiamo con il Signore verso il Calvario per sperimentare con Lui la resurrezione. Eppure è una domanda che non possiamo eludere; coinvolge i nostri giorni, i pensieri e i sentimenti, le parole e le parole. Sfiora il nostro intimo. Pensiamo forse che consegnare la vita a Gesù sia sprecarla? Il tempo, le idee, la poesia, gli amori e le passioni, spesso tutto sembra sprecato, il risultato non compensa mai lo sforzo. .....




SPECIALE QUARESIMA
UN GIORNO "BENEDETTO"


DISCERNERE


Il santo del passaggio. J. H. Newman.

La Chiesa e la questione risorgimentale italiana. di Antonio Socci





Il Meglio da non perdere



Benedetto XVI: Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e si affida alla verità del suo amore.

La nostra processione odierna vuole quindi essere l’immagine di qualcosa di più profondo, immagine del fatto che, insieme con Gesù, c’incamminiamo per il pellegrinaggio: per la via alta verso il Dio vivente...Da sempre gli uomini sono stati ricolmi – e oggi lo sono quanto mai – del desiderio di "essere come Dio", di raggiungere essi stessi l’altezza di Dio. In tutte le invenzioni dello spirito umano si cerca, in ultima analisi, di ottenere delle ali, per potersi elevare all’altezza dell’Essere, per diventare indipendenti, totalmente liberi, come lo è Dio. Tante cose l’umanità ha potuto realizzare: siamo in grado di volare. Possiamo vederci, ascoltarci e parlarci da un capo all’altro del mondo. E tuttavia, la forza di gravità che ci tira in basso è potente. Insieme con le nostre capacità non è cresciuto soltanto il bene. Anche le possibilità del male sono aumentate e si pongono come tempeste minacciose sopra la storia. Anche i nostri limiti sono rimasti: basti pensare alle catastrofi che in questi mesi hanno afflitto e continuano ad affliggere l’umanità. I Padri hanno detto che l’uomo sta nel punto d’intersezione tra due campi di gravitazione. C’è anzitutto la forza di gravità che tira in basso – verso l’egoismo, verso la menzogna e verso il male; la gravità che ci abbassa e ci allontana dall’altezza di Dio. Dall’altro lato c’è la forza di gravità dell’amore di Dio: l’essere amati da Dio e la risposta del nostro amore ci attirano verso l’alto. L’uomo si trova in mezzo a questa duplice forza di gravità, e tutto dipende dallo sfuggire al campo di gravitazione del male e diventare liberi di lasciarsi totalmente attirare dalla forza di gravità di Dio, che ci rende veri, ci eleva, ci dona la vera libertà. Dopo la liturgia della Parola, all’inizio della Preghiera eucaristica durante la quale il Signore entra in mezzo a noi, la Chiesa ci rivolge l’invito: "Sursum corda – in alto i cuori!" Secondo la concezione biblica e nella visione dei Padri, il cuore è quel centro dell’uomo in cui si uniscono l’intelletto, la volontà e il sentimento, il corpo e l’anima. Quel centro, in cui lo spirito diventa corpo e il corpo diventa spirito; in cui volontà, sentimento e intelletto si uniscono nella conoscenza di Dio e nell’amore per Lui. Questo "cuore" deve essere elevato. Il Salmo processionale 24, che la Chiesa ci propone come "canto di ascesa" per la liturgia di oggi, indica alcuni elementi concreti, che appartengono alla nostra ascesa e senza i quali non possiamo essere sollevati in alto: le mani innocenti, il cuore puro, il rifiuto della menzogna, la ricerca del volto di Dio. Le grandi conquiste della tecnica ci rendono liberi e sono elementi del progresso dell’umanità soltanto se sono unite a questi atteggiamenti – se le nostre mani diventano innocenti e il nostro cuore puro, se siamo in ricerca della verità, in ricerca di Dio stesso, e ci lasciamo toccare ed interpellare dal suo amore. Tutti questi elementi dell’ascesa sono efficaci soltanto se in umiltà riconosciamo che dobbiamo essere attirati verso l’alto; se abbandoniamo la superbia di volere noi stessi farci Dio. Abbiamo bisogno di Lui: Egli ci tira verso l’alto, nell’essere sorretti dalle sue mani – cioè nella fede – ci dà il giusto orientamento e la forza interiore che ci solleva in alto. Abbiamo bisogno dell’umiltà della fede che cerca il volto di Dio e si affida alla verità del suo amore.... Noi andiamo in pellegrinaggio con il Signore verso l’alto. Siamo in ricerca del cuore puro e delle mani innocenti, siamo in ricerca della verità, cerchiamo il volto di Dio. Manifestiamo al Signore il nostro desiderio di diventare giusti e Lo preghiamo: Attiraci Tu verso l’alto! Rendici puri! Fa’ che valga per noi la parola che cantiamo col Salmo processionale; cioè che possiamo appartenere alla generazione che cerca Dio, "che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe" (Sal 24,6).


Addio missionari?

Ancora una volta, l’avanzata implacabile del «clericalmente corretto». Ho letto che la Chiesa francese ha pensato – c’è da mettersi le mani nei capelli – di sostituire le parole «missione» e «missionari» con altre più adeguate, che non suonino colonialiste e, chissà perché, offensive. È la stessa ipocrisia secondo la quale si pretende che diciamo rom e non zingaro, diversamente abile e non handicappato, non vedente invece di cieco, operatore ecologico e non spazzino, operatore pastorale e non prete. Così, la Conferenza episcopale francese vuole chiamare i missionari «envoyés», inviati. A noi giornalisti viene subito in mente l’inviato speciale, ad altri il rappresentante di commercio. Dunque non più missionari, bensì inviati. Ma anche «missione» non è più clericalmente corretto, ed ecco che si vuole sostituirlo con «présence», presenza: dunque, caro Andrea, aggiòrnati, guardati dall’essere offensivo dicendo “missionari in missione”, ma sii corretto parlando di envoyés dans la présence. Prima si dava l’idea dell’annuncio evangelico, il kerygma, dato da chi aveva lasciato tutto per amore delle anime dei non cristiani. Ora si dà l’idea di qualcuno che arriva con la valigetta e invece dei ricambi dell’aspirapolvere ti mette sotto il naso il Vangelo. Purtroppo, le chiacchiere, anche quelle tra “presibiteri adulti“, non cambiano le cose: mentre si pensa a cambiare loro il nome, i missionari sono in via di estinzione, come dimostrano i loro noviziati sempre più deserti. E allora, chi “invieranno“ tra poco?

Vittorio Messori


Se il sale perde il sapore

All’inizio di questa solenne memoria del triduo pasquale in cui si compie la vittoria di Dio sul male, della restituzione all’uomo della sua autentica dignità, sono colto come da un sentimento di angoscia. E qualche volta mi chiedo – come se lo chiedevano alcuni salmi – se questa angoscia non sia invincibile e non dica quasi una impossibilità dell’uomo ad essere veramente se stesso di fronte alla propria coscienza, di fronte a Dio, di fronte alla storia, di fronte alla società. Quest’angoscia si è andata radicalizzando perché negli ultimi decenni, ma potremmo dire negli ultimi anni, si è visto con chiarezza che non esiste alternativa alla fede. L’uomo, l’uomo ateo, l’uomo autosufficiente, l’uomo autoreferenziale, è un’astrazione: un’astrazione teorica e purtroppo una terribile esperienza pratica. Un uomo così non esiste, e nella misura in cui quest’uomo che non esiste - ma che pure in qualche modo “esiste” - manipola la realtà, provoca soltanto enormi distruzioni. Che dire per esempio dell’immensa schiera di bambini e ragazzi orfani, anche se formalmente hanno ancora un padre e una madre che però non si vedono più, e perciò non hanno nessuna accoglienza per la propria vita, per il proprio cammino. Allora, in questa situazione in cui siamo immersi tutti, che ci colpisce da tutte le parti, che ci ferisce, la Chiesa rinnova il grande annunzio della morte e Resurrezione di Cristo come l’unica possibilità di salvezza per l’uomo.Ma perché questo annunzio fa fatica ad attecchire?Perché - diciamolo con chiarezza - anche per molti cristiani è un messaggio astratto. Ha più una formulazione ideologica, è più un grande sentimento delle fede o un grande impegno etico, come dice Benedetto XVI quando dice ciò che non è il cristianesimo, all’inizio della Deus caritas est: è un discorso, un’ideologia. Contrapponiamo all’ideologia del nulla, all’ideologia angosciosa del nulla, un’ideologia di valori religiosi che poi normalmente si laicizza e diventano quei valori di giustizia, di solidarietà, questa mercanzia che quotidianamente riecheggia nelle parole di pochissimi uomini politici che hanno una cultura superiore alla media, e che riecheggia anche nei discorsi di tanta ecclesiasticità, di alto e di basso livello.Ma il cristianesimo, cioè la Pasqua, la morte di Cristo e la sua Resurrezione, non è un’ideologia, è un’esperienza... la Resurrezione è un’esperienza, la Resurrezione è un popolo che mangia e beve, veglia e dorme, vive e muore non più per se stesso ma per Lui che è morto e risorto per noi. Allora la Resurrezione è la dimensione normale della vita del cristiano. E’ ciò per cui il cristiano vive consapevolmente, è ciò per cui il cristiano ama la verità, ama il bene, si sacrifica per gli ideali, sopporta, è benevolo con i propri limiti e con i limiti altrui. E’ una vita nuova. C’è un momento, c’è un punto della storia in cui non c’è l’angoscia, c’è la certezza della propria identità, c’è il sacrificio del proprio limite che deve essere continuamente perdonato dal Signore. Ma c’è soprattutto il grande ideale della missione. Si può vivere per la missione, si può mangiare, bere, vegliare, dormire, vivere e morire perché Cristo sia conosciuto da tutti gli uomini. Ora, se la Chiesa non è un’esperienza; se i cristiani non sono testimoni di Cristo e della sua Resurrezione; se nel loro volto non portano i segni della salvezza, se non portano il segno della salvezza – “I vostri volti non sono volti di salvati, per questo io non crederò mai al vostro Signore”, disse il grande filosofo francese Sartre (grande si fa per dire), ospite al primo congresso degli intellettuali cattolici dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale -; se la salvezza non è la nostra esperienza di vita, non la comunichiamo a nessuno. Allora l’unica cosa che domina il mondo è l’angoscia, perché l’unico punto che la fa saltare è presente ma in modo astratto, e pertanto inefficace. Ma allora – ed è terribile questa conclusione che tiro – i cristiani inconsapevoli della loro identità, i cristiani omologati alla mentalità dominante, i cristiani che considerano di essere semplicemente custodi di un’appendice alla vita, un’appendice liturgico-sacramentale o un’appendice di carattere emozionale, o un’appendice di carattere etico; questi, mentre tradiscono Cristo danno il loro contributo alla distruzione della società.E’ soltanto la costruzione reale della Chiesa che salva l’uomo e il mondo. Bisognerà che presto o tardi qualcuno nella Chiesa ricominci a dire queste cose semplici e fortissime, che hanno consentito alla Chiesa di camminare per duemila anni senza perdere il passo della storia. Anzi, quanto più ha predicato Cristo "e questi crocifisso" - per dirla con San Paolo – ha lanciato la storia e l’ha aiutata a crescere verso dimensioni nuove di intelligenza e di amore. Quanto più s’è ristretta in sé, e ha presentato un’alternativa edulcorata dell’annuncio, è diventata responsabile della rovina dell’umanità.

Mons. Luigi Negri


Shimabara

Il 15 aprile 1638, dopo mesi di strenua resistenza, cadeva la fortezza di Shimabara, ultimo rifugio dei cristiani giapponesi. La persecuzione aveva raggiunto livelli inauditi e cinquantamila cristiani, in maggioranza contadini (con donne, vecchi e bambini), si erano ribellati. Inquadrati da circa seicentoronin(samurai rimasti senza padrone perché cristiani), si trincerarono nel castello in disuso di Hara e tennero testa a un esercito di duecentomila samurai armati fino ai denti, la più grande armata che il Giappone avesse mai visto. Poiché non riusciva a piegarli, lo Shogun offrì loro il perdono se si fossero arresi. Risposero che volevano solo la libertà religiosa. Erano guidati da un samurai di sedici anni, Amakusa Shiro. Ci vollero tre navi per caricare le loro teste mozze e inviarle allo Shogun.

Rino Cammilleri



Quando nasce il sorriso

Sarà perchè i Principi Piccoli si stupiscono spesso della propria felicità, ma di Giovanni Bollea, neuropsichiatra infantile scomparso domenica scorsa, mi piace ricordare questa lezione: «E’ vero che il sorriso è una capacità innata dei bambini? Sì, dopo il primo pianto, appena uscito dall’utero, vediamo il sorriso del bambino legato a quello della madre che lo guarda a sua volta negli occhi. E subito dopo, il piccolo afferra teneramente la mammella della madre, seguito dal sorriso felice di quando lei la lascia.
Il sorriso che nasce non dalla vista del volto della madre, ma dal suo profumo, rimarrà nella sua memoria per sempre».



Gioventù vuota.

Un esercito di ragazzi che si aggrappa ai bordi dell’Europa, si arrampica a violarne i bastioni. Perché ci prende allora, inconfessata, una sottile ansia, che va al di là dei problemi immediati di accoglienza e ordine pubblico? È che noi siamo vecchi, lo è l’Europa e anche l’Italia lo è sempre di più. L’età media delle popolazioni nordafricane è attorno ai 27 anni: giovani, mentre in Italia solo il 10 % della popolazione è nell’età fra i 15 e i 24 anni, quella dei ragazzi dei gommoni. Un’inquietudine ci prende davanti alle immagini da Lampedusa: come se questi ventenni, e gli altri dall’Africa e dall’Est, venissero a prendere il posto dei figli che l’Occidente non ha avuto, a colmare il vuoto generazionale aperto nell’Europa della fecondità avara. Come se, in un equilibrio di vasi comunicanti, gli uomini inesorabilmente tendessero a ridistribuirsi. Non sanno, i ragazzi del Maghreb, niente della crisi demografica dell’Europa, ma è come se istintivamente percepissero che uno spazio per loro, anche se noi diciamo di no, qui c’è. Ma la sfacciata giovinezza dei giovani tunisini, oggi, confrontata con i nostri invecchiati orizzonti, ci fa pensare a qualcosa di più che una contingenza della cronaca; ci fa pensare che quello a cui assistiamo sia storia. Che i barconi gremiti siano parte di un movimento inarrestabile. Ci spaventa la massa che preme, altra da noi; ci spaventa tanto che l’Europa non vuol saperne niente, e la Francia chiude ermeticamente i suoi confini. Abbiamo addosso un oscuro timore: là dove si è creato un vuoto, arriveranno altri, a riempirlo. È ciò che è sempre accaduto, del resto. Ma, l’Occidente, la sua cultura, la sua fede, che ne sarà fra cinquant’anni, se i figli saranno, in tanti, figli degli altri? Seria domanda, che già indica come sia illusorio pensare solo e semplicemente di blindare il Mediterraneo (prima o poi nel punto di minore resistenza il flusso riprenderebbe, come per legge di natura). Non può bastare. Naturalmente dobbiamo aiutare lo sviluppo delle economie di quei Paesi. Ma, da questa parte del mare, abbiamo bisogno di voglia di continuare, e di coraggio, e di figli. Ci preoccupiamo tanto oggi, da noi, di garantirci una "degna" morte. Chissà quelli dei gommoni, che ne pensano. Alzerebbero le spalle: la morte? Per noi, direbbero, viene quando vuole, anche a vent’anni, in una notte in mezzo al mare. Non abbiamo tempo per pensare alla morte, noi, ragazzi del Maghreb: noi che partiamo sfidando il destino, noi che vogliamo, con tutte le nostre forze, vivere.





Parrocchie missionarie

Sappiamo però, che la trasmissione della fede, di generazione in generazione, ha subito un improvviso e brusco arresto. Allora non possiamo attardarci e dobbiamo prendere sempre più coscienza che stiamo “rapidamente passando da un cristianesimo per nascita a un cristianesimo per scelta” e che nel volgere di qualche decennio cambierà profondamente il panorama religioso del nostro Paese. Tutto questo renderà fatalmente inadeguate alcune nostre analisi e chiavi di interpretazione. Pensiamo ad esempio all’affermazione, che pure noi abbiamo più volte convintamente ripetuto, secondo la quale “il popolo italiano è naturaliter cristiano”. Ora, non sarà un’analisi sociologica a darci la risposta definitiva sulla persistenza di questa condizione, ma sicuramente dobbiamo imparare a tenere dritte le nostre antenne per capire cosa si muove nel profondo del Paese. E anche nelle nostre parrocchie, che i nostri vescovi sognano come “palestre dello Spirito”. Non più luoghi burocratici e ossessionati da ogni sorta di impegno, ma luoghi aperti “ai miracoli perché si cerca il Signore, ci si imbatte con il suo sguardo, ci si sente raccolti nella sua mano, e se ne ricava la vita trasformata, non più sottomessa al conformismo o sofferente per il giudizio altrui”.

Domenico Delle Foglie http://www.piuvoce.net/





Un istante di verità



Una manciata di secondi e scopri la morte guardarti dritto negli occhi. Non c'è tempo per riflettere, ti volti cercando riparo da quel dardo che ti impietrisce e il rumore sordo di quella massa di acqua e detriti ti strappa di gola il respiro superstite. Morire di paura, si può. Ed è come svegliarsi di colpo, il corpo ancora turgido, gli arti pesanti incapaci di rispondere, le lancette biologiche inchiodate a quell'istante. D'improvviso la paura ti afferra e ti spegne sentimenti e pensieri; l'ineluttabilità e l'impotenza ti cortocircuitano dentro, e ti ritrovi come un blocco di marmo costretto a specchiarsi nella tua stessa immagine che sfugge irridendoti. Ti senti come un condannato a guardare, nel breve spazio di un respiro, il film di quello che avresti desiderato, di quello che sarebbe potuto essere, e ti risuona dentro l'eco di un "se", come un ghigno beffardo.

D'un tratto scopri quanto esile sia filo che ti lega alla vita. Credevi fosse una catena d'acciaio che ti assicurava, non era che un impercettibile filo di lana. E' dunque questa la vita? Eri sotto scacco, da sempre, e non lo sapevi. Un boato, un sussulto, e tutto svanisce; case e cose, fabbriche e scuole, macchine e treni, tutto ingoiato da quelle fauci dischiuse in un rantolo, sommerse da quel fiume di melma inesorabile come un bulldozer. E quel secondo eterno, la paura in gola, la morte ad un palmo.

Ed è verità. Atroce per chi altro sperava e sognava, una saetta a polverizzare false ed illusorie certezze. Una Parola dal Cielo, un sipario strappato a svelare trucchi e inganni di una vita recitata a soggetto. Quel secondo intriso di paura è il volto autentico dell'esistenza; lo spavento afferra chi ha smarrito l'essenza della propria vita, lo stupore e il terrore smascherano le alienazioni di chi ha gettato se stesso in un circo drogato. Magari avessimo i fianchi cinti e le lucerne accese, magari ogni istante della nostra vita fosse come questo istante che sta per essere inghiottito dal terremoto. In esso, che tutto polverizza, resiste solo ciò che è autentico. Roccia o sabbia, nella scossa di un terremoto si rivela il fondamento di una vita.




A.I.

Giappone, 11 marzo 2011




SOTOO: «VI RACCONTO IL MIO POPOLO». Il Giappone e la tragedia

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